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A grafia tradissionale
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La grafia tradizionale
Le Vocali
La durata di una vocale è la durata del suono: le
vocali lunghe durano quasi il doppio delle vocali brevi.
Se sulla vocale è segnato l'accento (fa eccezione la û perché rappresenta il suono
della "u" francese) allora l'accento ci informa se la vocale va detta lunga o breve, aperta
o chiusa. In generale se sulla vocale non è segnato nessun accento allora:
- se la vocale è seguita da una consonante doppia il suono è sempre breve - libbro
(libro) - sappa (zappa) - parolla (parola);
- se la vocale è seguita da una consonante scempia (semplice) il suono può essere
- lungo, e allora la vocale è tonica: la "a" di lago (lago),
- breve: la "a" di façile (facile) o di strapuntê (materassaio).
Per questo qui sotto si riportano solamente i casi delle vocali
sormontate dall'accento.
La vocale a si pronuncia come in italiano.
- Suono breve: à - àmoa (boccale, vaso di terra cotta a pancia larga
con manico) - mamà (mamma).
- Suono lungo:
- ä - mäveggioso (meraviglioso) - ätro (altro);
- â - cämâ (calamaio) - mangiâ (mangiare).
La vocale e ha due suoni: aperto e chiuso; se non è
tonica, la lettera e è sempre chiusa. Il suono aperto è sempre breve e può
essere segnato con l'accento grave è. Per il suono lungo, aperto e strascicato,
si adopera la scrittura ae (talvolta anche æ). Il suono chiuso può essere
lungo, ë, ê, o breve; quando è tonico il suono breve può essere segnato
con l'accento acuto é.
- Suono aperto breve: è - caffè (caffè).
- Suono aperto lungo: ae
- nel corpo della parola può essere tonico - saeximo
(senno, assennatezza, giudizio) - aegua (acqua);
- oppure atono - paeguâ (ombrellaio, ombrellata)
- imbriaegon (ubriacone);
- alla fine della parola è sempre tonico: çittae
(città) - parlae (parlate) - mae (mio).
- Suono chiuso breve: é - ménoa (menola
- pesce non pregiato) - é (egli è - lê o l'é).
- Suono chiuso lungo:
- ë - camëa (cameriera) - pëzo (peggio)
- ë (tu sei - ti t'ë),
- ê - camê (cameriere) - lê (egli, ella,
lui, lei) - pê (piede).
Il digramma ae indica il suono di una "e" aperta e
lunga; non prende mai l'accento.
- Si adopera solamente in questi casi:
- alla fine della parola, e allora è sempre tonico - fanae (fanali - plurale
di fanâ) - voentae (volontà);
- nel corpo della parola seguito da vocale - ciaeo (chiaro);
- nel corpo della parola seguito da consonante scempia (semplice) - maeximo
(medesimo, stesso).
- Eccezione: per ragioni etimologiche (caduta delle "r" intervocalitica,
e riduzione dei due suoni "ai" nel suono della "e" aperta breve
in sequenze quali farinn-a - fainn-a - fænn-a) si usa il digramma ae anche
davanti a "n velare" (la "n" di can), che può essere
doppia, per indicare il suono "breve e aperto della e" in parole come:
bavaen (bavaglino) - faenn-a (farina) - maenn-a (marina) -
scaen (scalino).
- Le lettere "c" e "g" messe prima di ae vanno pronunciate come la "c" di
casa e la "g" di gatto: quindi, dopo la "c" e la "g" non va messa la "h"
- sciaccaelo (pazzerello) - gaelo (spicchio d'arancia,
gheriglio di noce).
- Se, invece, le lettere "c" e "g" messe prima di ae vanno pronunciate come la
"c" di cilindro e la "g" di gita allora bisogna mettere una "i" dopo la
"c" e la "g" - ciaeto (pettegolezzo) - giaea (bietola).
- Per indicare che le due vocali vanno lette separate può essere utilizzata la posizione
dell'accento - scäe (scale) - Màllae (Màllare - comune dell'alta valle
Bormida).
La vocale i si pronuncia come in italiano.
- Suono breve: ì - chì (qui, qua) - coscì (così) - lì.
