1) I
Plebisciti
[...omissis...]
[...omissis...]
Noterelle di storia
antirisorgimentale
I plebisciti
di Maurizio-G. Ruggiero
Per legittimare
l’annessione militare sabauda degli antichi Stati italiani, che si
voleva sottrarre con la forza al governo dei legittimi Prìncipi [1] , amatissimi dalle rispettive
popolazioni, il Gabinetto di Torino, massoni e la minoranza liberale
nelle province occupate orchestrarono diversi plebisciti, ai quali
per le modalità con cui avvennero le consultazioni ben s’addice la
definizione di plebisciti-truffa.
Il plebis
scitum (decreto della plebe) antica fonte del diritto della
Roma antica, fu riportato in onore prima da Napoleone I e in seguito
dal nipote Napoleone III, in entrambi i casi per legittimare i
rispettivi colpi di Stato del 1799 e del 1851. In proposito giova
ricordare che in età moderna “non si dà esempio di un plebiscito
il quale riuscisse contrario a coloro che lo proposero” [2] .
La Lombardia fu
piemontesizzata nel 1859, al tempo della seconda guerra
risorgimentale, senza celebrazione di plebisciti [3] : a mano a mano che le truppe
imperiali si ritiravano, i municipi lombardi, incalzati ad adeguarsi
dalla fazione liberale e dai sopraggiungenti eserciti
franco-piemontesi, si pronunziavano per Vittorio Emanuele, e questi,
con propri decreti, iniziava a governare le nuove province.
I plebisciti
risorgimentali chiamarono alle urne (dal 1860 al 1870) solo una
minima percentuale della popolazione (il 19% a Napoli, fino ad un
massimo del 26% in Veneto); in secondo luogo si svolsero senza la
minima garanzia d’imparzialità e segretezza, senza nessuna
supervisione internazionale, indetti e gestiti dall’occupante
piemontese [4] , sotto il suo diretto controllo
militare e poliziesco, in un clima di propaganda giornalistica
asfissiante in favore dell’annessione [5] e d’intimidazione continua
specie nei riguardi del clero cattolico [6] .
In Toscana, ad esempio,
dal Ricasoli fu vietata la libertà di stampa e di parola a chi non
era del partito piemontese fino alla sera del giorno che precedette
le votazioni [7] ; impossibile naturalmente in
così breve giro di ore mettere in piedi giornali o comitati per il
no; a differenza dei fautori del no, che erano o
esiliati o incarcerati, i liberali poterono organizzare comitati per
l’annessione in ogni Comune e inviare in ognuno una trentina di
uomini armati per atterrire i contadini, [8] minacciati dai padroni liberali
di licenziamento dalle loro terre, se si fossero pronunziati per
l’amato Granduca. Per parte sua la stampa risorgimental-massonica
dichiarava reo di morte chi non avesse votato per l’annessione. I
tipografi toscani furono diffidati dallo stampare scritti contrari
all’annessione e “avvisati che un colpo di stile sarebbe stato il
premio di chi osasse prestare i suoi torchi alla stampa di
bollettini pel regno separato [9] ”.
Stesso cliché nelle
Legazioni (Bologna, Ferrara e Romagne [10] ) che furono strappate al Papa
dopo che i liberali vi avevano artatamente provocato rivolte per
offrire al Governo piemontese un facile pretesto per ingerirsi e
imporvi i suoi Commissari regi. Anche qui s’indisse il plebiscito
per la loro annessione al regno sardo e anche qui “estorto contro
ogni diritto un suffragio popolare a forza di pecunia, di minacce,
di terrore e d’altri astuti artifici, [il Governo di Torino]
non dubitò punto d’invadere le menzionate Nostre province, di
occuparle e ridurle in sua potestà e signoria. Vengono meno le
parole per riprovare condegnamente tanto delitto, nel quale solo si
comprendono misfatti molti e gravissimi” [11] . Nell’ex Ducato
estense e nella città di Ferrara in particolare, parecchi giorni
prima del voto la polizia perquisì le abitazioni di molti sudditi
fedeli al Santo Padre; si sprecarono le stampe empie contro il Papa;
i preti venivano minacciati di morte col pugnale; le guardie civiche
ebbero l’ordine di distribuire alle singole case le schede in favore
dell’annessione in numero dieci volte maggiore rispetto a quelle con
le quali si sarebbe optato per lo Stato della Chiesa; i poveri e i
deboli furono minacciati qualora non si fossero manifestati col loro
voto per il Piemonte e così pure fecero fattori e possidenti con i
loro contadini e operai, minacciati di licenziamento [12] ; gli artigiani furono
comprati con un po’ di denaro, vino e acquavite; furono poi “in
gran numero coloro che prezzolati o comparvero più volte o in una
volta deposero più schede” [13] ; il Rettore
dell’Università ammonì i suoi studenti che mancare al sì era
mostrarsi traditori della patria e si recò insieme con loro alle
urne per suffragare i Savoia [14] .
I vari commissari o
dittatori regi [15] , che nel nome di Vittorio
Emanuele II reggevano le province allora definite redente,
fecero a gara affinché l’esito della consultazione risultasse
appunto il più plebiscitario possibile, talvolta anche a
prezzo del ridicolo [16] .
