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Il Secolo XIX Lunedì 7 gennaio 2008

AL BOSCHETTO

Niente messa in “zeneize” e la chiesa si svuota

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  L’abbazia del Boschetto, dove si celebrava la messa in genovese

Don Parodi:«Speriamo
che il nostro cardinale
faccia un passo indietro.
E che il prossimo anno
venga lui a celebrare»

DAL BUIO della navata s’alza limpida la voce del coro e le parole sono quelle del genovese, le liriche della tradizione: “ma se ghe pensu”, “piccon, dagghe cianin”. Ma è l’unico sprazzo di dialetto che riecheggia dal pulpito dell’abbazia del Boschetto di Campi, dove ieri si è declamata una cerimonia interamente in italiano.

Poca gente: tanti posti vuoti, tante sedie “riservate” abbandonate tra le prime file. Il raffronto con gli anni passati è una secchiata d’acqua gelida in faccia. Per tutti: per i fedeli, per i membri della “A Compagna”. «Le altre volte neanche si riusciva a entrare - allarga le braccia Franco Bampi, uno dei 12 consoli dell’associazione fondata nel ‘23 e da sempre attiva nella promozione d’iniziative per la valorizzazione della “lingua” genovese -. La folla arrivava sino all’ingresso, tanti erano costretti ad assistere in piedi, schiacciati gli uni agli altri. Oggi non c’è nemmeno un quarto delle persone accorse gli altri anni: questo ci riempie il cuore di tristezza». La messa in dialetto, celebrata al Boschetto la prima volta il 26 ottobre 2003 (la prima Messa Zeneize è stata celebrata al Santuario di N.S. della Vittoria ai Giovi e non al Boschetto, ndr) e da allora divenuta tradizione, era anche un evento catalizzatore, apprezzato dai fedeli e dai puristi della lingua antica, dagli anziani, dai genovesi che venivano ad assistere da ogni angolo della città: un’occasione (anche) per valorizzare, mantenere viva la tradizione. Le regole imposte dal Vaticano, ribadite da Papa Ratzinger e confermate dal cardinale Bagnasco hanno di fatto tagliato le gambe all’espressione dialettale nelle celebrazioni liturgiche. «Obbedisco all’arcivescovo, ma resto della mia opinione - insiste Bampi -. Tanti cristiani e credenti apprezzavano questa iniziativa che per loro era come ripercorrere la storia, ascoltare la voce degli avi e in questo modo sentirsi forse ancora più parte del sentimento religioso. Oggi abbiamo perso qualcosa d’importante, che speriamo però di recuperare in futuro».

«Dispiace - premette don Alberto Parodi prima di dar vita alla celebrazione della solennità dell’Epifania - che si sia arrivati a questa decisione. Si è pensato potesse esserci troppa libertà d’interpretazione della liturgia, ma l’intenzione non è mai stata questa. Speriamo che il nostro cardinale, il prossimo anno, faccia un passo indietro. E che anzi si convinca e venga magari lui stesso, essendo genovese, a celebrare in dialetto». Un invito che difficilmente potrà essere raccolto,ma che riempie di speranze i pochi intervenuti, i fedeli sorridenti all’ascolto della frase, un po’ provocatoria, che chiude la messa: «Ti ringraziamo, Signore, di averci dato la forza di obbedire al nostro vescovo». «Siamo fieri di ciò che abbiamo fatto. E in questo dobbiamo molto al rettore del santuario della Vittoria don Sandro Carbone, esperto biblista e traduttore - legge ad alta voce Alessandro Casareto, presidente della “A Compagna” -. Grazie a lui negli anni scorsi si è potuto dare forma alla tradizione, non solo qui ma anche in altre parrocchie, dal santuario di Santa Caterina da Genova alla parrocchia di Santa Zita. La messa “zeneize” ha avuto sempre grande partecipazione di fedeli, e mai è stata intesa come superficiale appagamento: piuttosto come emozione evocatrice di storia e tradizione, per valorizzare, così come i canti, la sacralità del mistero liturgico centrale alla santa messa». «Crediamo che proprio per questi motivi la “messa zeneize” abbia sempre avuto l’approvazione del cardinale Bertone, che ha retto la nostra curia negli anni in cui si è formata la tradizione - insiste Casareto -. Oggi non possiamo che prendere atto della determinazione del nostro arcivescovo, perché in noi prevale senza dubbio lo spirito di umiltà e obbedienza, ambedue virtù cristiane. Ciò detto siamo pronti a chiedere un incontro, nella speranza che un sereno e aperto dialogo possa far orientare il nostro pastore verso una futura benevola concessione».

FEDERICO AMODEO

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