- Suono lungo:
- ï - ferïo (ferito) - lïa (lira)
- î - dî (dire) - fî (filo)
La vocale j non viene adoperata nello scrivere il genovese. Va però ricordato che
la vocale j è stata usata per indicare la semivocale "i" in parole come "äja",
äia (aria), "seja", seia (sera), ecc.
Il digramma eu denota un suono che non è presente
in italiano: si pronuncia allo stesso modo nel quale i francesi dicono feu, peu, heureux.
Non prende mai l'accento. Anche questo suono può essere breve o lungo.
- Suono breve: nel corpo della parola se seguito da consonante doppia
- tonico - cheutto (cotto) - deutta (dote) - dixeutto
(diciotto);
- atono - euggiâ (occhiata).
- Suono lungo:
- nel corpo della parola se seguito da consonante scempia (semplice):
- tonico - appreuvo (appresso, dietro, dopo, in seguito)
- reusa (rosa) - neuvo (nuovo);
- atono - euvetto (ovetto);
- oppure se seguito da vocale:
- tonico - cheuio (cuoio) - meua (mola) -
figgieua (ragazza);
- atono - euiòu (oliato);
- alla fine della parola, allora è sempre tonico - seu (suo, sua, sorella,
strato) - meu (molo) - figgieu (ragazzo).
- Se lettere "c" e "g" messe prima di eu vanno pronunciate come la "c" di
casa e la "g" di gatto allora bisogna mettere una "h" dopo la "c" e la
"g" - cheu (cuore) - magheu (grosso masso, macigno).
- Se, invece, le lettere "c" e "g" messe prima di eu vanno pronunciate come
la "c" di cilindro e la "g" di gita allora bisogna mettere una "i" dopo
la "c" e la "g" - cieuve (piove) - baggieu (girino).
- In pochi casi le due vocali vanno lette separate - Europa.
La vocale o ha due pronunce molto diverse: come la
"u" italiana e come la "o" aperta italiana. In generale si pronuncia "u", e se è tonica
può essere scritta con l'accento acuto ó, ma le eccezioni sono davvero molte. Per
fare un esempio la pronuncia non dipende dal fatto che la vocale sia tonica o atona! In
ultimo, la durata può essere breve o lunga.
- Suono "u" breve:
- o tonica - torta (torta) - orso (orso);
- o atona - bollitigo (solletico) - ombrisallo
(ombelico) - ormezzo (ormeggio).
- Suono "o" breve:
- o tonica - ommi (uomini) - porta (porta);
- o atona - cornabûggia (origano) - offeisa
(offesa);
- ò - baxaicò (basilico) - ronfò (fornello a legna) -
ò (o - congiunzione).
- Suono "u" lungo:
- ô - gôa (gola) - pôso (polso) - dôçe (dolce);
- ö si usa solo per evitare di scrivere identiche queste tre parole
- lö (loro) e lô (lupo) - cö (con il, col, con lo) e
cô (colore) - sciö (sul, sullo) e sciô (fiore, signore).
- Suono "o" lungo:
- ö - föa (favola) - öxelli (uccelli) - pöso (stantìo,
raffermo) - pö (po', apocope di poco).
La vocale u si pronuncia come in italiano.
- Suono breve:
- u - cacciòu (cacciatore) - guägnâ (guadagnare) - puffo
(debito) - quande (quando);
- ù - scucuzzù (pasta per minestrone a pezzi quasi
sferici).
- Suono lungo: ü - büra (borra - lanuggine di animali, miseria)
- müro (muso, ceffo).
Il suono û, "u" francese, non è presente in italiano:
si pronuncia allo stesso modo nel quale i francesi dicono menu. La durata può essere breve
o lunga in accordo con la regola sulla durata detta all'inizio. Però:
- û alla fine della parola è sempre tonico:
- con suono breve quando la corrispondente parola italiana ha la "u" finale tonica
- ciû (più) - sciû (su) - zû (giù);
- con suono lungo quando, confrontando con l'italiano, è caduta una sillaba
- mû (mulo)
Il dittongo òu, tipico del genovese, si pronuncia
marcando la "o" aperta e dicendo veloce la "u" italiana. Si usa
- nel participio passato dei verbi della prima coniugazione - ciammòu (chiamato)
- pensòu (pensato);
- nelle parole come pròu (prato) - ballòu (pianerottolo, ballatoio)
- zûgòu (giocatore) - çiòula (cipolla).
