Porto Pisano narrato da Gori e Martini
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Degli undicimila prigionieri catturati dai genovesi nella battaglia della Meloria, solo un migliaio poterono tornare in patria, dopo tredici anni di detenzione. Tutti gli altri non riuscirono a sopravvivere e vennero sepolti nella zona del Campo Pisano, la cui piazza serba ancora nel nome il ricordo di quegli infelici.

Pisa non ebbe energie sufficienti per riaversi dal colpo subito. Dopo il 1284, assalita nel suo entroterra da Firenze Lucca e Siena, resistette ancora per quattro anni agli attacchi che Genova portava dal mare, ma nel 1288 venne obbligata ad accettare una tregua, impegnandosi a cedere alcune colonie d'oltremare, la Corsica, i possessi della Sardegna, l'Elba e altre isole dell'arcipelago toscano. La pace vera, tuttavia, fu firmata soltanto nel 1300, quando la città di San Sisto riconobbe vani i suoi tentativi di riscatto (ad alcuni di quei tentativi aveva partecipato il conte Ugolino, vittima, nel 1289, di contrasti guelfo-ghibellini e chiuso nella torre dei Gualandi a morire di fame con due figli e due nipoti).

Nel 1290 Corrado Doria espugnò e distrusse il Porto Pisano. Le galee genovesi non sarebbero pervenute a compiere l'impresa senza l'astuzia di uno dei più umili partecipanti alla spedizione, il fabbro rivarolese Noceto Ciarli. Costui, allorché le galee furono costrette a fermarsi per l'improvviso ostacolo delle catene poste a chiudere il porto nemico, suggerì di accendere fuochi, sotto quello sbarramento, in modo da rendere le catene incandescenti affinché potessero agevolmente spezzarsi. Il che avvenne, permettendo il rapido aprirsi di un varco per la flotta.

Noceto Ciarli, da quel giorno, fu l'idolo dei fabbri ferrai genovesi. Quando morì i colleghi fecero celebrare in suo suffragio una messa solenne e vollero che il rito si ripetesse ogni anno nella chiesa di San Sisto.

tratto da Divo Gori, Dario G. Martini, La Liguria e la sua anima,
4a edizione, Sabatelli, Savona, 1967

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