Giovanni Rebora
«Ma l'Italia l'ha fatta Cavour»
Le repubbliche di Genova, Lucca e Venezia, dichiarate morte per decreto dal
Congresso di Vienna, all'epoca, nel 1814, non erano affatto in declino, ma furono
debellate da forze militari preponderanti; in un'Europa infestata da re di origine
germanica, l'obiettivo era cancellare gli stati repubblicani indipendenti, in
particolare quelli ricchi, più potenti di qualsiasi reame dal punto di vista
finanziario. È sostanzialmente questa la ragione per cui la repubblica di Genova
venne aggregata agli stati sardi di terraferma, sotto la corona del re di Sardegna,
senza che un plebiscito ne sancisse l'annessione: lo sostiene, con tanto di
documentazione storica in gran parte originale, il professor Giovanni Rebora, docente
di Storia economica e direttore del Dipartimento di Storia moderna e contemporanea
dell'Università di Genova, secondo cui «la ribellione dei genovesi del 1849, dopo la
sconfitta di Novara, fu brutalmente repressa nel sangue da bande di avanzi di galera
comandate dal generale La Marmora, lo stesso che a Novara scappò come un coniglio ma
a Genova seppe sopprimere decine di ortolani di San Teodoro, stuprare e devastare al
grido di dov'è Balilla ».
Non ci può essere, quindi, grande entusiasmo, da parte di Rebora, nell'accogliere
il rientro a pieno titolo dei membri di casa Savoia: «Si vantano d'aver fatto l'Italia
- aggiunge lo studioso - ma l'Italia, se mai, l'ha fatta Cavour. Del resto, il
comportamento dei reali di casa Savoia non è mai stato molto limpido. Hanno mandato
a morire milioni di uomini al grido di Savoia!, hanno trasformato in assassini
migliaia di giovani che avrebbero lavorato la loro terra, ma noi continuiamo a credere
che la decadenza cominci nel Cinquecento e si inoltri fino al Settecento. No davvero:
la decadenza, iniziata con Napoleone, ha raggiunto il punto più basso con i Savoia,
quando arrivò anche l'arretratezza. Se tornano in Italia, almeno non vengano a
Genova».
«Dal mio punto di vista - è la conclusione di Rebora -, ribadisco che non è
questione di essere favorevoli o contrari alla monarchia. Non è in gioco l'istituzione.
Molti reali hanno dimostrato di essere all'altezza, nell'assolvere al loro compito.
Carlos di Borbone, ad esempio, lo sa fare, il re, e molto bene. Certo, con lui sarebbe
tutta un'altra cosa...».
Qualche perplessità viene espressa anche da Alleanza monarchica, il «braccio
politico» dei monarchici italiani (20mila iscritti) che sarà presente alle prossime
amministrative genovesi: «Non ci schieriamo nelle dispute fra sostenitori dei
Savoia o degli Aosta, è inutile accapigliarsi - spiega il presidente nazionale,
Roberto Vittucci -. Ma abbiamo già detto più volte che non avremmo più riconosciuto
quei principi di casa Savoia che avessero formalmente e a tutti gli effetti giurato
fedeltà alla Repubblica. E restiamo di questo parere».
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