Il dittongo atono ao compare in parole come çeixao (cece), singao
(zingaro), succao (zucchero) e si legge come il dittongo òu. Seguendo la
regola generale, al plurale la vocale "o" diventa "i" e il dittongo si legge "ai", anche
se taluni pronunciano "ei" con la "e" stretta (tipicamente çeixai viene letto
"seixei").
Osservazioni varie circa le vocali genovesi.
- Se in una parola è presente il suono della "u" italiana, anche lungo, e se questa
parola ha un corrispondente italiano non troppo diverso, è possibile decidere se va
usata la "o" oppure la "u" guardando la grafia della parola italiana - giorno
(giorno) - punto (punto) - zunta (giunta) - dôçe (dolce)
- müro (muso).
- La desinenza italiana "oro", che in genovese perde la "r", si scrive öu e
non "öo" - cöu (coro, ma più spesso cavolo) - möu (moro, negro) -
tesöu (tesoro).
- Pronuncia della lettera e (tratto dal vocabolario di Gismondi).
- È solitamente aperta quando è tonica ed è seguita dalla "r" e da un'altra
consonante - çerto (certo) - averto (aperto) - merçe (merce)
- sterso (sterzo).
- Ritorna però chiusa quando perde l'accento tonico - çertessa (certezza)
- avertûa (apertura) - stersâ (sterzare).
- Lo stesso succede quando è seguita dalla "l" (elle) e da un'altra consonante
- elmo (elmo) - svelto (svelto)
- Anche qui ritorna chiusa se perde l'accento - elmetto (elmetto)
- sveltessa (sveltezza).
- Questa legge però non vale se è seguita da "s" e da un'altra consonante; può essere:
- aperta - festa (festa) - resto (resto) - contesto
(contesto);
- chiusa - testa (testa) - presto (presto) - pesto
(pesto) - questo (questo).
- Ci sono infine delle parole che si scrivono identiche ma hanno significati
differenti a seconda che è aperta o chiusa: létto (letto - per dormire) e
lètto (letto - dal verbo leggere) participio passato del verbo lëze
(leggere) - tèsto (testo - di legge, di un libro, ecc.) e tésto
(teglia) - pèsta (peste - malattia epidemica) e pésta (pesta,
pestare: indicativo presente terza persona singolare) voce del verbo pestâ
(pestare). In questi casi è bene segnare con l'accento il suono aperto.
Accenti e altri segni
L'accento circonflesso ( ^ )
- allunga il suono delle vocali alla fine della parola - mascâ (schiaffo a mano
aperta sulla guancia) - pappê (carta) - vestî (vestito, vestire)
- dottô (dottore) - mû (mulo);
- marca il tempo infinito dei verbi della prima e della quarta coniugazione - cantâ
(cantare) - sbraggiâ (gridare, sgridare, riprendere) - dî (dire) -
scöxî (svergognare, dire male di qualcuno);
- si adopera sulla "o" (e si scrive ô), anche nel corpo della parola al posto dei
due punti, per indicare il suono della "u" italiana lunga - pôso (polso)
- ôa (ora - dell'orologio).
I due punti (o dieresi ¨ )
- allungano il suono delle vocali nel corpo della parola - cädo (caldo)
- fondëa (abbondanza, dovizia) - gïo (giro) - scöso (grembo)
- müro (muso);
- vanno sempre messi sulle vocali lunghe atone - cäsetta (calza, calzetta)
- mëgâ (medicare, curare) - öfeuggio (alloro);
- vanno messi, quando serve, per marcare
- il tempo futuro dei verbi - sentiä (sentirà) - parliö
(parlerò);
- il participio passato femminile dei verbi della prima coniugazione al fine di
distinguerlo dall'infinito - indicä (indicata - infinito indicâ) -
mandä (mandata - infinito mandâ);
- la seconda persona plurale dell'indicativo, imperativo e congiuntivo dei verbi
della quarta coniugazione al fine di distinguerli dall'infinito - sentï
(sentite - infinito sentî) - dormï (dormite - infinito dormî);
- messi sulla "o" marcano il suono lungo della "o" aperta italiana, eccettuati tre casi
in cui marcano il suono lungo della "u" italiana solamente per evitare di scrivere
identiche parole di diverso significato - omofoni - lö (loro) e lô (lupo)
- cö (con il, col, con lo) e cô (colore) - sciö (sul, sullo) e
sciô (fiore, signore).
