Riceviamo e pubblichiamo.
È domenica, ma non si gioca al calcio: c'è l'impegno della nazionale! E
forse questa pausa induce Lei, dott. Gia, ad una riflessione che,
prendendo a pretesto le vicende calcistiche, mette candidamente a nudo
l'apatia e la rassegnazione di una città che da tempo ha accettato il proprio
declino senza lottare, senza combattere, quasi non vi sia altro da fare
che aspettare la fine. Come mai Genova non sorride? Lei si chiede. Sarà
banale ma, dico io, che c'è da ridere? Genova è una città oppressa
dalla sorte che, cominciata alla fine dell'Ottocento con l'industria pesante,
ha fatto dell'industria di stato la principale risorsa per il suo
sviluppo: il crollo della partitocrazia e dell'assistenzialismo
industriale, che sopravvive ormai solo per la Fiat cui Prodi regala due
milioni per auto, è stato il crollo di Genova. Tutto va via dalla città e persino
industrie che potrebbero funzionare (le fonderie San Giorgio di Pra) chiudono
producendo nuova e gravissima disoccupazione.
Sono da poco in politica, ma non intendo permanervi accettando la logica
dell'ineluttabile e del compromesso, il culto della parola e dell'analisi, il
rimedio della raccomandazione e dell'esodo. Per questo bisogna che i cittadini
capiscano, e capiscano bene, dove sta il guasto e quali siano i rimedi. Su
queste colonne Manzitti scriveva del grigiore dell'amministrazione
cittadina oramai tutta monocorde, piatta e opaca: tutta pidiessina! Nulla,
dico nulla, emerge dai burocrati di partito e di stato, dai professionisti
della politica, dagli sproloquiatori di sempre, dai vaniloquenti
intellettuali, da questa classe di politicanti "d'autore" che
nulla sanno, ma che tutto amministrano.
È possibile che in una nazione dove, dall'usciere al Presidente della Repubblica,
la gente fa a gara per compiacere il Pds, che della mera gestione del
potere ha fatto l'unico scopo della propria attività, nessuno sappia intervenire
per rilanciare l'Italia? è possibile che a Genova la classe imprenditoriale
ossequiosa al potere pidiessino si possa accontentare di un posto da
sovrintendente all'Opera o di presidente di una Fiera? Vede, caro Gia, il
maggior danno che il comunismo ha fatto, e che è prepotentemente presente
nel post-comunismo pidiessino e nel neo-comunismo rifondatore, è quello
di far perdere il desiderio, la spensieratezza, la giovialità, l'umanità,
la voglia di "darsi da fare" che per otto secoli ha contraddistinto il
popolo genovese.
Oggi la politica che muore ha consegnato città, provincia e regione in mano a
chi ha portato Genova e la Liguria esattamente dove sono ora: al declino,
alla morte della speranza. Abbiamo così un sindaco tanto intelligente, quanto
disastroso nell'amministrare, una presidente della provincia da fumetto (SuperMarta
è la compagna di Nembo Kid?), un presidente della Regione,
mancato catecumeno, agli ordini del suo onnipresente vice. Spartizioni
delle cariche, occupazione dei posti permanenti nelle istituzioni,
consulenze per esperti (che importa se sono anche amici?), e scelte in
spregio alle aspettative della gente (inceneritore, corso Europa, treno
veloce, per citare le più recenti) con la precisa volontà, ne sono
convintissimo, di demolire tutti i simboli della nostra città, dalla Lanterna
al monumentale cimitero di Staglieno, per farci scendere nel limbo della
monotona piattezza, del livellamento che assopisce, del torpore che
prelude al regime.
Ma, mi creda, sono ottimista: un popolo fiero e tenace come quello genovese
non può non capire che è finalmente ora di cambiare, che dal sonno ci si sveglia
e che al mattino le energie sono fresche e disponibili. Sarà difficile e
faticoso: la rinascita di Genova si avrà quando i cittadini capiranno
che non possiamo più permetterci questa amministrazione, che i costi
della sinistra al potere sono insopportabili, che la truffa delle sinistre
che opprimono, invece di difendere, il ceto debole deve finire. Io sono
qui per questo, per Genova, per i miei concittadini, ma sono prontissimo
ad abbandonare la politica se non riuscirò a far risvegliare l'orgoglio
di tutti noi e a far alzare la testa a Genova come alte devono essere le
code e le ali dei grifoni che, dal milleduecento, ne reggono lo stemma.
Prof. Franco Bampi
Consigliere Comunale
di Forza Italia
Genova, 9 febbraio 1997
Il Lavoro - Repubblica
Domenica 9 febbraio 1997
Fondo: Genova perché non sorridi?
Un dibattito da aprire.
In questi giorni, almeno nel calcio, Genova vive un momento di grande successo.
La Sampdoria è seconda in classifica, contro tutte le opinioni, pessimistiche e anche
ottimistiche, d’inizio anno. Eppure non si sente, in città, un moto di gioia, una
vibrazione entusiasta, una soddisfazione intensa e orgogliosa. Non si sente, o forse
noi siamo diventati aridi e sordi, l’atmosfera contagiosa che solo sette anni fa
accompagnava la società di Mantovani in vetta alla classifica. Non si sente, né si
vede, quello che le cronache raccontano di altre città, "baciate" dal pallone in
questo pazzo campionato: Vicenza, Bologna, Bergamo. Certo, i sampdoriani sono felici,
discutono animatamente negli uffici e nei bar. Ma l’entusiasmo, contagioso, di solo
pochi anni fa è, per ora, un ricordo. Facile liquidare tutto con formulette amichevoli
("è scaramanzia") velenose genoane ("sono rimasti in pochi") o sociologiche sportive
("è la fine del calcio"). Facile e sbagliato: non esiste controprova da parte genoana,
ma è più di un sospetto che anche sull’altra sponda un "momento magico", come si dice
in gergo, non sarebbe vissuto con lo stesso trasporto, la stessa gioia di un tempo.
