Intrâ >
Relata refero >
C'è una Liguria...
[ Inderrê ]
[ Pagina primma ] [ Pagina doppo ]
"Gazzetta Ufficiale dei Dialetti"
n° 5, Gennaio 2003
Ed. Prova d'Autore, Catania
C'è una Liguria...
di Alessandro Guasoni
Se vado indietro negli anni, al tempo in cui ho iniziato a scrivere, ricordo che per
me il genovese era la lingua che mia madre parlava, qualche volta, con alcuni parenti,
per lo più anziani, con negozianti e qualche vicino di casa. Nella mia infanzia (anni
Sessanta) non faceva "fino" parlare il genovese; la lingua della scuola, la
lingua della razionalità, delle persone civili, delle occasioni solenni, era l'italiano.
Inoltre, in Liguria esiste una situazione curiosa: nessuno si rivolgerebbe mai in ligure
per primo ad una persona appena conosciuta. Lo parliamo, e ne siamo anche orgogliosi,
soltanto in privato, e tutto resta fra le mura domestiche. C'è una Liguria occulta,
segreta, nascosta nel ventre delle sue montagne, nell'immobilità dei suoi boschi che non
è quella turistica, conosciuta da tutti, e il genovese è la sua lingua. Quando ho deciso
di scrivere in genovese, quella è stata la scelta in favore dei sentimenti, delle
emozioni, del passato ancestrale che, a mio parere, non è possibile rinnegare, se non
si vuole rinunciare ad essere sé stessi; ma ho dovuto ricostruire quella lingua in
base ai ricordi miei e di altri, pazientemente ricucirli come tessere di un mosaico, per
arrivare ad ottenerne una certa padronanza e procurarmi una lingua poetica. Ha detto
Borges (cito a memoria) che ogni uomo, nel momento in cui ripete un verso di Shakespeare,
è Shakespeare. Una lingua è l'opera oscura di perdute generazioni che ci hanno preceduto.
La scelta della lingua locale era dunque riconducibile al desiderio di fare rivivere
almeno parzialmente quelle persone, nelle parole che pronunciavano; fermare il tempo
in un eterno presente, e così combattere la morte e l'oblio (o illudermi di riuscirci),
è infatti la sotterranea ossessione del mio scrivere. Se nello stato edenico la parola
era tutt'uno con la cosa, con la decadenza umana - mi pareva - la parola stessa si era
via via depotenziata, fino al linguaggio odierno, asettico, impotente; mi sembrava che
risalendo il più possibile ad una lingua del passato potessi trovare la forza di reagire
meglio all'angoscia dell'attualità, al suo vuoto di significati e di valore. In seguito,
naturalmente, mi sono reso conto che il genovese può essere razionale e logico, quanto
l'italiano; e, quanto l'italiano, può essere convenzionale, gonfio e pomposo. Verso i
quindici o sedici anni scopersi un'antologia della poesia in genovese dalle origini ad
oggi, e fu una rivelazione: vi erano stati autori che avevano usato questa lingua già
nel Medioevo, la letteratura in genovese aveva una storia sua, con caratteristiche
proprie; per quanto al suo livello medio non fosse certo paragonabile alla letteratura
italiana, tuttavia presentava una sua parziale autonomia rispetto ad essa e alcuni
autori mi parevano davvero notevoli. Da allora, con sempre maggiore convinzione, ho
cercato di inserirmi in questa tradizione, di recarle il mio apporto. E ho cominciato
a considerare con interesse tutte le letterature delle lingue minoritarie.
Che cosa sia possibile fare oggi per la salvaguardia dei "dialetti" è molto
difficile a dirsi; se non si vuole che tanti buoni propositi restino tali, bisognerà
pure accettare alcune soluzioni che molti avversano per semplice pregiudizio ideologico:
come quella di insegnare i dialetti nelle scuole. O quella di battersi per una
toponomastica bilingue, o perché si arrivi a vedere riconosciuto e accettato l'uso del
"dialetto" in documenti pubblici. Anche se questo porrà problemi di non
facile soluzione. Anche se ciò fa inorridire coloro che temono di deturpare la
"naturalezza" del dialetto. È qui che si palesa la liliale ingenuità di
taluni accademici; secondo loro l'operatore culturale dovrebbe essere neutrale, prendere
atto della morte del dialetto e, recitata una breve prece, dedicarsi ad altro, forse alla
recensione dell'ultimo prevedibile ultrapubblicizzato romanzo di XY. Si afferma che in
niente differisce un dialetto da una lingua, se non perché quest'ultima ha degli usi
ufficiali, ma quando si rivendicano appunto usi ufficiali per il dialetto, ci si obbietta
che non è possibile, visto che questo è soltanto un dialetto. La coerenza del serpente
che si morde la coda.
Non si sa per quale motivo i beni ambientali e architettonici debbano essere considerati
degni di interventi conservativi e non si possa invece intervenire sulle lingue, che
sono un bene altrettanto importante. Quanto alla presunta naturalezza del dialetto,
che andrebbe sciupata, essa non è che un'invenzione: la lingua è opera dell'uomo, animale
che crea e agisce sul mondo e fa proprie le cose della natura e, così facendo, non di
rado le migliora, ad onta di certo ambientalismo fondamentalista.
Infine, non possiamo dimenticare l'uso delle nuove tecnologie, ai fini della
salvaguardia delle lingue dimenticate. Personalmente ho realizzato un sito Internet dove
tratto di letteratura in ligure e una rivista on line interamente redatta in genovese:
http://digilander.libero.it/alguas e ho constatato un notevole, diffuso interesse
per queste tematiche, anche tra i giovani. Purtroppo, una voce che si aggiunge alle
altre nello starnazzante pollaio della Rete, non è in grado di modificare molto la
situazione, però è già qualcosa.
[ Inderrê ]