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La Repubblica
Mercoledì 26 novembre 2008
Quella targa in piazza Corvetto
da Tursi una lapide sulla cultura
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Oggi alle ore 11,30 in piazza Corvetto con le grisaglie d'ordinanza «il Comune di
Genova pose» una lapide a ricordo del massacro del 1849 ad opera dei bersaglieri del
generale Lamarmora su ordine del savoiardo Vittorio Emanuele II. La prof.ssa Anna
Dagnino, autrice del testo della lapide però confonde le fave con le nespole e fa
un minestrone di date ed eventi diversi che oggi possono essere funzionali solo alla
controriforma scolastica del ministro Gelmini per confondere i giovani di oggi e
quelli futuri: una cultura approssimativa e offerta a chilo trasforma un popolo
libero in una massa ignorante e pronta per essere manipolata. Non cito questo evento
(si fa per dire) perché sia particolarmente meritevole di menzione, ma perché sul
nostro giornale di domenica 23 novembre a pagina III ho
rilevato da un'intervista che della lapide se ne sono occupate addirittura due giunte,
quella passata di Giuseppe Pericu e quella attuale di Marta Vincenzi che finalmente
partorisce un pezzo di marmo. È già qualcosa. Si apprende inoltre che «negli ultimi
mesi i responsabili dell' estetica cittadina e della toponomastica hanno svolto gli
ultimi accertamenti e sopralluoghi e ora siamo pronti». Onore alla progettualità del
Comune e all'impegno dei suoi responsabili. Con tutto il rispetto per la storia e il
Rinascimento in particolare, senza nulla togliere alla vergogna e all'obbrobrio
dell'eccidio savoiardo, sapere che la signora Sindaco e i «toponomastici» impegnino
mesi e relativi costi di lavoro oltre quelli del marmo su una lapide, fa salire il
sangue agli occhi. È lo stesso Comune di Genova che nel settore dell'assistenza sociale
sulla carne viva della povera gente dichiara come un ritornello stonato che «non
abbiamo soldi». È lo stesso Comune che rade al suolo la cultura, perché un popolo
ignorante non è in grado di valutare gli strafalcioni che lo storico del Comune scrive
sulle lapidi. Ormai gli Assessorati ai Servizi Sociali e alla Cultura, a Genova sono
rimasti solo due scatole vuote per giustificare il personale impiegato che rimane
senza lavoro se i poveri e i disgraziati devono arrangiarsi altrove e se chi fa cultura
strutturale deve arrangiarsi perché il Comune «non ha soldi».
(...)
Don Paolo Farinella
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