L’imposizione del voto
palese e le sfacciate pressioni esercitate sugli elettori
acquistarono un particolare profilo di gravità, anche
internazionale, in Veneto. Infatti il trattato di Vienna del 3
ottobre 1866 poneva fine alla terza guerra risorgimentale: l’Impero,
pure vincitore sul nazionalismo sabaudo sui campi di Custoza e nelle
acque dell’Adriatico a Lissa [17] , cedeva le terre venete
(chiamate dall’Arciduca Alberto nel suo proclama alle truppe “la
più bella gemma della Corona del Nostro Augusto
Monarca” [18] ) non ai Savoia, ma alla
Francia di Napoleone III [19] , cessione alla quale l’Impero
era costretto dalla sconfitta subita dai Prussiani a Sadowa, il 3
luglio 1866. Il trattato di Vienna disponeva testualmente che la
cessione del Veneto (con Mantova e Udine) dovesse aversi “sotto
riserva del consenso delle popolazioni debitamente consultate [20] ” e per fingere di
rispettare le clausole di quel trattato, il decreto sabaudo
sull’organizzazione del plebiscito veneto [21] , prevedeva agli artt. 5 e
9-12 il suffragio a scrutinio segreto, la suggellatura dell’urna da
parte del seggio e lo spoglio dei voti da effettuarsi dal Pretore,
che avrebbe dovuto conservare gli atti nell’archivio, redigerne
verbale da trasmettere alla Presidenza del Tribunale d’Appello di
Venezia, la quale a sua volta doveva comunicare i risultati parziali
spogliati al Ministro della Giustizia.
Come avvennero in realtà
le votazioni in Veneto [22] e in tutte le altre regioni
annesse? Ammessi al suffragio erano i ventunenni maschi (ma
garibaldini, fuoriusciti politici e soldati risorgimentali votavano
senza limiti d’età); erano invece esclusi i compromessi con la causa
dell’Imperatore. Per comprarsi la complicità dei pubblici impiegati,
questi furono conservati in servizio e gratificati dello stipendio
con decorrenza retroattiva.
In occasione del
plebiscito toscano i patrioti offrivano in mano
agl’illetterati e specie a chi non sapeva leggere la sola scheda del
sì; a taluni davano ad intendere che era soltanto una
richiesta per avere il pane ad un prezzo più conveniente; ad altri
che vi era l’obbligo di deporre la scheda del sì nell’urna, sotto
pena altrimenti di uno scudo di multa e di diversi giorni di
carcere [23] . Qualche analfabeta fu
ingannato, assicurandolo che quel biglietto del sì voleva
dire sì al ritorno del Granduca. Nei seggi, i pochi
oppositori rimasti, i più recalcitranti venivano schiaffeggiati e
minacciati di morte col pugnale alla gola. I teppisti
dell’annessione si divertivano invece a votare in più seggi o a
gettare nell’urna un bel mucchietto di schede ciascuno, [24] oppure a votare sfruttando il
nome di persone che sapevano ammalate o assenti o che si volevano
astenere dal votare, ben consci che, quale estrema risorsa, sarebbe
rimasto in ogni caso il broglio elettorale a trarli d’impaccio [25] .
Il povero elettore veneto
o di altra regione, doveva anzitutto dichiarare le proprie
generalità al seggio e sotto l’occhio vigile dei nazionalisti
risorgimentali, portare al Presidente del seggio una delle due
schede che gli venivano offerte: o quella con il sì o quella
con il no. La scheda veniva depositata in una delle due urne
separate, una per il sì e l’altra per il no, in modo
da rendere perfettamente palese l’espressione della volontà di chi
votava sia al seggio sia a tutti i presenti, esponendo
automaticamente il temerario oppositore dell’unità sabauda ad ogni
genere di ritorsioni e di vendette. Il nome dell’elettore che votava
no veniva segnato in un registro diverso e separato da quello
su cui venivano annotati i nomi di quelli che si erano espressi per
il sì. Per meglio assicurare la pubblicità del voto e il
controllo dei riottosi, in talune località si giunse addirittura a
colorare diversamente le schede del sì da quelle del
no [26] . La sala adibita a
seggio traboccava di scritte inneggianti all’unità e i nazionalisti
giravano fregiandosi della scritta sì sul cappello. Per
sorvegliare il ceto contadino e i sacerdoti si era provveduto a:
intimidire i parroci [27] (quelli che erano rimasti,
giacché alcuni, come l’arciprete di Cerea [28] , nel veronese, per sfuggire
alle violenze degl’iniqui, avevano dovuto seguire l’esercito
imperiale in Tirolo); imporre loro di predicare durante la messa in
favore del sì; impedire che i contadini [29] votassero in sezioni troppo
piccole dove potessero sentirsi di casa, cioè al sicuro e non
sufficientemente condizionati dal regime. Il contadino illetterato
soggiaceva poi ad un’ulteriore pressione, costretto com’era a farsi
scrivere il voto dal padrone risorgimentale, sotto i cui occhi
doveva esprimersi per il sì o per il no.
