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ULTIME VICENDE DELLA REPUBBLICA GENOVESE

Il sec. XVIII fu l'ultimo di questa Repubblica, che, pur fra tante peripezie, aveva adunato splendori ed imprese gloriose; ma neppure questo ultimo periodo di sua vita poté passarlo in quiete, perché dovette non solo partecipare alle guerre, che sconvolsero l'Europa e subirne la conseguenze, ma fu trascinata in dolorose guerre per la difesa di terre sue o per la conquista di terre vicine, da cui era continuamente minacciata.

Rotta la sua neutralità, durante la guerra di successione austriaca, dovette aprire le porte ad un esercito austriaco piemontese comandato da un fuoruscito genovese, che trattò la città con tanta prepotenza, da sollevar l'indignazione popolare che, iniziatasi con l'episodio di Balilla, finì con la cacciata degli invasori fuor delle mura cittadine (1746). La Repubblica si diede un ordinamento popolare, retto dai «Difensori della libertà» da prima dal «Comitato di guerra» di poi, resistendo vittoriosamente all'assedio degli austropiemontesi ed al blocco delle navi inglesi, che insistettero invano nel loro proposito, per tutto l'inverno del 1747 e parte della successiva primavera. Grande fu giustamente la gioia dei Genovesi, quando finalmente furono liberati da questa grave minaccia e ancor oggi le supreme Autorità comunali si recano il 10 dicembre di ogni anno in forma ufficiale alla Chiesa di Oregina, per rinnovare il ringraziamento alla Madre di Dio, protettrice di Genova, per la miracolosa liberazione allora ottenuta.

Memorando è pure il fiero atteggiamento del Doge G. F. Brignole Sale, che, invitato dal generale austriaco a far uso delle armi contro il popolo, rispose che la Repubblica non avrebbe mai acconsentito a rivolgere contro i propri figli quelle armi, che solo «alla loro difesa erano destinate».

Vani erano stati frattanto i tentativi di Genova per riportare la pace in Corsica e per rassodarvi il suo dominio con armi proprie o con armi austriache. L'isola, guidata in primo tempo da audaci ed abili agitatori corsi, fu in un secondo tempo il campo facile di un avventuriero, Teodoro Neuhoff; era ormai così ostile al regime genovese, che la Repubblica, stanca della lunga lotta, accettò l'aiuto di un esercito francese, che, con grave sacrificio di sangue, ridiede per poco tempo l'isola al pacifico dominio dei genovesi.

Riaccesasi la ribellione degli isolani, guidati da Pasquale Paoli (1750), dopo complicate ed alterne vicende, Genova stipulò, nel 1768 il famoso trattato di Versailles, per il quale vendeva la Corsica alla Francia, riservandosi un inutile diritto di riscatto.

In questo secolo risorse l'annosa questione del Finale, marchesato finitimo, che era stato sempre a cuore dei Genovesi, timorosi che potesse diventare punto d'appoggio di qualche potenza straniera, per minacciare da quelle coste il commercio della Repubblica. Nel secolo precedente vi erano state convenzioni e controversie per questioni di mare e per la vendita del sale, che si erano trascinate per più di cinquant'anni ed erano state risolte solo dall'abilità diplomatica di A. G. Brignole Sale.

Finalmente questo Marchesato, già dei Del Carretto, fu dall'Impero, nel 1713 venduto alla Repubblica genovese, che tuttavia da questo acquisto trasse più noie, lotte e spese che vantaggi.

Per le gravezze imposte dai governatori genovesi, il popolo del Finale insorse nel 1730 e fece prigioniero lo stesso rappresentante della Repubblica, appellandosi poi all'Imperatore, perché ottenesse maggiore mitezza nella amministrazione di quella regione. Genova accolse queste raccomandazioni perdonò agli insorti; ma l'attrito si riaccese quando, nel 1743, si sparse la voce che il Finale sarebbe stato ceduto al Re di Sardegna. La Repubblica, comprendendo che una tale cessione rappresentava per lei il più grave pericolo, essendo note le mire della Casa di Savoia sulla stessa Genova, decise di cercar di opporsi a tale decisione con ogni mezzo diplomatico e, in caso di necessità, con le armi. Vi fu infatti una serie di piccole azioni guerresche, in seguito alle quali il Re si impadronì del territorio finalese, che tenne in sue mani per tre anni fino al trattato di Aquisgrana (1748) dopo il quale il Finale tornò sotto il dominio della Repubblica genovese.

Durante la seconda metà del sec. XVIII, la vita di Genova trascorse senza scosse e senza fatti notevoli, per effetto non di feconda e silenziosa attività, ma di stanchezza e di sfiducia. Il traffico era fortemente diminuito, il numero dei lavoratori dimezzato, il commercio paralizzato dalla concorrenza di altri paesi e «Genova» - come scrive il Manfroni - «non era più se non l'ombra di quella potentissima città marinara, che aveva incusso il terrore in tutto il Mediterraneo e che era stata maestra a tutte le nazioni occidentali di arte navale».