L'apostrofo. La caduta di lettere all'inizio della parola (aferesi) a alla fine
(apocope) va indicata con l'apostrofo - 'na (una - aferesi di ûnna) - 'n amigo
(un amico) - 'n'amiga (un'amica) - so' andaeto (sono andato - apocope di son
andaeto) - ma attenzione a pö (po' - apocope di poco) e a sto (questo).
Il trattino (o tratto d'unione) si adopera
- nelle preposizioni articolate a-e (alle)- da-o (dallo) - ecc.
- per indicare il suono nn- delle parole come campann-a (campana),
lûnn-a (luna), ecc.
Tutto, o quasi, sugli accenti
Ricordiamo innanzi tutto che l'accento può essere
tonico e fonico.
- L'accento tonico indica la vocale sulla quale la voce si posa con maggior
intensità.
- In genovese ci sono parole per le quali la voce si posa sopra due vocali diverse;
in questi casi l'accento tonico cade sull'ultima delle due vocali - cäsinn-a
(calce), accento tonico sulla "i" - pösâ (posare), accento tonico sulla
"a".
- Frequentemente l'accento tonico non viene scritto, ma quando si scrive deve essere
anche fonico.
- L'accento fonico denota come si deve pronunciare una vocale, aperta o chiusa,
lunga o breve.
- L'accento fonico può essere anche tonico.
- L'accento fonico che non è tonico va sempre scritto.
Il genovese utilizza quattro accenti fonici: acuto, grave, circonflesso e i due punti
(o dieresi).
Accento acuto: é - ó
- L'accento acuto è sempre tonico; può essere marcato se si vuole indicare dove cade
l'accento.
- é denota il suono breve e chiuso della "e" - léppego oppure leppego
senza accento (viscidume, untume) - léttia (lettera);
- va sempre marcato sulle parole polisillabe che finiscono con la "e" accentata,
breve e chiusa - perché (perché) - zacché (giacché);
- denota la terza persona del verbo ëse (essere): lê o l'é (egli
è).
- ó denota il suono breve della "u" italiana:
- solitamente si adopera la o senza alcun accento;
- può essere utilizzato per chiarire meglio la pronuncia - ûn córpo in to
còrpo (un colpo nel corpo).
Accento grave: à - è - ì - ò - ù
- L'accento grave è sempre tonico; può essere marcato se si vuole indicare dove cade
l'accento.
- Va sempre marcato sulle parole polisillabe che finiscono con la vocale accentata
- trapàn (trapano) - caffè (caffè) - coscì (così) - però
(però) - scucuzzù (pasta per minestrone a pezzi quasi sferici).
- è denota il suono breve e aperto della "e".
- ò denota il suono breve della "o" aperta italiana;
- si utilizza per distinguere la congiunzione ò (o) dall'articolo
determinativo maschile o (il, lo).
- ù denota il suono breve della "u" italiana. Si adopera molto raramente - oltre
a scucuzzù si registra acaxù (anacardio - albero esotico) e bixù
(gioiello, lavoro o cosa di pregio).
Accento circonflesso: â - ê - î - ô
- L'accento circonflesso è sempre tonico
- Serve per allungare le vocali alla fine della parola, frequentemente quando,
confrontando con l'italiano, è caduta l'ultima sillaba (apocope) - sampâ
(zampata) - mestê (mestiere) - staffî (staffile, sferza) - amô
(amore).
- â marca il tempo infinito dei verbi della prima coniugazione - cantâ
(cantare) - anche quando vi sono attaccate altre sillabe (enclitiche) - mangiâse ûn
mei (mangiarsi una mela).
- î marca il tempo infinito dei verbi della quarta coniugazione - partî
(partire) - anche quando vi sono attaccate altre sillabe (enclitiche) - sentîlo
parlâ (sentirlo parlare).