La piena pubblicità dei
suffragi rende inutile lo spoglio finale delle schede e in alcuni
centri il personale del seggio conclude le operazioni di voto e il
relativo protocollo al grido di “Viva l’Italia unita sotto lo
scettro della Casa di Savoja [30] ”.
Il quesito fu più o meno
il medesimo in tutte le province annesse: “Il popolo vuole
l’Italia una ed indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale
e suoi legittimi discendenti?” [31] Naturalmente i suffragi per il
sì raggiunsero picchi (poteva essere diversamente?) mai più
toccati neppure da Stalin: chi può credere che il 99,99% dei veneti
coltivasse sinceri sentimenti unitari e che solo un elettore su
diecimila celasse simpatie per l’Impero [32] , quando ancora il giorno
innanzi la battaglia di Custoza la popolazione veronese accorreva in
massa per le strade a ristorare le truppe di Francesco Giuseppe
stremate dal caldo e dalla fatica? [33] A Napoli l’unanimità del voto
fu garantita dai bastoni dei camorristi, chiamati dai liberali a
sostenere il nuovo governo, a forza di violenze e corruzione.
Garibaldi e risorgimentali si divertirono andando a votare più volte
e le modalità del voto scandalizzarono i pur benevoli osservatori
stranieri. [34]
A Roma [35] dopo l’ingresso delle truppe
sabaude il 20 settembre [36] , il 2 ottobre 1870, giorno
fissato per il plebiscito, si ripeterono le stesse scene già viste
altrove. Sinistri personaggi che votavano più volte in seggi
diversi; drappelli di teppisti non meno sinistri che stazionavano
presso i seggi, offrendo ai votanti le due schede col sì e
col no. Naturalmente la patriottica masnada applaudiva
freneticamente chi prendeva la prima scheda, mentre erano fischi e
ingiurie per chi osava pigliare la seconda, manifestando così il suo
coraggio. Pur essendo del tutto scontato l’esito della
(truccatissima) consultazione [37] , i liberali in segno di
giubilo suonano a distesa la grande campana del Campidoglio e il
giorno seguente violano la reggia pontificia del Quirinale e la
occupano, scassinano le porte con l’aiuto di alcuni fabbri,
sfrattando con mala grazia due cardinali [38] .
Gli antisabaudi e chi
votava no se la vedeva brutta: a Napoli un contadino gridò
Viva Francesco II! e fu ucciso all’istante. Nel
trevigiano [39] un tale Angelo Tempesta osa
gridare Evviva l’Austria! e subito è arrestato e incarcerato
a Castelfranco. D’altra parte la stampa del regime
liberal-massonico, spuntata un po’ ovunque e tutta al soldo dei
nazionalisti, l’aveva scritto a chiare lettere: “Chi dice sì mostra sentirsi uomo
libero, padrone in casa propria, degno figlio dell'Italia. Chi
dice no fa prova
d’anima di schiavo nato al bastone croato. Il sì, lo si porta all’urna a
fronte alta, sotto lo sguardo del sole, con la gioja nell’anima, con
la benedizione di Dio! Il no, con mano tremante, di
nascosto come chi commette un delitto, colla coscienza che grida:
traditore della patria!” [40]
Naturalmente i verbali dei
risultati e le schede sparirono subito e già nel 1903 non si
trovavano più né presso le preture né presso i municipi [41] . Vediamoli comunque questi
risultati truccati, regione per regione [42] .
I.
Toscana
(11-12 marzo 1860): Sì 566.571. No 14.925. Annessionisti:
97,43 % Contrari: 2,56 %
II.
Parma, Modena e
Romagne (11-12 marzo 1860):
Sì 426.006. No 756. Annessionisti:
99,82 % Contrari: 0,17 %
III.
Napoli e
province (21 ottobre 1860): Sì 1.302.064. No 10.512.
Annessionisti: 99,19 % Contrari: 0,80 %
IV.
Sicilia
(21 ottobre 1860): Sì
432.053. No 667. Annessionisti: 99, 84 % Contrari:
0,15%
V.
Marche
(4-5 novembre 1860): Sì 133.807. No 1212.
Annessionisti: 99,10 % Contrari: 0,89 %
VI.
Umbria
(4-5 novembre 1860): Sì 97.040. No 380. Annessionisti:
99,60 % Contrari: 0,39 %
VII.
Veneto, Mantova e
Udine (21-22 ottobre 1866): Sì 641.758. No 69. Annessionisti: 99,98
% Contrari: 0,01 %
VIII.
