LE RAGIONI DI UN RINVIO SENZA FINESavoia. Ecco perché non ritornano
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DUE ANNI
DI PROMESSE
VITTORIO EMANUELE
Fra quattro mesi ci
vediamo in Italia. Non vedo l'ora di tornarci. Finora l'ho vista solo
in cartolina
EMANUELE FILIBERTO
Entro un anno noi
Savoia saremo in Italia. Berlusconi lo ha promesso a papà
VITTORIO EMANUELE
Berlusconi? Non lo conosco
personalmente. Per quello che ne so è basso di statura ricco e molto potente.
A pelle preferisco Fini.
VITTORIO EMANUELE
Se rientriamo, dobbiamo dire
grazie a Berlusconi. Ha detto in tempo breve quello che gli altri non sono
riusciti a fare
VITTORIO EMANUELE
Oggi è un grande giorno.
56 anni di esilio. È stata lunga, è stata dura, ma abbiamo sempre cercato
di non nuocere all'Italia. Adesso è finita. Finalmente ritorniamo
EMANUELE FILIBERTO
Voglio poter
finalmente rimpatriare prima di Natale. Non aspetto l'ora. Subito
andrò a salutare i siciliani che hanno organizzato autobus per venirci a trovare
quassù
EMANUELE FILIBERTO
Speriamo di farcela presto.
Abbiamo fretta. però non so dirle con precisione quando. Penso tra un mese,
a dicembre, dipende da papà. Per cominciare, andremo a Napoli e Roma
I SAVOIA
«Non è escluso che
possiamo vivere in Toscana». Emanuele Filiberto:«Sì, Roma potrebbe
andar bene. Anche Milano. E Venezia: io sono principe di Venezia»
VITTORIO EMANUELE
Dolore o non dolore,
stretto nel mio busto, farò un blitz in Italia, con la mia famiglia.
Sogno Napoli, perché da lì sono partito. E lì voglio tornare. Spero
di essere ricevuto dal Papa
EMANUELE FILIBERTO
Presto sarò da voi. Forse
vivrò a Venezia
VITTORIO EMANUELE
Ci vediamo fra un mese. Avremo
più tempo per salutare tutti
EMANUELE FILIBERTO
È difficile lasciare la
propria città, il proprio lavoro, i propri amici, non penso di trasferirmi
in Italia per il momento, ma intedo comunque trascorrerci molto tempo
EMANUELE FILIBERTO
Quando verrò in Italia può darsi
che vivo a Milano
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la storia |
Pierangelo Sapegno |
ROMA
La differenza tra ieri e oggi è che l'esilio adesso è diventato
volontario. Sarà pure il mal di schiena, saranno le vertebre rotte, ma i
Savoia non tornano. Quando l'hanno fatto, prima di Natale, si sono ben
guardati dal fermarsi: un salto a Ciampino e poi di corsa al Vaticano,
manco a Roma ci avessero la peste, e neanche un salto al Pantheon, dove
sono sepolti i reali. Prima di scappare hanno detto: «Torniamo a gennaio».
Poco dopo, uno stilista di moda fra i loro amici più stretti, ha avvisato
qualche giornalista amico: «Niente gennaio. Metà febbraio». Adesso ci
dicono che forse l'8, o il 10 marzo a Napoli, ma solo dei blitz come
quello del Vaticano, toccata e fuga, nessun ritorno vero e proprio.
«Vedremo».
Ma cos'è successo? L'Italia fa improvvisamente paura a Vittorio
Emanuele? Siamo diventati degli orchi? Il ministro Giovanardi ha detto
alla Camera che i Savoia non hanno ritirato il ricorso a Strasburgo contro
l'esilio, per un risarcimento morale e materiale. Of course: soprattutto,
materiale. Quello morale serve per parlare. Giovanardi non l'ha ammesso,
ma s'è capito: Italia e Savoia trattano. Solo su questo? Pare proprio di
no. In ballo ci sono un mucchio di altre cose. La Famiglia ha scoperto che
diventare italiani è mica tutto rose e fiori: c'è qualche nuovo dovere da
rispettare, qualche piccola grana in più, qualche rottura, qualche legge.
