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Il Secolo XIX
Giovedì 26 agosto 1999
Lettere al Decimonono
Il rispetto delle leggi
[ spunto di Rastello ]
[ lettera di Frescura ]
Il sig. Rastello pone ai lettori del Secolo XIX il problema del
rispetto delle leggi e di chi dovrebbe esercitare il controllo. Fermo
restando che le leggi vanno rispettate, mi preme fare alcune osservazioni.
Intanto stiamo parlando di leggi che prevedono sanzioni amministrative
(pagamento di denaro) e non delle ben più importanti leggi penali. Anche
se c'è da chiedersi come mai fare il saluto fascista sia ancora reato
mentre, in un'epoca di pesantissimo e vergognoso vilipendio della
religione cattolica, la bestemmia sia stata depenalizzata.
Ma torniamo al tema. Il punto è che le leggi sono più facilmente
rispettate se giudicate eque dall'opinione pubblica. Tutti certamente
vorrebbero maggior rigore contro la delinquenza diffusa degli zingari,
degli extracomunitari, dei tossici e sbandati italiani e stranieri,
ma è difficile sentirsi colpevoli per aver parcheggiato in divieto di
sosta sapendo che Genova è carente di ben centomila posti auto!
E quale prevenzione può essere fatta usando l'autovelox quando chi
viene multato, lo sa dopo qualche mese, quando ha difficoltà a ricordarsi
dell'infrazione? E se sulla sopraelevata tutti vanno agli 80 km all'ora,
ha senso mantenere il divieto a 60? Infine, quale rimedi può porre una
multa agli incidenti stradali se, ne sono convinto, avvengono massimamente
per imperizia dei guidatori?
Non sarebbe meglio non far circolare chi non sa guidare? È noto a
tutti gli economisti che, superati certi livelli, l'aumento della
tassazione produce un calo del gettito, e non un incremento. Lo stesso
vale per le leggi.
Credo che il rispetto delle leggi si ottenga facendo delle leggi
"eque", che non servano solo a far pagare il solito contribuente con
imposte improprie, le sanzioni appunto, per risanare le magre casse dei
comuni italiani. Purtroppo il nostro legislatore non sembra più capace
a legiferare equamente attento com'è a non perdere la poltrona su cui
è seduto.
Franco Bampi
Genova, 12 agosto 1999
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Il Secolo XIX
Mercoledì 11 agosto 1999
Lettere al Decimonono
Più rispetto per le leggi
Brava signora Marina Frescura e bravi quelli del Secolo XIX per aver
pubblicato il suo articolo "Ma in ospedale fumare
non è vietato?".
La signora evidentemente è estranea (o straniera) ai costumi della città
(e ancor più ai costumi italiani) per aver avuto il coraggio di mettersi
contro corrente e puntualizzare ciò che è pubblicizzato da migliaia di
cartelli e in tutti gli ospedali. Mi chiedo se l’articolo della signora
Marina precisava anche il nome dell’ospedale. Sta di fatto che la maggior
parte degli ospedali (compresi moltissimi medici, che dovrebbero dare il
buon esempio), ad eccezione dell’ospedale evangelico, infrange volutamente
questo divieto. Un caso recente, ma che dura da anni, è l’ospedale
Galliera dove tutti continuano impunemente a fumare nelle sale d’attesa
e nei corridoi, malgrado il divieto.
Domanda: chi dovrebbe far rispettare questa legge? A che serve emettere
delle leggi se poi non vengono rispettate e fatte rispettare? Per far
rispettare queste benedette leggi, bisogna per forza arrivare a rimedi
estremi come quello delle denunce ai carabinieri? O forse basterebbe che
molti genovesi benpensanti, invece di mugugnare, protestassero
energicamente come ha fatto la signora Marina?
Non c’è solo il fumo che dà fastidio ed è vietato. Passando al settore
dei segnali stradali vale lo stesso discorso. Come mai ci accorgiamo solo
adesso che ogni anno vi sono migliaia di morti, feriti e incidenti il cui
costo materiale e morale è altissimo, più dell’ultima guerra in Serbia ad
esempio, o simile al genocidio in Ruanda? Sì, perché se mettiamo insieme
tutti i morti per incidenti stradali da quando sono state costruite le
automobili, è come se le nostre sregolatezze uccidessero i nostri simili,
i nostri fratelli, sorelle, concittadini.
Anche alla guida delle nostre auto, o semplicemente come utenti della
strada, siamo tra i più fuorilegge d’Europa. Eppure di segnali che ci
invitano o ci obbligano ad osservare le regole imposte dal codice non ne
mancano, ma siamo così abituati ad infrangerli che ormai l’infrazione
(cercando di non prendere la multa) è diventata la nostra regola. S’è
creata persino una solidarietà tra gli utenti che si avvertono con i
lampeggianti quando c’è una pattuglia per strada.
Mi ricordo che negli anni Cinquanta - Sessanta quando c’era un incidente
stradale si spargeva subito la voce che il guidatore della moto o della
vettura aveva affrontato fatalmente quella curva a 70 all’ora! A quei tempi
era proibito a due ciclisti affiancarsi, se non per il sorpasso, sulle
strade carrozzabili, mentre ora "impunemente" i ragazzini con le loro
splendide motorette vanno a velocità pazzesche anche in città. Il ragazzo
che mi ha venduto 5 anni fa una Vespa d’occasione aveva rifatto il motore
in modo artigianale e invece del suo pistone da 150 cc ne aveva messo
uno da 175 cc. Si vantava nel dirmi che in via XX Settembre era riuscito
a toccare i 130 km all’ora! Chi è incaricato di far rispettare il codice
che ci obbliga nei centri abitati a non oltrepassare i 50 km H?
