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GENOVA ITALIANA

Genova divenne sede della flotta piemontese, il suo cantiere della Foce diventò cantiere del nuovo Regno e la marina genovese riprese i suoi rapporti con le Americhe; ma la popolazione mal sopportava le restrizioni del regime di Restaurazione e manifestò tale malcontento con società segrete e con le congiure. Lo scoppio avvenne quando Carlo Felice ritirò le promesse costituzionali fatte da Carlo Alberto (1821); fu invaso il palazzo ducale, fu fatto prigioniero lo stesso governatore, ammiraglio De Geneys e fu nominato un governo provvisorio, assistito da un corpo di guardia nazionale. Il moto fu facilmente represso ed il De Geneys nobilmente perdonò l'affronto fatto alla sua persona e si prestò per ottener clemenza allo stesso Carlo Felice.

Genova, che nel 1805 aveva dato i natali a G. Mazzini ed ove s'era molto diffusa la «Giovane Italia», partecipò con largo entusiasmo ai moti liberali del 30 e del 31; fu un centro delle idee mazziniane e nel 33 vide molti suoi concittadini arrestati e condannati insieme con Jacopo Ruffini, che preferì darsi la morte nei tristi sotterranei della Torre.

Nell'anno successivo vi fu un tentativo di rivolta, a cui dovea prendere parte anche Garibaldi, arruolato nella marina sarda; ma il moto fu scoperto e Garibaldi, che si era recato in piazza Sarzano, per attendervi i congiurati, fece appena in tempo a rifugiarsi in una bottega, per poi fuggire da Genova.

Nel 1847 il Re visitò la città, per festeggiare l'anniversario della cacciata austriaca ed in tale occasione, Nino Bixio fermò il cavallo di Carlo Alberto, gridandogli le famose parole: «Passa il Ticino e ti seguiremo».

Nello stesso anno Goffredo Mameli fece sventolare per primo, la bandiera tricolore nell'imponente manifestazione del 10 dicembre ad Oregina, e con i suoi inni ardenti di amore all'Italia e alla repubblica infiammò gli animi nelle prime battaglie per l'indipendenza. Dopo l'amara delusione di Novara il popolo genovese si sollevò ed insorse, invase l'arsenale ed occupò i forti. La ribellione venne repressa non senza asprezza dalle truppe governative comandate dal generale Lamarmora. Avezzana, Morchio e Reta, triumviri che avevano diretta la sollevazione, vennero condannati a morte in contumacia. Molti genovesi accorsero subito dopo all'eroica difesa di Roma repubblicana; tra di essi Mameli, caduto poi combattendo contro i francesi.

Negli anni seguenti l'anima di Genova si fuse sempre più con quella dell'Italia, vivendone le ansie e le speranze e contribuendo con il suo fervido commercio e con l'azione della parte più generosa del suo popolo all'affermarsi dell'idea unitaria, ormai sogno di tutti gli italiani. La città fu il più vivo focolare di patriottismo; in essa convenivano da ogni parte gli esuli, accolti con simpatia ospitale. Centro di idee liberali e democratiche, fu patria di figure insigni dell'aristocrazia e della borghesia che cooperarono attivamente alla soluzione del problema nazionale: i Doria, i Celesia, Balbi Piovera, Pareto, Ricci, Rubattino furono tra i più noti. Quest'ultimo ebbe il merito di volgere a beneficio di tutta l'Italia l'esperienza che Genova aveva dei mari; intensificò i rapporti tra i patrioti genovesi e quelli milanesi; fondò nel 1840 la «Società Lombarda di Assicurazioni Marittime» che poi si trasformò nella prima società di navigazione per il servizio a vapore tra i porti d'Italia. Rubattino nel 1849 prestò i suoi vapori per il trasporto dei Garibaldini a Civitavecchia, e di lì poi trasportò in salvo i resti dell'esercito repubblicano. Nel 1857, mentre in concomitanza dell'impresa Genova avrebbe dovuto insorgere, fornì a Pisacane il piroscafo «Cagliari» per la sfortunata spedizione di Sapri. Su navi di Rubattino partirono da Genova i Mille, tra cui numerosissimi furono i liguri. La tradizione mazziniana e garibaldina fu sempre viva nella città: basta ricordare Bixio, Canzio, Burlando, Mosto, Savi, Campanella, Dagnino.

