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I plebisciti di Casa Savoia

Riporto alcuni stralci tratti dal libro

CASA SAVOIA
nella storia d'Italia

di Luigi Salvatorelli
Gentile Editore, Milano, 13 agosto 1945

inerenti ai plebisciti indetti dai Savoia.

Dalle pagine 90-91

La fusione tra iniziativa. regia e popolare, tra monarchia e popolo, fu trovata nei plebisciti. Fu una soluzione assai più conforme all'interesse immediato monarchico che all'esigenza nazionale democratica. Ci sono i plebisciti di tipo svizzero e quelli di tipo napoleonico: decisioni veramente libere, pienamente illuminate del popolo su ciò che si deve fare o legalizzazioni di uno stato di fatto creato dalla forza maggiore. I plebisciti del 1860 si avvicinano più al secondo tipo che al primo. Non c'era scelta fra il ristabilimento dei vecchi governi e l'annessione al regno di Vittorio Emanuele. Invece dell'annessione, sarebbe occorsa la costruzione, cioè la Costituente. Il risultato materiale sarebbe stato lo stesso, perché la Costituente sarebbe certo riuscita in maggioranza monarchico-sabauda. La dinastia poteva rischiare: in verità non vi era rischio. Mazzini per primo sapeva di essere minoranza ed era perfettamente rassegnato. Ma insisteva giustamente sul punto principale: lo stato nazionale creato per libera volontà popolare, il «patto nazionale». Invece non solo non si volle la Costituente ma neppure la proclamazione del re d'Italia da parte dei rappresentanti del popolo. Il parlamento, - eletto a suffragio ristrettissimo, - si limitò a prendere atto che Vittorio Emanuele II assumeva il titolo di re d'Italia. Non vi fu neppure il cambiamento, - e fu veramente un colmo, - del «secondo» in «primo». Il regno nazionale d'Italia si presentava come una semplice appendice nello stato sabaudo, di diritto divino.

Vittorio Emanuele II, oltreché «Padre della patria», fu anche il «Re galantuomo» (al D'Azeglio si deve l'invenzione e la diffusione del titolo) perché mantenne lo Statuto e il giuramento ad esso prestato.

[ Nota. I Genovesi seppero sulla loro pelle quanto fosse «galantuomo» quel Re che, dopo averne ordinato il massacro materialmente compiuto dai bersaglieri di La Marmora, arrivò a ingiuriare i Genovesi definendoli, in una lettera scritta in francese a La Marmora per complimentarsi della feroce repressione, vile e infetta razza di canaglie. ]

Dalle pagine 97-98

Le secolari tradizioni sabaude di tergiversazioni, di ambiguità, di sotterfugi, tradizioni formatesi durante secoli di politica necessariamente meschina praticata fra due vicini potenti, continuavano a gravare sulla nuova Italia, e avrebbero gravato ben oltre la compiuta unificazione nazionale, fino ai giorni nostri, fino a questi giorni di disastro. E così nel settembre 1870 l'Italia, secondo l'efficace immagine del Carducci, salì al Campidoglio «ginocchioni, con la fune al collo», chiedendo di persuadere l'uno e l'altra che quel che si faceva lo si faceva per necessità, per la salvezza della religione e dell'ordine europeo, ad evitanda mala maiora. Era una seconda edizione peggiorata dell'atteggiamento di Carlo Alberto nel '48, quando entrò in Lombardia.

Anche adesso la Costituente avrebbe potuto sanare i procedimenti tortuosi e meschini. Ma anche adesso ci si attenne al solito procedimento annessionistico-plebiscitario dal quale mancò poco che non fosse esclusa la Città Leonina, che pure il papa aveva rifiutato. Mancò definitivamente, per il pregiudizio dell'interesse dinastico-conservatore, la costituzione organica, integrale, dalle fondamenta, del nuovo stato italiano, per il popolo e dal popolo, mancanza a cui corrisposero le deficienze della coscienza e della vita politica nazionale.

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