Roma e
Lazio [43] (2
ottobre 1870): Sì
133.681. No 1507.
Annessionisti: 98,88 % Contrari: 1,11 %
Ma ammesso (senza
concederlo) che i plebisciti si fossero svolti in maniera del tutto
regolare, vi è un argomento giuridico contrario ancora più forte: i
vari decreti di annessione furono emanati dal governo subalpino sul
presupposto che le province inglobate nel regno sardo si erano
offerte a Vittorio Emanuele (lasciamo stare ora quanto
spontaneamente) e che questi aveva dovuto accettarle. Ma chi può
offrire ciò che non gli appartiene? E se è giusto non riconoscere
neppure ai popoli toscano, emiliano, romagnolo ecc. la cosiddetta
autodeterminazione, la quale è dottrina liberale conseguente
all’infausto principio della sovranità popolare, parto velenoso
della rivoluzione francese, in forza del quale la metà più uno fa la
verità e il potere proviene non già da Dio bensì dal basso, ebbene
quale legittimazione ad unirsi al Piemonte e a disporre di ciò che
loro non apparteneva potevano mai avere quattro settari che con
l’inganno e con la violenza avevano usurpato le legittime Autorità
degli antichi Stati italiani [44] ? Senza dire che sia i
preliminari di Villafranca dell’11 luglio 1859, sia il trattato di
Zurigo (10 novembre 1859) che poneva fine alla seconda guerra
risorgimentale, conservavano interi i loro Stati ai Duchi di Parma,
di Modena e al Papa [45] .
D’altra parte, ammoniva
Pio IX, “è noto all’universo mondo come in questi luttuosi tempi,
gl’infestissimi nemici della Chiesa e di questa Santa Sede, resi
abominevoli nei loro disegni e parlanti menzogna nella loro
ipocrisia, conculcando ogni diritto umano e divino, si sforzino
iniquamente di spogliarla del civil Principato, di cui essa gode; e
ciò procaccino di conseguire […] con moti popolari, maliziosamente
eccitati […]. In queste subdole e perverse macchinazioni, che Noi
lamentiamo, ha parte precipua il Governo subalpino; dal quale
oggimai tutti sanno quanto gravi e quanto deplorevoli offese e danni
furono recati in quel regno alla Chiesa, a’ suoi diritti ed a’ suoi
ministri” [46] . E qualche anno più tardi,
dopo il sacco e l’occupazione militare piemontese di Roma,
aggiungeva: “quel Governo, seguendo i consigli rovinosi delle
sètte, ha compiuto contro ogni diritto, con la forza delle armi, la
sacrilega invasione già da gran tempo premeditata di questa Nostra
alma città e delle altre città che Ci erano rimaste dopo la
precedente usurpazione [47] .” “Dalla stessa enormità
del delitto veniamo tratti a sperare che finalmente sorgerà Dio e
giudicherà la sua causa; tanto più vedendo essere Noi privi d’ogni
umano soccorso per opporci a sì gran male [48] ”.
L’augurio del Beato Pio IX, formulato in
quel tempestoso 1870 lo facciamo nostro, affinché l’alba del terzo
millennio, secondo le promesse della Santa Vergine a Fatima, conosca
la restaurazione e il trionfo della Chiesa e della Tradizione
Cattolica su tutti i nemici.
Maurizio-G. Ruggiero
ELENCO ILLUSTRAZIONI
SULL’ANTIRISORGIMENTO
1.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. I - H. Serie 1a
n. 70] - 1849 Venezia: Ferma! Ferma! Dálli al corvo. È un
pretaccio austriacante; accoppalo. Vicenza. Museo di storia del
Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
2.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. I - H. Serie IIa ,
pag. 179, n. 2] - Verona. Combattimento dei
Cacciatori Austriaci al cimitero di Santa Lucia. 6 maggio (1848).
Vicenza. Museo di storia del Risorgimento. Vicenza. Museo di storia
del Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
3.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - H. Serie IVa
, pag. 106, n. 20] - Caricatura del 1848. La
notte sparì. M. Manfredi dis. Bologna f.g. Vicenza. Museo di storia
del Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
4.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - H. Serie IVa
, n. 138] – A Giuseppe Garibaldi Primo cittadino d’Italia
Eletto Presidente onorario della Società Atea. Venezia 20 settembre
1879. Ugo Casanuovo eseguì. Vicenza. Museo di storia del
Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
5.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - H. Serie IVa
, n. 170] – Battaglia di Lissa (20 luglio 1866). Pubblicazione
del Giornale Il Buonumore. Da uno schizzo di un ufficiale della
Regia Marina. Vicenza. Museo di storia del Risorgimento. Raccolta G.
Fantoni.
6.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - H. Serie IVa
, n. 277] – Soldati italiani che la unità della Patria
suggellando col sangue caddero gloriosamente il XX settembre
MDCCCLXX alla breccia di Porta Pia. Grande tavola allegorica. Lit.
Fran.co Casanova. Bologna 1880. Vicenza. Museo di storia
del Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
7.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - H. Serie IVa
, n. 282] – Plebiscito romano. Roma. Grande allegoria storica.
La rana cromolit. Bologna 1898. Vicenza. Museo di storia del
Risorgimento. Vicenza. Museo di storia del Risorgimento. Raccolta G.
Fantoni.
8.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - G. Serie IIa
, pag. 161, n. 15] – Radetzky conte Joseph. Feldmaresciallo
Dis. Melchiorre Fontana. Lit. Kirchmayr. Venezia 1849.
Vicenza. Museo di storia del Risorgimento. Vicenza. Museo di
storia del Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
9.
[Raccolta G. Fantoni - Vol. III - G. Serie VIIa
n. 292] – Metternich. Wiehl
pit. Eybl lit. Vienna. Vicenza. Museo di storia del
Risorgimento. Raccolta G. Fantoni.
10.