Anche se sovente trascurata o non sufficientemente aiutata nei propri interessi commerciali da un governo impegnato in molti gravi problemi, Genova con l'industriosità e la genialità dei suoi commercianti seppe accrescere sempre più la propria importanza economica con lo sviluppo del suo porto e con l'impulso della libera iniziativa. Rubattino ampliò il servizio di navigazione portandolo fino ai porti dell'America e delle Indie, ed infine stabilì (1869) quella prima stazione italiana ad Assab che fu il primo germe del dominio coloniale italiano. Quando dunque Genova fu politicamente italiana fu veramente la più fervida di italianità.

La città vanta una nobile priorità rispetto ad altri grandi centri della penisola come culla del movimento operaio Italiano. Sin dal 1851 ebbe la più formidabile organizzazione operaia repubblicana che anticipò i problemi e le battaglie del proletariato moderno: le figure di Savi, Dagnino, Carbone, e più tardi dall'Orso e Pellegrini ricordano altrettante generose esistenze tutte dedite alla difesa degli umili e allo studio dei problemi del lavoro. Genova repubblicana fu sempre fervidamente tesa alla redenzione dei fratelli irredenti, e diede il suo grande contributo di sacrificio e di sangue nella prima guerra mondiale.

Continuo e costante fu lo sviluppo di Genova nell'epoca immediatamente successiva. La città andò rinnovandosi ed ingrandendosi sotto ogni aspetto ed in ogni diversa attività, grazie anche all'opera fattiva delle sue amministrazioni democratiche che continuarono una nobile tradizione da Stefano Castagnola ed Andrea Podestà sino a Federico Ricci.

Anche durante la parentesi fascista non fu spento in molti genovesi, accanto all'amore per la propria città, lo spirito di libertà che è caratteristica fondamentale della gente ligure.

Nell'ultima guerra mondiale durissime furono le ferite inferte a Genova che sofferse gravemente nelle sue case, nelle sue opere d'arte, nella sua popolazione. L'antico sentimento di ribellione ad ogni forma di oppressione fece sì che i genovesi fossero tra i primi nella resistenza e nella lotta di liberazione. La tradizione gloriosa di Balilla, di Mazzini, di Garibaldi ebbe la sua continuazione nelle battaglie per la libertà. A Genova partigiana venne concessa la medaglia d'oro con questa motivazione:

Amore di patria, dolore di popolo oppresso, fiero spirito di ribellione, animarono la sua gente nei venti mesi di dura lotta il cui martirologio è nuova fulgida gemma nell'aureo serto di gloria della Superba Repubblica Marinara.

I 1863 caduti il cui sangue non è sparso invano, i 2250 deportati il cui martirio brucia ancora nelle carni dei superstiti, costituiscono il vessillo che alita sulla città martoriata e che infervorò i partigiani del massiccio suo Appennino e delle impervie valli, tenute dalla VI zona operativa, a proseguire nella epica gesta fino al giorno in cui il suo popolo suonò la diana della insurrezione generale. Piegata la tracotanza nemica otteneva la resa del forte presidio tedesco, salvando così il porto, le industrie e l'onore. Il valore, il sacrificio e la volontà dei suoi figli ridettero alla madre sanguinante la concussa libertà, e dalle sue fumanti rovine è sorta la nuova vita santificata dall'eroismo e dall'olocausto dei suoi martiri

Nel referendum istituzionale Genova espresse, come sempre era avvenuto nella sua lunga storia gloriosa, la propria fede repubblicana. E nell'Italia democratica e repubblicana iniziò con energia ed impegno l'opera di ricostruzione materiale e morale.

ALFREDO POGGI

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