- ô denota sempre il suono lungo della "u" italiana e si adopera, al posto dei
due punti, anche nel corpo della parola - pôso (polso) - allôa
(allora).
Il caso della û
- û denota il suono "u" francese, che non è presente in italiano, e si pronuncia
allo stesso modo nel quale i francesi dicono menu.
- La durata può essere breve o lunga in accordo con la regola sulla durata detta
all'inizio - mûtto (muto) - pûa (polvere).
- Può appartenere a una sillaba tonica oppure no - dûxe (doge) - lûstròu
(lustratore, verniciatore).
- Alla fine della parola è sempre tonico:
- con suono breve quando la corrispondente parola italiana ha la "u" finale tonica
- ciû (più) - sciû (su) - zû (giù);
- con suono lungo quando, confrontando con l'italiano, è caduta una sillaba
- mû (mulo)
I due punti: ä - ë - ï - ö - ü
- I due punti o dieresi possono essere un accento tonico oppure no - bägio
(sbadiglio) - cädion (calderone).
- Servono ad allungare le vocali nel corpo della parola, frequentemente quando,
confrontando con l'italiano, si rileva che è caduta o una consonante o una sillaba
(sincope) - cäro (carro) - mëzo (mezzo) - drïto (dritto)
- töa (tavola).
- La consonante posta dopo una vocale coi due punti è sempre scempia (semplice).
- Vanno sempre indicati sulle vocali lunghe atone - scädin (scaldino)
- mëxinn-a (medicina) - röbin (gonnellino, vestitino).
- Quando sono posti su una vocale che precede la consonante "s" indicano che la "s"
si pronuncia come la "s" di sacco - cösa (cosa).
- ë si pronuncia sempre lungo e chiuso.
- ö si pronuncia sempre lungo e aperto eccetto che in questi tre casi, dove si
pronuncia lungo e chiuso - lö (loro - lô = lupo) - cö (con il, col, con
lo - cô = colore) - sciö (sul, sullo - sciô = fiore, signore).
- ü denota sempre il suono lungo della "u" italiana.
- Vanno utilizzati, quando serve, per marcare
- il tempo futuro dei verbi - sentiä (sentirà) - parliö
(parlerò).
- il participio passato femminile dei verbi della prima coniugazione in modo da
distinguerlo dall'infinito - indicä (indicata - infinito: indicâ) -
mandä (mandata - infinito: mandâ).
- la seconda persona plurale dell'indicativo, imperativo e congiuntivo dei verbi
della quarta coniugazione in modo da distinguerla dall'infinito - sentï
(sentite - infinito: sentî) - dormï (dormite - infinito: dormî).
- Servono per evitare di scrivere allo stesso modo parole hanno significati differenti
(omofoni). Questa è la lista:
cö (con il, col, con lo) - cô (colore) |
|
dä (dalla) - dâ (dare) |
pë (per le) - pê (piede) |
|
sciä (sulla) - sciâ (ella opp. signora) |
sciö (sul, sullo) - sciô (fiore opp. signore) |
|
scï (sui, sugli) - Scî (Siro) |
lö (loro) - lô (lupo) |
|
mä (male - nome e avverbio) - mâ (mare) |
pä (pare, sembra) - pâ (paio) |
|
diä (dirà) - diâ (ditale) |
dä (darà verbo - oggi daiä) - dâ (dare) |
|
sä (sarà - oggi saiä) - sâ (sale) |
ä |
al posto di |
|
a-a (alla) |
cö |
" |
|
co-o (con il, col, con lo) |
dä |
" |
|
da-a (dalla) |
në |
" |
|
ne-e (nelle - antiquato) |
pë |
" |
|
pe-e (per le) |
sciä |
" |
|
sce-a (sulla) |
sciö |
" |
|
sce-o (sul, sullo) |
scï |
" |
|
sce-i (sui, sugli) |
Le consonanti
Le consonanti b e p. Come in italiano, la scrittura genovese tradizionale vuole
che, quando serve, le consonanti b e p siano precedute dalla lettera "m",
anche se in genovese il suono è sempre e inequivocabilmente quello della "n". Provate un
po' a dire combo (colombo, colomba) o campo (campo).