Colpa di Enrico Mantovani? Colpa di Aldo Spinelli?
No, anche queste sono risposte troppo facili. E qui il discorso abbandona il calcio:
la situazione della Samp (ovviamente: complimenti) è solo un pretesto per guardare
un po’ più a fondo nel cuore e nell’anima di questa città. Se è vero che il calcio
resta lo spettacolo per eccellenza, l’unico avvenimento ancora in grado di muovere
grandi masse (poco importa se allo stadio o davanti alla tv) c’è davvero di che
stupirsi per una città che reagisce con distacco, se non con freddezza, all’impresa
blucerchiata. Sia ben chiaro: lo stadio è in festa, i tifosi anche. Ma la domenica.
Punto e basta. Poi si torna, tutti, in un’atmosfera ovattata, in una nebbia maligna
dall’umore cupo. E allora la domanda è una sola: forse Genova ha perso il sorriso?
La crisi, le incertezze, anni di passi indietro hanno tolto alla città e ai suoi
abitanti la voglia di ridere? C’è davvero un’atmosfera grigia che toglie alla vista
il sole, il futuro, i segnali di ripresa (dal porto al centro antico) che sicuramente
ci sono? E se tutto questo è vero, come si può ridare a Genova la voglia di ridere?
Il dibattito è aperto
(l.g.)
Luigi Gia
Il Lavoro - Repubblica
Martedì 11 febbraio 1997
Enzo Costa
Di questo spasso
Se Genova non ride Bampi è incavolato nero
Lunedì 17 febbraio - L'ex leghista già polista nordista ora forzitaliano
Franco Bampi colpisce ancora. La scorsa settimana era intervenuto sul tema "Perché
Genova non sorride?" con un articolato commento così sintetizzabile: la colpa è di
Sansa, della Vincenzi, di Mori, di Mazzarello, e della sinistra del passato, del
presente e del futuro. Significativa anche la documentata denuncia sulla compiacenza
di tutti verso il Pds (testuale, "dall’usciere al Presidente della repubblica").
Oggi il sereno Bampi dice la sua sul tema "Perché il cielo è nuvoloso?": "La colpa"
bofonchia stizzito "è di Montaldo, di Guala, della Profumo, di Cerofolini. E della
sinistra del gerundio, del participio presente e del futuro anteriore!" Segue
ficcante denuncia sui servi del Pds: "Dal bidello la Presidente della Corte
Costituzionale!"
Giovedì 20 - Nuova acuta riflessione di Franco Bampi sul tema "Perché ho
beccato una multa per sosta in doppia fila?" "La colpa" sibila il pacioso Bampi
"è di Burlando, di Benvenuti, di D’Alema, di Berlinguer, di Togliatti, di Gramsci,
di Lenin, di Marx e dei suoi fratelli, e della sinistra del congiuntivo imperfetto,
del condizionale e dell’imperativo!" A seguire, ennesima pregnante denuncia sugli
adoratori del Pds: "Dal netturbino al Re di Spagna!".
Domenica 23 - Convegno genovese dal titolo "Ma davvero Genova non sorride?"
Al termine dei lavori, gli psicologi intervenuti stilano un referto congiunto:
"Risulta problematico determinare se Genova sia più o meno allegra. Appare invece
scientificamente certo che Franco Bampi è costantemente incazzato nero".
All’illuminante diagnosi si associano l’usciere, il Presidente della repubblica,
il bidello, il Presidente della Corte Costituzionale, il netturbino e il Re di
Spagna.
Nota
Il riferimento alla code dei grifoni che reggono lo stemma di Genova
segue da una dichiarazione rilasciata da Ubaldo Benvenuti, segretario
provinciale del Pds genovese.
- Il Secolo XIX - Giovedì 6 febbraio 1997. E il Polo? Forza
Italia non ha fatto una proposta. "Una sola e non sto scherzando:
quella di drizzare la coda ai grifoni dello stemma della città"
- Il Lavoro - Repubblica - Giovedì 6 febbraio 1997. È critico,
Benvenuti, quasi più con Rifondazione che con il Polo, che si limita ad
accusare di non aver alcuna idea di città e di aver pensato a risollevare
le sorti di Genova solo facendo raddrizzare le code dei grifoni nello
stemma cittadino.
Benvenuti si riferisce ad una mia interpellanza, presentata il 9 luglio
1996, che prendeva spunto da posizioni pubbliche delle associazioni
"A Compagna" e "Arge" e che ebbe eco sulla
stampa cittadina, nella quale appunto chiedevo al Sindaco
di intervenire per far porre le code dei grifoni ben alte e del tutto fuori
dalle gambe, come per sette secoli furono rappresentate nello stemma della
gloriosa Repubblica di Genova e che furono abbassate solo dopo la coatta
annessione del 1815 al Regno di Sardegna, stabilita d'imperio dal Congresso
di Vienna.
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