Ce n'è una che dice che non si possono fare ordini dinastici, come quello
di San Maurizio e Lazzaro, ad esempio. E' una vecchia legge del 1951, ma
c'è. E se non va bene: da sei mesi a due anni di galera. Meglio stare
all'erta.
Allora, rifacciamo la storia dall'inizio. Alla fine magari
potremo scoprire che è soprattutto o soltanto una banale storia di soldi.
Che farci, si sa che la vita è così. Poi, forse non è che ci sia tanta
gente in pena. I diritti ora sono salvi, e le coscienze anche. I Savoia li
aspettano moltissimo in Rai, più che in Italia. Però, erano loro che
volevano tanto tornare, che non sembravano più vivere senza di noi, che si
commuovevano ogni passo avanti che faceva l'avvicinarsi dell'agognato
rientro. Quello che è successo ormai crediamo d'averlo capito quasi tutti,
dopo le smentite e le accuse della Famiglia. Dicevano: «Il principe ha mal
di schiena, ha due vertebre rotte. Per il resto, non c'è niente di
misterioso, solo le voci di quelli che congiurano contro il nostro
ritorno». Va bene l'incidente al rally d'Egitto, e la botta e il dolore.
Però, Carlo Giovanardi, il ministro per i rapporti con il Parlamento,
rispondendo alla Camera a un'interrogazione presentata da Enrico Buemi,
Enrico Boselli e Ugo Intini dello Sdi, ha dichiarato ufficialmente per
primo che i Savoia «non hanno ancora ritirato il ricorso presentato alla
Corte europea dei diritti dell'uomo a Strasburgo». E questo, nonostante un
impegno assunto con il governo italiano, con una lettera indirizzata al
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, come ha rivelato il ministro:
«Vittorio Emanuele prese quest'impegno formale l'8 luglio del 2002,
rivolgendosi direttamente al capo del governo. In quella data, gli
scrisse: "Signor presidente, desidero assicurare che è mia intenzione
ritirare il ricorso che presentai avanti alla Corte europea dei diritti
dell'uomo, una volta approvata la legge costituzionale abrogativa dei due
primi commi della XIII disposizione transitoria e finale della
Costituzione e decorsi i tre mesi prescritti senza che venga richiesto il
referendum confermativo. È evidente che solo in questo caso potrà dirsi
per quella vicenda cessata la materia del contendere"».
In quel ricorso,
presentato a Strasburgo per i 56 anni di esilio subito, i legali dei
Savoia avevano stilato una lunga lista di risarcimento danni. Quali siano
davvero le pretese, è difficile dirlo con certezza: si parla del
patrimonio appartenuto un tempo alla casa reale, si parla di ville e
dimore, qualcuno ha pensato anche ai gioielli. In ogni caso, si
tratterebbe di parecchi milioni di euro. Il governo avrebbe risposto
offrendo in uso alcune di queste proprietà. Ai Savoia non basta.
All'inizio avrebbero nicchiato, incerti, tanto che, a un avvocato pisano,
Vittorio Emanuele avrebbe detto: «Verrò ad abitare dalle tue parti». Cioè,
nella tenuta di San Rossore, che è del presidente della Repubblica. Vi
lasciamo immaginare la contentezza di Ciampi.
Comunque, Giovanardi ha già
detto alla Camera che quel ricorso non l'hanno ancora ritirato, nonostante
le promesse e le trattative. Non l'hanno fatto fino adesso. L'impressione
è che non lo faranno neppure dopo. Il sito Internet Dagospia ha scovato
chissà come una lettera inviata dal professor Emmanuele Emanuele e
dall'avvocato Alex Schmitt alla Corte europea dei diritti dell'uomo. In
questo documento, i legali di Vittorio Emanuele chiariscono che il voto
del Parlamento italiano che ha abrogato l'esilio dei Savoia, «pur
costituendo un importante passo in favore del ricorrente, fa solamente
cessare alcune delle denunciate violazioni, ma non cancella certamente le
lesioni subite da Vittorio Emanuele in tutti gli anni passati e fino al
momento in cui la norma è stata in vigore. Tale abrogazione, quindi, non
fa venire meno il diritto e l'interesse del ricorrente a vedere accertate
le predette violazioni e a ottenere la relativa condanna nei confronti
dello Stato italiano».
