La Repubblica
Giovedì 12 marzo 2009
I conti
Tra i moli una miniera senza fondo
in un anno un miliardo e mezzo allo Stato
Azzerati i trasferimenti pubblici; per quest'anno da Roma
neppure un euro per investimenti e infrastrutture
Una miniera inesauribile, che non sembra conoscere la crisi e permette allo Stato
di arricchirsi. Questo è il porto di Genova. Lo scorso anno, lo scalo ha infatti
assicurato all'Erario, sotto forma di Iva e di accise, un miliardo 409 milioni 240
mila euro. Un record assoluto nella storia del porto. Il dato, di per sé, è eclatante,
se si considera che nei dodici mesi precedenti si era arrivati a 986 milioni e che
quindi la crescita percentuale è di oltre il 40 per cento. Ma ancor più eclatante è
quanto lo Stato restituisce alla Lanterna per investimenti in infrastrutture e opere
portuali: zero. Proprio così, quest'anno, per la prima volta, i trasferimenti pubblici
saranno azzerati, in attesa della nuova legge, e si potrà disporre di una percentuale
minima delle tasse portuali (in totale, qualche milione). Si potrebbe anche chiudere
qui, lasciando ognuno libero di fare le sue valutazioni. Il fatto è che il porto di
Genova è giustamente chiamato al confronto europeo, con i grandi scali del Nord Europa,
ma anche con quelli del Mediterraneo. E qui il contrasto è stridente, perché mentre
l'authority genovese riceve briciole, nelle migliori delle ipotesi, agli altri sono
riservate fette cospicue di quanto incassato per conto dello Stato. I soldi, infatti,
ritornano sul territorio e servono alle port authority olandesi, tedesche, spagnole
per investire in tutto ciò che serve a un porto per diventare l' anello forte della
catena logistica del trasporto: collegamenti viari veloci oltre la cinta portuale,
infrastrutture ferroviarie, sostegno a iniziative di marketing territoriale. Esattamente
tutto ciò che oggi, per legge, l'authority di Genova non può fare. Merita anche una
considerazione specifica il peso del bottino genovese: 1,4 miliardi di euro sono il
frutto di una tipologia di merce più ricca e di un attento lavoro di controllo fatto
dalla dogana di Genova. Se solo l'authority potesse disporre di una quota del 10 per
cento, adeguandosi così ai concorrenti, il porto potrebbe sostenere quasi da solo il
costo del Terzo valico. Disporre infatti di 140 milioni l'anno significa avere la
possibilità di accendere mutui ventennali per realizzare le grandi opere infrastrutturali.
Non si tratta quindi di metter mano ad alcuna alchimia finanziaria, quanto di
riutilizzare a fini pubblici una quota di ciò che le banchine assicurano importando
la loro merce pregiata. L'effetto moltiplicatore che si genererebbe con la restituzione
ai porti di una significativa quota percentuale, assicurerebbe ai moli quell'autonomia
finanziaria e fiscale fino a oggi inutilmente inseguita.
mas.min.
[Massimo Minella]
Portualità da rilanciare -
Una delle "battaglie" del
M.I.L.
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