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Bollettino «A Compagna», n. 1 - Gen.-Feb. 2000

1814: le condizioni per «l'odiata annessione» di Genova al Regno di Sardegna

Franco Bampi

La passione del Brignole nel difendere l'indipendenza, e nel denunciare l'inaccettabilità di quella annessione, tra tutte la più odiosa per i Genovesi, è l'argomento più veritiero, di fronte alle Potenze, che si fa a Genova un torto. (1)

Metternich

Clemente Venceslao Lotario principe di Metternich

Così scrive Teofilo Ossian De Negri nel commentare le risultanze del Congresso di Vienna, esiziali per la gloriosa e plurisecolare Repubblica di Genova. In questo terzo scritto (2) relativo all'annessione stabilita d'imperio dal Congresso di Vienna tratterò delle Condizioni che devono servir di base alla riunione degli Stati di Genova a quelli di S. M. Sarda concordate dalle Potenze Alleate nel Congresso di Vienna, esaurientemente elencate ed illustrate nell'interessante libro (3), scritto da Massimiliano Spinola, pubblicato nel 1863 e reperibile presso la Biblioteca Berio. Per brevità non riporterò gli articoli che costituiscono le citate Condizioni, limitandomi a richiamare il loro numero ogni volta che nel testo si fa esplicito riferimento al loro contenuto.

Il Marchese Antonio Brignole Sale, insieme col suo Segretario Giorgio Gallesio di Finale, partì da Genova negli ultimi giorni d'agosto del 1814 e giunse a Vienna il 2 settembre 1814 per partecipare alle trattative circa l'assetto dell'Europa quale Ministro Plenipotenziario genovese in Vienna. Il giorno 13 novembre 1814 Metternich adunò il Comitato delle otto Potenze, a cui sottopose d'urgenza di deliberare l'unione di Genova al Piemonte. Deliberazione che fu presa assieme alla nomina di una Commissione per determinare le concessioni ed i privilegi da concedersi alla città di Genova.

Il Marchese Brignole appena intese questa definitiva deliberazione, si affrettò a protestare altamente presso tutti i ministri e, per render meno duri i mali che sovrastavano alla sua patria, chiese alle Potenze alleate che fosse garantita ai Genovesi una costituzione sulle basi che lui stesso si premurò di indicare. Così commenta lo Spinola. Ammettendo la necessità e la possibilità di correggere e di migliorare l'elaborato lavoro proposto da Brignole, io sono convinto che nessun vorrà unirsi alla pretensione del San Marzano (4), il quale voleva imporre ai Genovesi una annessione incondizionata. Imperocché è un principio indubitato che allorquando un Paese possiede un Governo con migliori leggi e istituzioni politiche di quelle possedute da quelli i quali vengono aggregati, sarà per gli ultimi un grande benefizio l'essere annessi incondizionatamente e completamente parificati nelle leggi e nelle istituzioni. Prova ne sieno i recenti plebisciti della Lombardia, dell'Emilia, della Toscana, del Regno delle due Sicilie, per far parte del Regno costituzionale italiano di Vittorio Emanuele II. Ora è incontestabile che nell'anno 1814 tale non era la condizione del Piemonte riguardo a Genova, e per conseguenza il disegno del Plenipotenziario piemontese di sottoporre i Genovesi allo stesso regime di Governo a sui erano assoggettati gli altri sudditi di Sua Maestà, il Re di Sardegna, si deve considerare come un'ingiustizia intollerabile.

Nella seduta del primo dicembre la Commissione respinse la domanda d'una annessione condizionata mediante la Costituzione speciale per il Regno di Liguria e stabilì che il Re di Sardegna avrebbe aggiunto agli altri suoi titoli quello di Duca di Genova. Statuì quindi in 18 articoli le condizioni e i privilegi da accordarsi ai Genovesi. Per apprezzare le condizioni compilate dai Commissari, è interessante riferire il giudizio di un storico poco parziale ai Genovesi, Luigi Carlo Farini (5) (Russi, Ravenna, 1812 – Quarto, Genova, 1866), il quale sentenziava che i capitoli di Vienna: Non fossero sufficienti a dare soddisfazione ad una città in cui era grande la superbia delle passate glorie, ed erano ancor fresche le speranze di franco Stato, e dell'antica forma di governo, che il Bentinck vi avea nutrite; e perciò non essere da meravigliarsi, se i Liguri di tutti i ceti, tranne poche eccezioni, tenevano il broncio al nuovo Governo, adottando una dignitosa astensione, col rifiutarsi dall'accettarne impieghi e cariche.

Lo Spinola ci informa che, prima del Farini, Ferdinando Dal Pozzo (Moncalvo, Asti, 1768 – Torino, 1843) aveva scritto: che l'eguaglianza dei Genovesi co' Piemontesi per essere ammessi agli impieghi (art. 1 e art. 16), il confondere insieme la Nobiltà dei due paesi (art. 1), l'incorporare in un solo esercito le truppe dei due paesi (art. 2), l'inquartar gli stemmi de' due paesi (art. 3) (6), il ritirare ed ammettere nelle stesse casse dello Stato monete d'oro e d'argento dei due paesi (art. 10), il fare eguali leve d'uomini (art. 11), l'imporre eguali tributi (art. 6), l'istituire uguali tribunali e corpi amministrativi nei due paesi (art. 9 e art. 15), il conservare in Genova un corpo insegnante (art. 14), l'istituir una compagnia delle guardie del corpo genovese (art. 12), il dividere il corpo amministrativo della città di Genova in quaranta nobili, in venti borghesi, ed in venti negozianti (art. 13): tali condizioni non si possono chiamare privilegi, poiché ad altro non tendono che a equiparare e livellare i diritti dei Genovesi a quelli degli altri sudditi del Re di Sardegna.