La consonante ç va pronunciata come la "s" di
sacco (çinque, cinque, reçita, recita, si pronunciano sinque, resita);
va utilizzata solamente davanti alle vocali "e" ed "i" nelle sillabe che nel corrispondente
italiano hanno "ce" e "ci".
- Quasi sempre è scempia (semplice) - riçetta (ricetta) - parteçipâ
(partecipare),
- ma può essere anche doppia - aççende (accendere) - aççimentâ (provocare, istigare).
- Davanti alle vocali "a", "o", "u" viene sostituita da "ss" - brasso (braccio -
errato braçço) - abbrassâ (abbracciare - errato abbraççâ).
- Nei verbi può essere sostituita dalla "s" - vinçe (vincere) oppure vinse,
ma vinsan (vincono).
- Non deve essere utilizzata, al posto della "s", nella prima persona plurale dei verbi
riflessivi - se lavemmo (ci laviamo - errato çe lavemmo) - se vedemmo (ci
vediamo - errato çe vedemmo).
Il digramma gl, che denota il suono italiano della
parola "famiglia", non esiste in genovese.
- Sovente il gl italiano viene reso in genovese con la "g" semplice o doppia
- mëgio (meglio) - quägia (quaglia) - moggê (moglie) - figgio
(figlio).
- Qualche parola, presa pari pari dall'italiano, mantiegne il gl, il quale
frequentemente, specie nel parlare, viene pronunciato come una "l" (elle) - sbaglio
(sbaglio) - sceglie (scegliere).
- Le lettere "g" e "l" (elle) mantengono il loro suono in parole come glicine
La consonante h viene utilizzata in pochi casi:
- nella coniugazione del verbo avei (avere) - mi ho - ti t'ae - lê o l'ha -
noî emmo - voî ei - lö han;
- nei digrammi "ch" e "gh" per indicare, quando serve, che la "c" e la "g" vanno
pronunciate come la "c" di casa e la "g" di gatto;
- In caso di elisione la "h" si conserva sempre - lascia ch'o parle
(lascia che parli) - digghe ch'a mangie (dille che mangi);
- nelle esclamazioni - oh - ahimé mi.
La lettera n ha in genovese una pronuncia nasale nelle parole che terminano per
"n" - bibbin (tacchino) - pan (pane). Sovente cade in parole come son
(sono - verbo essere), con (con - preposizione), quando la parola dopo incomincia
per vocale - me so' accorto (mi sono accordo - me son accorto) - co-a
(con la).
Il gruppo nn-, tipico del genovese, si pronuncia nasale
rinforzando le due "n" e appoggiandole alla vocale tonica che viene prima mentre la vocale
seguente va pronunciata del tutto staccata - campann-a (campana) - penn-a
(pena) - componn-an (compongono).
- Si può trovare solamente nella penultima sillaba della parola.
- Va scritto col trattino.
- Il gruppo nn senza il trattino si legge come in italiano - penna
(penna).
La consonante s si pronuncia in due modi differenti:
come la "s" di casa o come la "s" di sacco. Anche in questo caso Gismondi
ci fornisce alcune regole.
- Si pronuncia come la "s" di casa
- tra due vocali senza i due punti - naso (naso) - vasetto (vasetto) -
reusa (rosa) - ûso (uso) - accûsa (accusa);
- quando è seguita dalle consonanti b, d, g, l, m, n, r, v - asbrïo (slancio,
rincorsa) - desdiccia (sfortuna, disdetta, iella) - sguäro (strappo)
- slavòu (slavato, smorto, dilavato) - asmûggiâ (ammollare, mettere
in ammollo) - snatûròu (snaturato) - sregolòu (sregolato) - svista
(svista) - svampî (svanire - di liquori lasciati aperti).