[Esposta in mostra a Vicenza] – Giovanni Selerio:
La battaglia navale di Lissa. VII decennio del XIX secolo. Olio su
cartone. Provenienza: Vicenza. Dono G. Fantoni. 1893. Vicenza. Museo
di storia del Risorgimento.
Album della guerra del 1866. Edoardo
Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di
Giuseppe Civelli in Milano. Senza data. [Catalogo Biblioteca
Civica di Verona 102. 9]
1.
1-2 [P. 13] Transito dal passo del
Brennero di truppe austriache mandate in Italia. Album della guerra
del 1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
2.
1-2 [P. 32 sopra] La piazzaforte di
Peschiera. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
3.
1-2 [P. 32 sotto] La piazzaforte di
Mantova. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
4.
1-2 [P. 37] Sua Altezza Imperiale e
Reale l’Arciduca Alberto Federico Rodolfo d’Asburgo (Vienna 1817 -
Arco di Trento 1895). Figlio del celeberrimo Arciduca Carlo, grande
antagonista del Bonaparte, pro zio dell’Imperatore Francesco
Giuseppe, ebbe dapprima il comando delle truppe incaricate di
liquidare la sedizione liberale del 1848; nello stesso anno militò
fra le divisioni cesaree che vinsero in battaglia le forze della
rivoluzione italiana guidate da Carlo Alberto. Governatore generale
d’Ungheria dal 1851 al 1860, nel 1866, durante la terza guerra
risorgimentale italiana, tenne il comando supremo dell’armata
imperiale con il grado di Feldmaresciallo. Fu lo stratega e
l’artefice della vittoria di Custoza (24 giugno 1866). Incisione di
Colombo. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
5.
1-2 [P. 40 sopra] La piazzaforte di
Legnago. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
6.
1-2 [P. 40 sotto] La piazzaforte di
Verona. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
7.
1-2-3 [P. 52] Venezia. Partenza per
Gradisca degli agitatori liberali e dei nazionalisti risorgimentali,
detenuti nelle imperial regie carceri di San Severo. Incisione di
Cosson e Smeeton. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno
Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe
Civelli in Milano. Senza data.
8.
1-2 [P. 73] Ludwig August von Benedek,
Feldmaresciallo imperiale (Ödenburg 1804 – Graz 1881). Partecipe
della vittoria del Radetzky a Novara nel 1849 nella prima guerra
risorgimentale italiana, nella seconda del 1859 meritò la promozione
a generale in seguito al valore dimostrato sul campo nelle battaglie
di Melegnano e di San Martino. Nel 1866, comandante l’armata del
Nord chiamata a fronteggiare i Prussiani, fu accerchiato dal von
Moltke e sconfitto a Sadowa. Incisione di Cioffi. Album della guerra
del 1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
9.
1-2 [P. 88] Sassonia. Teatro di guerra
austro-prussiano. Ingresso dei Prussiani in Lipsia. Incisione di
Cosson e Smeeton. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno
Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe
Civelli in Milano. Senza data.
10.
1-2 [P. 89] Luogotenente generale
cavaliere Raffaele Cadorna (Milano 1815 - Torino1897). Dopo aver
combattuto sotto le armi sabaude nella prima guerra rivoluzionaria
italiana del 1848 e successivamente in Crimea, nella seconda guerra
risorgimentale del 1859 fu promosso colonnello a San Martino per
meriti di guerra. Fu luogotenente generale nel 1866, durante la
terza guerra risorgimentale, al comando della 1a
divisione (2° corpo d’armata). Incaricato d’invadere i territori
pontifici, occupò nel 1860 l’Umbria e le Marche e nel 1870 Roma.
Ricevette per questo grandi onori dal regime massonico e fu deputato
e senatore. Incisione di Gallieni. Album della guerra del 1866.
Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
11.
1-2 [P. 100] Imbarco di volontari
garibaldini sul Lago di Garda. Incisione di V. Mercier. Album della
guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze.
Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza
data.
12.
1-2 [P. 112] Il Feldmaresciallo von
Benedek attorniato dal suo Stato Maggiore. Album della guerra del
1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
13.
1-2 [P. 117] La vittoria dell’esercito
imperiale su quello sabaudo a Custoza, il 24 giugno 1866. Il 4°
battaglione del 49° Reggimento dell’esercito subalpino si dispone a
quadrato per respingere una carica degli Ulani imperiali e difendere
il Prìncipe Umberto. Evidente qui l’intento della propaganda
nazionalista risorgimentale di trasformare una bruciante disfatta
militare in una semi-vittoria. Album della guerra del 1866. Edoardo
Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di
Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
14.
1-2-3 [P. 132] Arrivo a Milano, il 26
giugno 1866, dei soldati imperiali fatti prigionieri dalle truppe
sabaude a Custoza. Ancora una volta la propaganda risorgimentale
mira a distogliere l’attenzione del lettore dalla disastrosa
sconfitta militare patita dalle armi risorgimentali, agli ordini del
borioso generale Alfonso La Marmora. Album della guerra del 1866.
Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
15.
1-2 [P. 133] Prigionieri italiani
nell’Anfiteatro di Verona, detto l’Arena, dopo la sconfitta di
Custoza del 24 giugno 1866. Incisione di Centenari. Album della
guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze.
Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza
data.
16.
1-2-3 Prigionieri
italiani nell’anfiteatro di Verona, detto l’Arena, dopo la sconfitta
di Custoza del 24 giugno 1866. Incisione di Centenari. In
Tuttitalia Enciclopedia dell’Italia antica e moderna. Milano.
Sadea. N. 13 del 26 febbraio 1964, pag. 419. [Migliore quella
precedente, tratta dagli originali].
17.
1-2 [P. 180] Le truppe imperiali,
vittoriose sul campo nella guerra del 1866, fanno saltare in aria le
fortificazioni di Rovigo prima di sgombrarle, onde evitare che
cadano in mano ai risorgimentali sconfitti. Album della guerra del
1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
18.
1-2 [P. 196] Lago di Garda. La
flottiglia austriaca si ritira sotto il tiro dei cannoni di
Peschiera, in mano ai sabaudi, dopo essersi avanzata contro le
cannoniere dei volontari. Incisione di Colombo. Album della guerra
del 1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
19.
1-2 [P. 217] Conte Emilio Faà di Bruno
(Alessandria 1820 – Lissa 1866). Dopo aver combattuto da parte
risorgimentale nella prima guerra d’indipendenza del 1848, ebbe il
comando a Lissa (20 luglio 1866) col grado di capitano di vascello,
della pirofregata Re d’Italia. Rimasta priva degli organi di
comando e urtatasi con l’ammiraglia imperiale Ferdinand Max,
la nave prese ad imbarcare acqua. Il Faà di Bruno, medaglia d’oro
alla memoria, s’inabissò con la sua corazzata. Incisione di Cioffi.
Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
20.
1-2 [P. 220] Battaglia di Lissa (20
luglio 1866). Affondamento della pirofregata Re d’Italia. Album
della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze.
Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza
data.
21.
1-2 [P. 221] Battaglia di Lissa.
Esplosione e affondamento della cannoniera Palestro. Incisione di
Gallieni. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
22.
1-2 [P. 228] Entrata dei Prussiani in
Francoforte. Incisione di Cosson e Smeeton. Album della guerra del
1866. Edoardo Sonzogno Editore. Milano-Firenze. Tipografia dello
stabilimento di Giuseppe Civelli in Milano. Senza data.
23.
1-2 [P. 232] Wilhelm von Tegetthoff
(Marburgo, Stiria 1827 – Vienna 1871). Durante la prima guerra
risorgimentale del 1848-49, pose il blocco navale a Venezia,
determinando la fine della sedizione liberalmassonica di Daniele
Manin. Nel 1864 sconfisse nelle acque di Helgoland la flotta danese.
Vice ammiraglio, comandò la squadra imperiale che trionfò a Lissa
sulle navi sabaude. In seguito a quella vittoria Tegetthoff divenne
membro a vita della Camera alta, poi comandante generale della
Marina e nel 1869 fu nominato dall’Imperatore Consigliere Aulico
della Corona. Album della guerra del 1866. Edoardo Sonzogno Editore.
Milano-Firenze. Tipografia dello stabilimento di Giuseppe Civelli in
Milano. Senza data.
Verona. Biblioteca
Civica. Gabinetto stampe e disegni
10. 1-2-3
[9.d.9] - Battaglia di San Martino (24 giugno 1859).
L’artiglieria della terza divisione all’attacco finale di San
Martino. Stampa in bianco e nero da un dipinto di Sebastiano de
Albertis. Calzolari e Ferrario fotolitografia. Milano. R. Armenise
editore. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe e
disegni.
11. 1-2-3
[9.c.29] - Battaglia di Custoza del 24 giugno 1866.
Panorama delle posizioni di Custoza, Belvedere e Bagolina preso
dalle alture tra pianure e Santa Lucia. Prospetto delle forze
combattenti sul Belvedere (III corpo Della Rocca). Piano dell’ultimo
combattimento del Belvedere (8a divisione Cugia,
9a divisione Govone, 1a compagnia III
divisione Boni). Raffigurazione dell’episodio del capitano Perrone
di San Martino e l’ultima difesa del Belvedere. Raffigurazione
dell’episodio dell’ultima difesa di Monte Croce: il sergente Carlo
Roari di Melegnano del 6° battaglione bersaglieri dell’8a
Divisione, salva la vita al suo capitano cavaliere Negri, già
ferito e circondato dai soldati imperiali. Ritratti del capitano
Giovanni Negri del 6° bersaglieri ora defunto e della medaglia
d’oro, cavalier Davide Giolitti, maggiore del 6° bersaglieri ora
maggior generale in servizio. Disegno e incisione di Cenni. 2a
edizione del 1889. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe
e disegni.
12.
1-2-3 [2.142] -
Soldati austriaci la sera del 6 ottobre 1866 in Piazza Bra. I
soldati dell’Imperatore sedano le provocazioni arrogantemente
scatenate dai nazionalisti risorgimentali alla vigilia della
cessione del Veneto, già in corso, dall’Impero a Napoleone III e da
questo ai Savoia, a guerra ormai finitada un pezzo. Da un dipinto di
Ercole Calvi. Fotografia in bianco e nero di Maurizio Lotze. Verona.