Genova venduta; al tavolo Bentink e Vittorio Emanuele

Felice Guascone: il destino della Liguria mercanteggiato dalle potenze francesi

D'altra parte quei pochi articoli, che stabilivano qualche privilegio basato su principi fissi e durevoli, come era stato deliberato nel protocollo della Conferenza del 13 novembre, non furono mai eseguiti dal Governo piemontese. Nello specifico non furono mai eseguiti:

  1. l'articolo 4: Il Portofranco di Genova sarà ristabilito con i medesimi regolamenti, che erano in vigore sotto l'antico Governo Ligure e sarà data ogni facilitazione per il transito delle mercanzie che usciranno dal Portofranco;
  2. l'articolo 5: In ciascun circondario d'Intendenza sarà stabilito un Consiglio provinciale composto di 30 Membri, scelti tra le persone rimarchevoli delle diverse classi sopra una lista di 300 contribuenti di ciascun Circondario;
  3. il comma 9 dell'articolo 5: il Re non manderà a registrare dal Senato di Genova alcun editto portante creazione di imposte straordinarie, se non dopo aver ricevuto il voto d'approvazione dei Consigli provinciali;
  4. l'articolo 6: Il maximum delle imposte da imporsi, senza consultare i Consigli provinciali riuniti, non eccederà la proporzione attualmente stabilita per le altre parti dello Stato;
  5. l'articolo 17: S. M. accoglierà i progetti e le proposizioni, che verranno presentate per ristabilire la Banca di S. Giorgio. (7)

La mancata esecuzione di questi articoli, benché fossero garantiti dalle alte Potenze Alleate, prova la nullità dei privilegi accordati ai Genovesi o almeno il poco interesse di farli eseguire dimostrato dai sovrani sottoscrittori del trattato della Santa Alleanza; ciò che ha potuto permettere al Governo sardo di poterli impunemente dimenticare, nonostante le continue lagnanze dei genovesi, che chiedevano fossero messe in esecuzione.

Significative al riguardo sono le affermazioni di Federico Sclopis (8) (Torino, 1798 – ivi 1878): È noto che il Congresso di Vienna prescrivendo la riunione degli Stati di Genova a quelli di S. M. Sarda aveva aggiunte alcune condizioni. Il re Vittorio Emanuele ne inserì la sostanza nelle regie patenti del 30 dicembre 1814 colle quali prendeva legalmente possesso del Territorio aggiunto, e così senza ripetere ciò che a tutti era noto, fece mostra di assumere spontaneamente gli impegni. Lo Sclopis nota che tra queste condizioni le più importanti erano quelle stabilite negli articoli 5 e 6 concernenti l'istituzione dei Consigli provinciali, che non vennero mai dal Governo piemontese convocati. Il dotto scrittore piemontese spiega tale fatto dicendo: che Vittorio Emanuele I mai non aderì spontaneamente a condizioni limitative della sua piena autorità nell'ordinamento interno dei suoi stati e ricevette come condizione imposta all'unione di Genova i capitoli del Congresso di Vienna, che però non eseguì.

Questo è quanto ci insegna la storia: spetta a noi, Genovesi di oggi, non far dimenticare ciò che fummo e che i potenti non vollero riconoscere e rispettare, annullando l'identità ligure e negando il ricordo per cancellare la diversità.

Che la conoscenza del nostro glorioso passato
sia da stimolo e da guida
per un prospero futuro della nostra terra

Difesa di Genova

Défense de Gênes (particolare)

NOTE

(1) De Negri T. O., Storia di Genova, Milano, 1974, p. 774.
(2) Per i primi due scritti si veda Bampi F., 1796: una convenzione segreta tra Genova e Francia, Bollettino «A Compagna», n. 4/5 – Lug.-Ott. '99, Bampi F., 1814: gli inutili tentativi per salvare Genova, Bollettino «A Compagna», n. 6 – Nov.-Dic. '99.
(3) Spinola M., La restaurazione della Repubblica Ligure nel MDCCCXIV, Genova, 1863.
(4) Filippo Antonio Asinari di San Marzano (Torino 1767 – ivi 1828), creato marchese di San Marzano, fu plenipotenziario dei Savoia al congresso di Vienna.
(5) Farini L. C., Storia d'Italia, vol. 4, libro IX, § IV.
(6) A causa di questo articolo 3 la gloriosa bandiera di San Giorgio dei Genovesi fu inserita «legittimamente» nello stemma di Casa Savoia: decida il lettore se fu per onore o per onta di Genova, il cui simbolo, dopo l'annessione, ebbe i grifoni reggistemma rappresentati con la coda fra le gambe, in segno di sottomissione, e la corona che sormontava lo stemma, prima chiusa in segno di sovranità, ora divenne quella comitale (sebbene il re di Sardegna fosse duca di Genova) non potendo superare Torino che, pur essendo capitale, aveva il titolo comitale.
(7) A questo proposito va ricordato che nel sopprimere il Banco di San Giorgio, