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IL GIORNALE Se Biasotti tiene dietro alla fantasia di Berlusconi Gianni Baget Bozzo L'immaginazione al potere è uno slogan del '68, un disegno nell'aria ma un potere come immaginazione è una rarità. Berlusconi è un esempio di questa rarità ma vedo con piacere che Biasotti gli tiene dietro. Del resto mi convinsi subito che era un uomo di fantasia quando accettò la linea, sostenuta da Forza Italia all'opposizione con il coordinatore Alberto Gagliardi, la lotta contro la siderurgia a caldo; e il forno elettrico a Cornigliano. Era un gesto contro la Genova dei notabili e degli interessi costituiti cui la sinistra aveva sempre concesso il suo non gratuito patrocinio. Biasotti assunse quella battaglia, fu persino preso a scarpate dalla «classe operaia» manovrata dal padrone ma andò innanzi su quella linea e restituì Cornigliano a se stessa. Ora, certamente confortato dalla presidenza Novi dell'Autorità portuale si impegna nel rifare il corpo dello schieramento d'acqua della nostra città, che fa del nostro perimetro marittimo uno dei maggiori valori aggiunti territoriali italiani. L'idea è sempre la stessa, quella di far respirare la città sul mare e di fare del porto un centro industriale, di unire cioè il valore dell'area a quello del corpo sociale cittadino e di tutte le aree che vi gravitano attorno. Sappiamo che, con un progetto di Renzo Piano, vuole espandere il corpo del porto con due strutture esterne, una destinata all'aeroporto e un'altra come piccola banchina galleggiante per cantieri, rimorchiatori e petrolio. Biasotti impersona così l'immagine di chi rilancia il futuro di Genova a partire dal porto e connette la struttura industriale all'attività portuale. Pensare la costa genovese come un semplice spazio di deposito di industrie e di servizi non legati ai traffici è stato il limite dell'uso dell'area portuale da quando non è più esistita la Repubblica di Genova, dal tempo cioè in cui la città era il porto e il porto la città. Lo spazio geografico, lo spazio economico, lo spazio civile erano stati così regolarmente destinati ad uso diverso, così era andata perduta la percezione del ruolo strategico di Genova come principale porto mediterraneo. Essa venne vista come un pezzo di Italia, dell'Italia unificata dai Savoia, e quindi funzionale soltanto ad essa, mentre la Repubblica di Genova era stata un impero mediterraneo che giungeva fino al Mar Nero, sino a Pera e Galata. Genova ha un destino mediterraneo, non un destino nazionale. Il congresso di Vienna aveva posto fine alla vocazione mediterranea della città, aveva colpito un corpo vivente. Divenendo provincia del Regno, Genova aveva perduto la sua identità storica. Ma oggi la globalizzazione riporta il Mediterraneo alla sua unità e ne fa il mare di mezzo tra il Pacifico e l'Atlantico, globalizza Genova e ridà ai preziosi chilometri quadrati il loro valore, quello che avevano nei tempi d'oro della Repubblica di Genova. Genova sabauda e regnicola non ha identità e solo l'espandersi de mondo gliene riconferisce la possibilità. Il temperamento scontroso dei genovesi è il frutto di questa frattura tra geografia, economia e città, prezzo pesante pagato da Genova all'unità d'Italia. Il genovese che conosciamo è il frutto di un'operazione di soggiogamento, che ha spinto un carattere di vocazione imperiale in una marginalità che consentiva soltanto il mugugno. Biasotti e Novi rappresentano la globalizzazione di Genova che il governo della Casa delle libertà ha incluso nel suo progetto di globalizzazione dell'Italia. È ben contro natura che Genova sia stata la città delle gesta dei no global, ma è un fatto positivo che la città abbia sentito quella occupazione come una violenza al suo corpo storico. Il fatto che Genova sia stata scelta come sede dell'Iit è un fatto inaspettato, ma mostra come il governo Berlusconi abbia inteso che Genova è un pezzo d'eccezione nella globalizzazione d'Italia. Ma che ci fosse la presidenza Biasotti è stata: la condizione che ha reso possibile questa grande scelta.
«Caro Baget, sostieni
la Repubblica Mediterranea» - Replica di Franco Bampi apparsa su "Il
Giornale" il 25 marzo 2004 |
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