E sulla sopraelevata di Genova la velocità massima non è forse i 60
km h? Agli stop non ci si dovrebbe fermare e solo dopo essersi fermati
ripartire, così i motociclisti non dovrebbero mettere il piede per terra
(segno che si sono fermati)? Il segnale rosso ai semafori non dovrebbe
fermare il traffico per tutti: automobilisti, motociclisti e pedoni?
Chi dovrebbe far rispettare la legge ai furbastri (in continuo aumento,
forse sono ammalati di diarrea) che con le loro infrazioni rendono
inutile il codice stradale?
Sergio Rastello
Genova
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Il Secolo XIX
Domenica 8 agosto 1999
La Lettera
Ma in ospedale fumare non è vietato?
Il fumo fa male. Ormai lo sanno tutti. A maggior ragione quelli che
per motivi diversi frequentano gli ospedali. Due giorni trascorsi in un
ospedale di una città ligure per prestare assistenza ad un familiare mi
hanno offerto le circostanze per un’esperienza che credo sia importante
raccontare.
Sulle porte dei vetri che demarcano l’entrata dell’ospedale, spiccano
ben chiari sia il simbolo, sigaretta sbarrata, sia l’esplicito messaggio
lessicale: "Vietato fumare". Nei corridoi dei vari reparti il messaggio
si ripete, come pure ad ogni piano di fronte all’uscita degli ascensori.
Idem nel bar e nei corridoi a pian terreno. Tutto chiaro, tutto esplicito,
tutto in regola, quindi. E allora, mi chiedo io, perché entrando in
ospedale si respira "aria di fumo"? Perché, noto con interesse, molte
persone camminano indisturbate con la sigaretta accesa senza che nessuno
si preoccupi di fargli rispettare il divieto?
In quei due giorni, nel mese di luglio 1999, ho osservato 18 casi di
trasgressioni, ho avvicinato i "colpevoli" e ho sistematicamente detto a
tutti la frase: "Scusi, guardi che in ospedale è vietato fumare...". Ho
annotato accuratamente le risposte ottenute e le mie eventuali repliche.
Situazione 1. In un reparto un’infermiera fuma in una
sala-medicazioni. La capo-sala è presente.
- Scusi, guardi che in ospedale è vietato
fumare...
Infermiera: "Ma cosa vuole, tanto fuma anche
il primario..."
Alza le spalle e continua a fumare...
Situazione 2. In una reparto, davanti agli ascensori, due
visitatori fumano.
- Scusi, guardi che in ospedale è vietato
fumare...
Visitatore: "E lei chi è? Cosa le interessa?
Lavora qui, lei?"
Tono aggressivo, voce alterata, cercano di
coinvolgere anche altre persone, vogliono avere ragione a tutti i
costi.
Situazione 3. In un corridoio al piano terreno un visitatore
si dirige verso gli ascensori fumando.
- Scusi, guardi che in ospedale è vietato
fumare...
Visitatore: "Ehh, ma si faccia gli affari
suoi..."
Situazione 4. Appena fuori del bar un uomo fuma, appoggiato
al muro. Porta una giacca-divisa blu scuro e ha un nome appuntato sul
taschino. Presuppongo che lavori in ospedale.
- Scusi, guardi che in ospedale è vietato
fumare...
L’uomo si gira dall’altra parte e mi
ignora.
- No, guardi che ho parlato a lei. Non si
può fumare...
L’uomo mi guarda appena roteando gli occhi
con aria di sopportazione.
Situazione 5. Un infermiere entra in ascensore con la
sigaretta accesa.
- Scusi, guardi che in ospedale è vietato
fumare...
Infermiere: "Ma io non so leggere".
Risata degli astanti tra cui altri
infermieri/e.
- Gli analfabeti non dovrebbero lavorare
in ospedale...
Le risate cessano.
Situazione 6. Un visitatore fuma appena fuori della sala
d’aspetto del reparto di rianimazione.
- Scusi, guardi che in ospedale è vietato
fumare...
Il visitatore alza le spalle, sbuffa e si
sposta di alcuni metri continuando a fumare.
Torno alla carica e gli ripeto la formula,
aggiungendo che quello di rianimazione è un reparto particolarmente
sensibile...
Il visitatore fa un inequivocabile gesto
nei miei confronti, indicandomi di andare...
Io, non demordo, fermo un medico e le chiedo
se per cortesia può dire al visitatore di spegnere la sigaretta.
Medico: "Ma io non lavoro a rianimazione,
io sono di anestesia".
A questo punto rompo le rigide consegne di
imperturbabilità che mi ero imposte e dico al medico che chiunque
lavori in ospedale, indipendentemente dal reparto, dalla sua posizione
nella scala gerarchica e dal colore del camice, ha il dovere e il
diritto di far rispettare i regolamenti a chi li trasgredisce.
Medico. Mi guarda decisamente allibito, poi
si avvicina al visitatore e gli dice seccamente: "Non si fuma, qui".
Visitatore: "Oh, scusi". E spegne la
sigaretta.
Marina A. Frescura Ph.D.
York University
Toronto (Canada)
e-mail: frescura@yorku.ca
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