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LA STAMPA
Sabato 3 maggio 2003

PER INFLUENZARE LA PACE E LA GUERRA NON SERVE LA FORZA MILITARE
Difesa europea, sogno rischioso

Andrew Moravcsik


Per molti sapientoni transatlantici, la crisi irachena è un’ulteriore prova del fatto che l’Europa necessita di una forza militare autonoma. Questo concetto è stato energicamente espresso la settima scorsa da Laurent Fabius, ex primo ministro francese, il quale ha detto al Financial Times che l’Europa «non ha potuto far sentire la sua voce negli Stati Uniti perché era divisa e mancava di una forza di difesa unitaria». Da qualche anno i politici europei trovano irresistibile l’idea di una difesa europea. La logica è seducente: se gli Stati Uniti rispettano soltanto la potenza militare, un esercito europeo ispirerà sicuramente rispetto. Nonostante tutto questo, la difesa europea è un pericoloso sogno impossibile. E la crisi irachena dimostra perché. Una forza militare coordinata, capace di combattere una guerra ad alta tecnologia e bassa mortalità, richiederebbe dagli europei un aumento della spesa militare - attualmente intorno al 2 per cento del prodotto interno lordo - fino a oltre la percentuale Usa del 4 per cento. Nessuna opinione pubblica europea accetterebbe una scelta del genere. Per quanti possano essere, aerei, satelliti e soldati plurilingue europei non aggiungerebbero molto a un’efficace risposta politica all’unilateralismo degli Stati Uniti. Gli europei si propongono forse di usare la forza militare contro gli Usa? Di lanciare attacchi «preventivi»? Oppure l’obiettivo è quello di ridurre la dipendenza europea dalla Nato? Se così fosse, il risultato sarebbe quello di incoraggiare quel ritiro degli Usa dall’Europa propugnato dai falchi americani. Una forza europea rapida di reazione potrebbe essere utile per operazioni di peace-keeping ma non sarebbe mai in grado di rovesciare un deciso unilateralismo americano. C’è poi anche un problema di coerenza. Gli europei hanno sostenuto, sin dall’inizio della crisi irachena, un uso più intenso di mezzi non militari. Eppure, quando Washington manda i suoi marines, gli europei chiedono una difesa più forte. Questo modo di vedere le cose distrae l’Europa dal suo autentico vantaggio nella politica mondiale: un potere civile e semi-militare. L’Europa è la «superpotenza tranquilla». Sono almeno cinque i modi in cui l’Europa può influenzare la pace e la guerra tanto quanto gli Stati Uniti. Primo: l’accesso all’Unione europea - forse il singolo strumento politico più potente per decidere la pace e la sicurezza nel mondo d’oggi. In 10-15 Stati membri potenziali, governi autoritari, intolleranti o corrotti negli ultimi tempi hanno perso le elezioni a favore di coalizioni democratiche orientate al mercato, tenute insieme dalla promessa di una futura adesione all’Ue. Secondo: gli europei forniscono più del 70 per cento di tutta l’assistenza civile allo sviluppo. È quattro volte più di quanto diano gli Stati Uniti ed è molto più equamente erogata, spesso da organizzazioni multilaterali. Quando in Kosovo e in Afghanistan finirono gli scontri a fuoco, furono gli europei a essere chiamati a ricostruire e riformare. Terzo: le truppe europee, in genere sotto auspici multilaterali, aiutano a mantenere la pace nei più disparati punti caldi, come il Guatemala o l’Eritrea. I membri dell’Ue o gli aspiranti tali contribuiscono alle truppe di pace dieci volte più degli Stati Uniti. Nessuno al di fuori di Washington ritiene che le truppe Usa saranno in grado di fare in Iraq il lavoro che andrà fatto nel dopoguerra. Quarto: il controllo da parte di istituzioni internazionali, appoggiate dall’Europa, costruisce la fiducia globale che serve per gestire le crisi. La crisi irachena si sarebbe svolta in modo assai diverso se gli europei avessero potuto offrire l’opzione di mandare in Iraq, ad esempio, dieci volte più ispettori dieci mesi prima. Infine, la crisi irachena dimostra lo straordinario effetto delle istituzioni multilaterali sull’opinione globale. Paese dopo paese, i sondaggi hanno dimostrato che una seconda risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu avrebbe fatto oscillare del 30-40 per cento l’opinione pubblica a favore dell’intervento armato. Senza la legittimazione internazionale all’attacco, le truppe americane non hanno potuto aprire un secondo fronte dal territorio turco. Ed è assai probabile che le spese della guerra ricadano in larga misura sugli Stati Uniti. Gli americani non solo non hanno la volontà ma sono anche incapaci - per complesse ragioni interne, culturali e istituzionali - di dispiegare davvero una forza civile. Questa è l’autentica debolezza dell’attuale strategia Usa, perché senza commercio, aiuti, peacekeeping, controlli e legittimità, nessun esercito unilaterale può stabilizzare un mondo turbolento. Anziché criticare la forza militare Usa, o ambire ad averne una analoga, l’Europa farebbe meglio a investire il suo capitale politico o economico in azioni apertamente complementari: il potere civile europeo, se dispiegato in modo più coerente, potrebbe essere lo strumento efficace e credibile di una moderna arte di governo europea, che magari otterrebbe una maggiore comprensione americana. L’Europa potrebbe riuscire a farsi sentire più spesso - e senza bisogno di un esercito più grande.

Direttore del programma
Unione Europea all’Università di Harvard

 

La posizione del M.I.L.

Non violenza, democrazia e pacifismo - Volantino del 29 marzo 2003

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