- Si pronuncia come la "s" di sacco
- quando all'inizio della parola è seguita da vocale - sentî (sentire) -
sordatto (soldato) - sûppa (zuppa);
- quando è seguita dalle consonanti "c" di casa, f, p, q, t - scappâ
(scappare) - sfigûrâ (sfigurare) - spavento (spevento) - squaddra
(squadra) - stae (estate);
- quando nel corpo della parola è preceduta da n, r - orso (orso) -
sterso (sterzo) - pansa (pancia);
- quando segue il digramma ae ed è seguita da vocale come in aese
(avesse) o, tipicamente nel gruppo aeso: cegaeso (pieghevole),
leccaeso (ghiottone), stoccaeso (facile a rompersi, fragile) [nota: se
dopo ae il suono è quello della "s" di casa allora occorre usare la
"z": angaezo (aggeggio di nessun conto)];
- tra due vocali quando quella precedente la s è sormontata dai due punti
- imböso (capovolto, imbronciato) - fäso (falso) - ëse
(essere) - ïsâ (alzare, issare, sollevare) - cäsetta (calza, calzetta)
- cösa (cosa);
- quando è doppia - assion (azione) - masso (mazzo);
- nel pronome "se" (enclitico) unito all'infinito di un verbo - lavâse
(lavarsi) - strenzise (stringersi) - spremmise (spremersi) -
addormîse (addormentarsi).
Il digramma sc si pronuncia come nella parola
scena. Le lettere sc formano un digramma:
- se sono seguite dalle vocali e, i - scentà (dileguarsi, allontanarsi)
- sciamma (fiamma);
- se sono seguite dalla consonante "c" nel gruppo scc, tipico del genovese
- masccio (maschio) - sccieuppo (fucile).
Il gruppo scc è formato da due suoni distinti, quello
del digramma "sc" di scena seguito dalla "c" di cilindro - sccetto
(schietto, puro) - scciappâ (spaccare, dividere per lungo).
- È sempre seguito dalle vocali e, i.
- Va scritto senza il trattino, pertanto non bisogna adoperare la forma sc-c.
- Alcune volte, nel parlare, viene pronunciato come la "s" di sacco seguita
dalla "c" di cilindro.
La consonante v è soggetta a dileguo.
- A Genova si può dire: appreuvo oppure appreuo (dietro, di seguito,
appresso) - zoveno oppure zoeno (giovane) - ecc.
- Fuori di Genova si possono sentire: votta oppure otta e talvolta öta
(volta) - vorpe oppure orpe (volpe) - vegni oppure egni
(vieni) - ecc.
La consonante x si pronuncia come la "j" francese nelle parole jambon, jeton, joli.
Non è mai doppia e non si deve farla seguire dalla vocale "i" - dexe (dieci) -
laxerto (sgombro - pesce) - raxon (ragione) - xatta (scodella, piatto
fondo).
La consonante z, che in genovese di dice zitta,
va pronunciata come la "s" di casa, anche quando è doppia - mëzo (mezzo)
- zimma (favilla) - dozze (dodici) - mazzo (maggio).
- Sovente il genovese utilizza la z quando nella corrispondente parola italiana
c'è la "g" di gita - Zena (Genova) - zenoggio (ginocchio) - zëo
(gelo) - zenzia (gengiva) - zoveno (giovane) -
rozâ (rugiada).
Osservazioni varie circa le consonanti genovesi.
- Quando in genovese c'è il suono della "s" di casa e la parola possiede un
corrispondente italiano non troppo diverso, si può decidere se vada usata la "s" o la "z"
confrontando con la grafia della parola italiana - meise (mese) - offeisa
(offesa) - paise (paese) - reusa (rosa) - ûso (uso).
- Poiché sovente la "g" di gita presente nelle parole italiane si rende in
genovese con la "z" e poiché per la "s" vale la regola scritta qui sopra, ecco spiegato
il perché si scrive "zeneise", anche se la "z" e la "s" si pronunciano in modo
identico.
- Il suono della "z" della parola italiana "zappa" non esiste in genovese. Quando serve,
il genovese adopera la lettera "s" di sacco semplice o doppia - grassia
(grazia) - finsion (finzione) - ossio (ozio) - sensa (senza)
- sappa (zappa).
Le ultime cose
Utilizzo di o e di ò:
- o (il, lo) è l'articolo determinativo maschile, che va letto come la "u"
italiana breve - o mâ (il mare) - lê o mangia (egli mangia);
- ò (o - congiunzione) è la congiunzione, che va letta come la "o" italiana
aperta e breve - ò ti parli ò ti stae sitto (o parli o stai zitto).