I Savoia raddoppiano. Altro che ritirare il
ricorso. Gli avvocati, alla fine della lettera, per chi non l'avesse
ancora capito, ribadiscono la riserva, «già formulata nel ricorso, di
agire per il risarcimento dei danni morali morali e materiali subiti a
seguito dell'ingiusto esilio, nonché per essere stato il cliente privato
senza indennizzo delle proprietà della Sua famiglia». E poi ribattono a
Giovanardi. Ma quali promesse? Non ne è stata fatta nessuna, dicono: «Non
è condivisibile l'opinione esposta dal Governo italiano in merito alla
lettera dell'8.07.2002. Anzitutto tale lettera contiene una mera
dichiarazione di intenti e non già una dichiarazione di rinuncia espressa
ed incondizionata; tale dichiarazione, inoltre, è stata espressa del tutto
informalmente nell'ambito di una corrispondenza che era strettamente
privata, e come tale quindi priva di qualsiasi effetto giudiziale».
Non è
finita qui, però. Da una parte, i Savoia non ritirano il ricorso;
dall'altra, per loro si profila l'ombra scura della legge per tutti gli
Ordini Dinastici Sabaudi e le loro Opere di Beneficenza. Succede
semplicemente questo: dal 10 novembre 2002, Vittorio Emanuele e Emanuele
Filiberto sono cittadini italiani a tutti gli effetti. Diritti e doveri.
Prima, la loro posizione unica e anomala li esimeva dall'osservanza e dal
compimento dei doveri previsti dalle norme vigenti. Ora devono anche
sottostarci. E per quel che riguarda gli Ordini Dinastici, di cui Vittorio
Emanuele è Gran Maestro, l'articolo 9 della Legge 3 Marzo 1951 li ha
soppressi. E l'articolo 8 della medesima legge vieta «il conferimento di
onorificenze, con qualsiasi forma e denominazioni, da parte di enti,
associazioni o privati. I trasgressori sono puniti con la reclusione da
sei mesi a due anni».
Cioè: se li fanno rischiano l'arresto, e il loro uso
sarebbe vietato in ogni caso, come avrebbe stabilito il parere legale del
ministero degli Esteri, anche quando il conferimento sia avvenuto
all'estero. Raccontano che a Ginevra da mesi tengono riunioni e incontri
uno dietro l'altro per salvare gli Ordini Dinastici, come quello della
Santissima Annunziata, quello Al Merito Civile di Casa Savoia, e
soprattutto quello dei Santi Maurizio e Lazzaro, definito «il più costoso,
il più importante, ma anche il più redditizio». Crolla un castello, ma non
solo, perché i Savoia dovrebbero chiudere molti rubinetti e non potrebbero
più fare beneficenza in ogni parte del mondo. Gli iscritti, che sono
qualche migliaio in tutto, avrebbero l'obbligo di versare 200 euro
all'anno a titolo di appartenenza, come risulta dalla presentazione del
Calendario per il 2003: «La quota annua, quest'anno stabilita in euro
200,00 è da versare entro il primo trimestre 2003, secondo una delle
seguenti modalità che per Sua convenienza sono state così modificate...».
Per i Savoia non sarebbe solo una perdita di immagine. Gli Ordini sono
Opere di Bene in tutto il mondo, ma anche politica, consenso, e porte che
si possono aprire.
Aspettando, i Savoia rafforzano le radici in Svizzera. E fanno le
vacanze. A Natale, Emanuele Filiberto è stato a Cuba, dopo la moto d'acqua
in Africa. Il papà, invece, non s'è mosso da casa. Così dicono.
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