Potrebbe dirsi che Genova, influenzata dalla cultura del secolo, venisse stemperando il suo ristretto patriottismo regionale in un più ampio respiro. La sua vita si affina e se non si espande più in lotte esterne o è arrestata nelle sue vie mercantili, si svolge alle opere dello spirito, a cui aveva pure dato uomini come l'astronomo Cassini, il giureconsulto Casaregis, ed il matematico Baliani. Molti sono i patrizi che si dedicano alle scienze, mentre Gerolamo Franzoni si adoperava a diffondere l'istruzione pubblica con biblioteche e con nuovi ordini educativi e Lorenzo Garaventa apriva nella sua casa di Ponticello le prime scuole per i figli del popolo.

In tale ambiente dovevano suscitare eco e curiosità le notizie sulla Rivoluzione francese e dovevano suscitare ricordi lusingatori e speranze le idee di libertà e di diritti dell'uomo, che specialmente per via di mare arrivavano con facilità. Dopo una visita della squadra francese si aprirono clubs e logge massoniche ed apertamente si parlava delle nuove rivendicazioni e si discuteva delle nuove forme di governo. Iniziatasi la guerra d'Italia, la Repubblica decise di dichiararsi neutrale, diffidando certo dei progetti dei novatori «genialisti francesi» e temendo maggiormente gli eserciti austropiemontesi; ma tuttavia, non avendo forza sufficiente per far rispettare la sua neutralità, non poté impedire la violazione, non ostante la sua accorta e febbrile azione diplomatica.

Da prima furono gli Inglesi, di poi i Francesi, che pare fossero in relazione con alcuni agitatori genovesi arrestati in quel tempo, perché volevan riformare lo Stato; quindi, come conseguenza, avanzarono gli Austriaci, portando così la guerra nel territorio stesso della Repubblica.

Genova credette di mantenersi fuori di un intervento diretto, rifiutando l'alleanza offerta dalla Francia, i cui soldati del resto avevano saccheggiato i paesi della Riviera di Ponente, dopo la vittoria sugli Austriaci ma, sceso in Italia il Bonaparte, poco rispettoso di trattati e di indipendenze territoriali di fronte ai suoi piani di guerra, la Repubblica genovese, senza aver potuto manifestare la sua volontà, dovette cadere nella politica e nell'azione francese, con prestiti di danaro e con veri atti di guerra (1796). Tali fatti accrebbero le speranze di quei genovesi che vagheggiavano riforme nuove, aiutati in questo da alcuni patrizi, desiderosi di togliere il governo dalle mani di famiglie avversarie, e, nel maggio 1797, vi fu una specie di sollevazione, che mirava ad instaurare un regime democratico.

Tutto si ridusse ad una serie di tafferugli per le vie, con morti d'ambo le parti. perché a sostegno del governo, erano accorsi popolani e contadini; ma la conclusione fu che, essendo stati uccisi anche alcuni forestieri, il Bonaparte ebbe il desiderato pretesto per dettare i suoi patti alla Repubblica, la quale fu riformata sotto la protezione della Repubblica francese.

Fu bruciato il «libro d'oro», furono cancellati gli stemmi, furono spezzate le statue di Andrea e Gian Andrea Doria, abolito il Dogato, fu istituito un Direttorio, assistito dai due vecchi Consigli, i cui membri furono ridotti di numero.

Genova da allora cessò d'esser Stato autonomo e dovette seguire le sorti del resto d'Europa ed il suo territorio fu solo campo di battaglia per gli eserciti della Francia e della Coalizione. Memorando è il suo lungo assedio del 1800, che Genova, governata dal coraggioso, ma inesorabile generale Massena assistito e moderato dal genovese Luigi Crovetto dovette sopportare con eroici e terribili sacrifici. Fu allora fra i difensori di Genova Ugo Foscolo, che quivi scrisse l'ode alla Pallavicini, caduta da cavallo.

La città cedette alla fame e per pochi giorni restò in potere dell'Austria, che la fece governare da una «giunta imperiale», ma dovette abbandonarla dopo la sconfitta di Marengo. Dal commissario francese fu allora nominata una «Commissione di governo», assistita da una Consulta di trenta membri, che poi furono portati a 72, con maggiore influenza legislativa, quando la Commissione fu sostituita con una giunta, formata dai presidenti delle cinque sezioni del Senato e presieduta da un Doge.

Allorché Napoleone si proclamò Imperatore, Genova, per le pressioni del governatore Saliceti che era un corso, votò col solo voto negativo di Agostino Pareto la sua annessione alla Francia, di cui divenne una provincia, divisa in tre dipartimenti (di Montenotte, di Genova, di Appennini). La Liguria ebbe un periodo di pace «di fervida attività manifestatasi specialmente in lavori edilizi e stradali, ma, per il blocco inglese, soffrì molto nelle sue relazioni mercantili, aggravate dalla pressione del Banco di S. Giorgio dalla svalutazione delle relative azioni mercantili.

Nel 1814 a Genova si svolsero alcuni episodi della guerra ricominciata, vi sbarcò il generale inglese Bentinck, che promise di ridare vita alla Repubblica genovese; ciò che non poté avverarsi perché la Liguria, non ostante il malcontento popolare ed i tentativi diplomatici fatti a Parigi dal Pareto ed a Vienna dal marchese Brignole Sale, fu definitivamente annessa al Regno di Sardegna.

S'era combattuto lungo la Riviera di Levante tra Francesi ed Anglo-Siculi, il popolo era insorto, si era tentato di ottenere l'annessione almeno come Stato autonomo, dando al Re anche il titolo di Re di Liguria; ma furono tentativi vani e l'annessione fu decisa dal Congresso di Vienna senza condizioni.

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