Utilizzo di ûnn-a e di ûnna
- ûnn-a è la forma pronominale femminile del numero cardinale "ûn" e va
pronunciata e scritta col gruppo "nn-" - Ghe n'é de forçinn-e? Ghe n'é ûnn-a
(Ci sono delle forchette? Ce n'è ûna);
- ûnna rappresenta sia l'articolo indeterminativo femminile, sia l'aggettivo
numerale femminile di "ûn"; molto spesso viene scritto 'na - ûnna forçinn-a
oppure 'na forçinn-a (una forchetta).
ûn - duî - trei: in genovese i primi tre numeri
cardinali prendono il genere maschile e femminile.
- ûn e ûnna - ûn ommo (un uomo) - ûnna donna (una
donna);
- duî e due - duî ommi (due uomini) - due donne (due
donne);
- trei e trae - trei ommi (tre uomini) - trae donne (tre
donne).
- I numeri composti con ûn non cambiano genere - vint'ûn ommi (ventun
uomini) - vint'ûn donne (ventun donne).
- I numeri composti con duî e trei canmbiano genere:
- vinti duî ommi (ventidue uomini) - vinti due donne (ventidue
donne);
- vinti trei ommi (ventitré uomini) - vinti trae donne
(ventitré
donne);
- duî milla ommi (duemila uomini) - due milla donne (duemila
donne);
- trei milla ommi (tremila uomini) - trae milla donne (tremila
donne).
I numeri composti in genovese si formano nel modo
seguente.
- Quando l'unità è ûn oppure eutto la vocale finale del numero precedente
si elide - trent'ûn (trentuno) - çinquant'eutto (cinquantotto);
- negli altri casi le unità si uniscono con la congiunzione e che provoca
l'elisione della vocale del numero precedente - settant'e trei (settantatré -
errato settanta trei) - quarant'e çinque (quarantacinque - errato quaranta
çinque) - mill'e çinquant'e sette (millecinquantasette - errato mille çinquanta
sette).
- I numeri possono essere scritti anche come un'unica parola - settanteçinque
(settantacinque) - ottantûn (ottantuno).
Come scrivere in to
- Si adoperano le forme in to, in ti, in ta, in te quando
la proposizione "in" è seguita dall'articolo determinativo o, i, a, e - in to mâ
(nel mare) - in ti scheuggi (negli scogli) - in ta stacca (nella tasca)
- in te braghe (nelle braghe).
- Si adopera la forma inte quando la preposizione "in" è seguita
- dall'articolo determinativo "l" (elle) davanti a vocale - inte l'aegua
(nell'acqua);
- dall'articolo indeterminativo "ûn" "ûnna" - inte 'n sciòu (tutto d'un fiato)
- inte 'na votta (in una volta);
- da nessun articolo - inte questa occaxon (in questa occasione).
Le parole coae (voglia) e quae (quale - pronome relativo) si pronunciano
allo stesso modo ma hanno significati differenti.
Dall'italiano al genovese
In alcuni casi esistono delle regole per passare da una parola italiana alla
corrispondente parola genovese.
Le desinenze italiane "zione" e "sione". Conrad
Montpetit propone queste regole.
- La desinenza italiana zione preceduta da vocale in genovese diventa
ssion - orassion (orazione, preghiera) - lession (lezione)
- ambission (ambizione) - commossion (commozione) - evolussion
(evoluzione).
- La desinenza italiana zione preceduta da consonante in genovese diventa
sion - attension (attenzione) - porsion (porzione).
- La desinenza italiana sione preceduta da consonante in genovese diventa
scion - tenscion (tensione) - emulscion (emulsione) -
imprescion (impressione) - procescion (processione).
- La desinenza italiana sione preceduta da vocale in genovese diventa
xon - evaxon (evasione) - lexon (lesione) - derixon
(derisione) - esploxon (esplosione) - fuxon (fusione).
La desinenza italiana "torio". Bisogna però fare attenzione a non passare con
troppa facilità dall'italiano al genovese, magari utilizzando regole che non ci sono. Ad
esempio, la desinenza italiana torio ha comportamenti diversi: si dice ötöio
(oratorio) e pûrgateuio (purgatorio).