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La congiura di Raffaele Della Torre raccontata da Federico Donaver

Carlo Emanuele II succeduto, in tenera età, nel trono di Savoia, a Vittorio Amedeo I, quel desso con cui Genova aveva conclusa la pace nel 1633, non si tosto ebbe presa la direzione dello Stato volse gli avidi occhi sulla repubblica già tanto desiderata dall'avolo suo, e, dapprima colle insidie, quindi colle armi, ne tentò l'impresa. I pretesti non mancavano sebbene futili, come quelli che riguardavano la delimitazione di confini di certe borgate di nessun valore. A risolvere amichevolmente la questione il re di Francia aveva mandato l'abate Servient che emise sentenza abbastanza equa per ambe le parti; ma il duca di Savoia non accettò la sentenza, e la vertenza ebbe a degenerare in un conflitto.

Mediante pratiche di un frate piemontese, che vi dimorava, agenti del duca cercavanodi far ribellare Savona alla repubblica e allo scopo di facilitare colle armi il movimento, il duca stesso guerniva di truppe le frontiere dello stato verso Genova coll'apparente intendimento di fortificare Ceva e Alba. Il governatore di Mallare, Gio. Battista Cattaneo, diede notizia delle trame che, a suo avviso, si ordivano, al Senato; ma questo non vi pose attenzione.

Quand'ecco nel 1672, a risvegliare il Senato dall'indolenza, gli viene rivelato che Raffaele Della Torre, a capo di molti banditi, d'accordo col duca di Savoia e con intelligenze in città, muoveva ad occupare Genova.

Raffaele Della Torre, nato qui di nobile famiglia, aveva sortito da natura animo precocemente malvagio che sapeva coprire dalle parvenze di bontà e cortesia. Dopo aver commesso molti reati contro le persone e le cose, con alquanti suoi sicari assali una nave che carica di valori navigava da Genova a Livorno e ne fece bottino. Scoperto questo nuovo misfatto, egli fuggì a Marsiglia, mentre gli veniva istruito il processo in seguito al quale fu condannato alla forca e alla confisca dei beni.

Il Della Torre da Marsiglia era passato ad Oneglia quando gli giunse la notizia della condanna, e con quel governatore ducale lamentossi fieramente della repubblica pronunziando minaccie di vendetta. Il governatore riferì ogni cosa alla Corte e a Carlo di Simiane marchese di Livorno, che, avendo in moglie fin dal 1659 una Grimaldi e recandosi perciò di sovente in Genova per suoi interessi erasi legato con Raffaele d'intima amicizia, lo invitò a recarsi in Torino, dove lo presentò al duca il quale lo trattò cortesemente e lo creò capitano dei corazzieri in un suo reggimento.

Il marchese di Simiane lo informò dei disegni del duca su Genova e lo invogliò adaiutarne l'attuazione promettendogli largo guiderdone se riusciva. Accettò il Della Torre l'invito, e recatosi a Finale a mezzo di un suo corrispondente, Giovanni Prasca, interessò Angelo Maria Vico che che stava in Mallare, uomo capace e grandemente reputato, che ben si dispose a secondarlo. Combinò allora con Carlo Emanuele che l'esercito suo investisse Savona e la fortezza di Vado mentre egli, con gente raccolta nel Monferrato e nel Parmigiano, sarebbe sceso nella valle del Bisagno a sorprendere la città di Genova, dove intanto i suoi emissari avrebbero disposto per facilitargli l'apertura delle porte.

Le truppe ducali sotto il comando del conte Catalano Alfieri si disponevano infatti ad entrare nello stato della repubblica occupando Altare e le Carcare, e d'altra parte il Della Torre con bande raccogliticcie si gettava nella vallata del Bisagno, quando la Repubblica fu avvertita dal Vico di quanto erasi tramato a suoi danni.

Scoperta così la congiura, il governo di Genova mandò con celerità nuove soldatesche a Savona ordinando a quel governatore, Girolamo Spinola, che rafforzasse i paesi di confine e provvedesse a tenere in freno i soldati savoiardi, e deputò Marco Doria a battere la vallata del Bisagno e Giambattista Gentile quella del Polcevera.

Raffaele, informato che tutto era stato scoperto, prese la fuga e ritirossi in una villa del Piacentino donde passò a Torino.

Il governo per riconoscenza verso il Vico gli decretò una pensione annua di 400 scudi, la condotta di una compagnia di fanti con quattro armati a sua personale custodia; e proceduto d'altro lato all'arresto di alcuni che col Della Torre avevano tenuto rapporti, ordinò che fossero appesi alla forca.

Quanto a Raffaele, poiché non fu possibile arrestarlo, verso la metà di settembre, venne una seconda volta condannato a morte per alto tradimento, fu stabilito un premio di 20 mila scudi a chi lo consegnasse vivo o morto, banditi i figli e posta una lapide infamante sulla Torre accanto a quella del Balbi.

Il Della Torre sempre irato contro la patria e il Vico che l'aveva tradito, si studiò, coll'invio di una cassetta contenente delle pistole che aprendosi sparavano, di ucciderlo, e poscia con una cassa, vera macchina infernale, di far saltare in aria la Dogana; ma entrambi i tentativi andarono falliti. Dal duca di Savoia ebbe una pensione, con cui visse diversi anni nella valle d'Aosta, sotto il titolo di Conte Rosa, e più tardi, morto Carlo Emanuele, avuto il capitale corrispondente a quella pensione andò vagando pel mondo, fino a che nel 1681 venne ucciso in Venezia mentre mascherato correva le vie di quella città.

tratto da Federico Donaver, Storia di Genova,
Nuova Editrice Genovese, Genova, 1990

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