IX esposizione artistica del 1867. Verona. Biblioteca Civica.
Gabinetto stampe e disegni.
13.
1-2-3-4-5-6 Morte di Carlotta
Aschieri trafitta dal ferro austriaco la sera del 6 ottobre 1866 nel
caffè Zampi, odierno bar Motta, di Verona. Si trattò in realtà della
morte accidentale di una donna, causata dalle provocazioni
tricolorate scatenate a guerra finita dai liberali italiani e
represse dagl’Imperiali, provocazioni e contegno dei “patrioti” che
furono condannati anche dal Gabinetto sabaudo di Firenze. Prein int.
Penuti Verona. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe e
disegni.
14.
1-2-3-4 [9.c.35] – Il quadrato di
Villafranca. 24 giugno 1866. Stampa a colori tratta da un dipinto di
Sebastiano de Albertis conservato a Milano, al Museo del
Risorgimento Nazionale. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe
e disegni.
15.
1-2-3 [9.c.64] - Caricatura contro
Verona che, ancora nel 1866, non vuole ribellarsi ag’Imperiali e
passare coi nazionalisti risorgimentali, atteggiamento in
controtendenza rispetto al nazionalismo risorgimentale che si imputa
alla stretta sorveglianza della polizia austriaca. Dice l’Italia a
Verona: Perché non vieni avanti? Vedi le tue sorelle? E
Verona risponde: Purtroppo lo farei, ma finché quel signore non
se ne va è impossibile fare un passo. Naturalmente la strada dei
risorgimentali rappresenta il sol dell’avvenire ed è pomposamente
intitolata Via del progresso recante insegne a pro della
pubblica istruzione; quella in cui si trova Verona e l’occhiuta spia
degli Asburgo, è denominata Via degli immobili. Qui, secondo
il pregiudizio illuminista, campeggiano soltanto gli avvisi sacri
dei bigotti e degl’ignoranti. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto
stampe e disegni.
16.
1-2-3 [9.c.74] – La lettura del
verdetto che condanna a morte Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, in
Piazzetta San Marco a Venezia, condanna subito commutata nel carcere
duro nella fortezza dello Spielberg, rispettivamente per 15 e 20
anni, dei quali scontarono effettivamente soltanto otto. La sentenza
fu pronunciata nel 1820, in seguito agli atti di terrorismo compiuti
materialmente da loro e dalla setta dei carbonari, alla quale essi
appartenevano e a causa dei quali furono uccisi una ventina di
soldati dell’Imperatore, mentre altri restarono feriti. Pellico e
Maroncelli furono liberati anticipatamente nel 1830. Pellico in
seguito non s’interessò più di politica, si convertì al
cattolicesimo (seppure deformato dal clima romantico dell’epoca) e
negli ultimi anni di vita si legò ai Marchesi di Barolo, famiglia
risolutamente avversa al liberalismo e anzi di sentimenti
legittimisti e reazionari. Di più dura cervice anticlericale il
Maroncelli, il quale esulò dapprima in Francia e poi negli Stati
Uniti, Paesi che erano il paradiso dei settari, dei nemici della
Chiesa e dei rivoluzionari di tutte le risme, anarchici inclusi.
Qui, colpito da cecità, morì pazzo. Stampa a colori di I. Cenni.
Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe e disegni.
17.
1-2-3 [9.c.16] - Ultimi
istanti di vita di Pietro Derossi di Santa Rosa (Torino 1805 – ivi
1859). Ministro dell’agricoltura e del commercio, per aver votato le
leggi Siccardi, leggi di spirito anticlericale che privavano la
Chiesa e gli Ordini religiosi dei loro beni legittimamente
acquisiti, muore senza sacramenti, avendogli l’Arcivescovo di Torino
concesso di accostarsi alla confessione, ma non al viatico. Il
Derossi, muore così scomunicato, nonostante le tardive suppliche sue
e della moglie. Milano. Disegno di Vajani Legros e Marazzani
editori. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe e
disegni.
18.
1-2-3 [12.c.136] - Pio IX
in trono. Roma 23 agosto 1871. A perenne ricordo del singolare e
grande avvenimento che in questo dì si compì nel magnanimo Pio IX,
Pontefice Massimo, superando gli anni di pontificato dei suoi
antecessori e di San Pietro in Roma, questa fedele immagine
circondata da figurazioni simboliche alla di lui vita e virtù si
pubblica. Stabilimento della pia beneficenza. 2a edizione
1872. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe e
disegni.
19.
[E 2 – 9.b.37] – Conte Joseph Radetzky von
Radetz (Třebnice, Boemia 1766 – Milano 1858). Feldmaresciallo
Imperiale. Ritratto. Litografia di J. Sack. 1854. Verona. Biblioteca
Civica. Gabinetto disegni e stampe
20.
1-2-3 [12.a.206] – Conte Joseph
Radetzky von Radetz (Třebnice, Boemia 1766 – Milano 1858).
Governatore generale del Regno Lombardo Veneto. Feldmaresciallo
austriaco e russo con tutte le sue decorazioni. Schopf Giuseppe
incisore. Disegnato dal vero sulla pietra da Gross. Impresso e
pubblicato dalla litografia Schöpf in Verona. Verona. Biblioteca
Civica. Gabinetto stampe e disegni.
21.
1-2-3 [12.b.111] –
Francesco Giuseppe I, Imperatore d’Austria (Schönbrunn 1830 – ivi
1916). Di forte spirito militaresco, salì al trono appena
diciottenne, il 2 dicembre 1848. Il suo lungo regno vide la
sistematica aggressione della rivoluzione contro l’Impero, del quale
aveva decretato la fine: subì così la perdita della Lombardia nel
1859, del Veneto nel 1866 e la sconfitta e la perdita dell’egemonia
nell’area tedesca a vantaggio della Prussia, quindi la prima guerra
mondiale scatenata proprio per farla finita con l’ultimo Stato
sacrale, erede dell’Impero romano e cristiano. Nel 1867 Francesco
Giuseppe era riuscito a comporre il dissidio tra le maggiori
nazionalità rimaste nell’Impero, Austria e Ungheria. La sua
esistenza fu carica di lutti e di croci, da lui sopportate con
mirabile fortezza: nel 1853 subì l’attentato di un sarto ungherese,
Libenyi, di sentimenti nazionalisti; nel 1867 il fratello
Massimiliano cadde fucilato dai rivoluzionari in Messico; nel 1882
un nuovo tentativo di assassinare l’Imperatore, elaborato
dall’irredentista italiano Guglielmo Oberdan, fu sventato; nel 1889
l’unico figlio maschio di Francesco Giuseppe ed erede al trono
imperiale fu trovato, sembra suicida con una delle sue amanti, a
Mayerling (Rodolfo si era legato ai più nefandi circoli settari e
sembra che la sua morte sia stata decretata perché non aveva
mantenuto la promessa di uccidere il padre); nel 1898, la moglie di
Francesco Giuseppe, la fatua imperatrice Elisabetta, maniaca dei
viaggi e dei divertimenti e con nelle vene il sangue tarato dalla
follia dei Wittelsbach, la quale si era separata da lui fin dal
1867, cadde a Ginevra, sotto lo stiletto dell’anarchico italiano
Lucheni; nel 1914 toccò infine all’erede al trono, Arciduca
Ferdinando e alla moglie, dei quali erano noti i sentimenti di
fedeltà alla tradizione ed antiliberali, venire uccisi dalla mano
del nazionalista serbo Gavrilo Prinzip, armata dalle sette. Mentre
si apriva lo scenario tragico della conflagrazione mondiale, pochi
mesi dopo l’Italia risorgimentale, legata dalla Triplice Alleanza
alla Germania e all’Impero, li tradiva, passando di campo con le
democrazie massoniche franco-anglo-americane e, di lì a poco, il
vecchio e stanco Imperatore si spegneva. Realizzazione di A. Einsle.
A. Dauthage litografo. Tipografia Joseph Stoufs. Vienna. Edizioni F.
Paterno. Verona. Biblioteca Civica. Gabinetto stampe e
disegni.
22.
1-2-3 [12.b.98] –
L’Imperatore Francesco Giuseppe I in visita a Verona con la consorte
Elisabetta Amalia. Con i ritratti dei Sovrani, dei Principi della
dinastia d’Asburgo ancora fanciulli, fra l’aquila e l’arma
imperiale, la Corona Ferrea e gli emblemi del Regno Lombardo-Veneto.
In Verona ospite avventurata a Francesco Giuseppe ed Elisabetta
Amalia spargenti sui loro passi grazie e beneficenze, festose e
riconoscenti la Lombardia e la Venezia si danno convegno. Disegno di
Focosi. Milano. Litografia Corbetta. Verona. Biblioteca Civica.
Gabinetto stampe e disegni.
[43] Nell’Urbe i risultati furono, se
possibile, ancora più bulgari: Sì 40.835. No 46. Annessionisti: 99,88
% Contrari: 0,11%.
[44] “L’accettazione, per essere
legittima, deve supporre altresì legittima l’offerta, […] che
se altri offerisce cosa che in nessuna guisa non è sua, sanno anche
i bimbi che è ladro chi offre non meno che chi accetta. Ora qual
diritto poteano avere, non diremo già i popoli di Ducati e delle
Legazioni, ma i faziosi che ne usurparono il governo?” Ed anche
la fola sul supposto malgoverno di quegli Stati non varrebbe a
ribaltare il princìpio: “il supporre che la mala signoria, vera o
pretesa, possa conferire ad un popolo il diritto di ribellare al
proprio Prìncipe, per annettersi ad altro cui crede meglio, sarebbe
ammettere nel suo più crudo significato il mostruoso princìpio della
sovranità popolare […] princìpio il quale, attuato nella sua
ampiezza, sarebbe il sepolcro di tutte le monarchie”. Così La
Civiltà Cattolica. 1860. Anno XI. Serie IV. Vol. VI, pp. 7-9.
Poco meno di un secolo dopo il plebiscito del 2 giugno 1946,
abolitivo della monarchia sabauda e fondativo della ahinoi! tuttora
vigente repubblica italiana, ne costituiva un’impressionante
conferma storica.
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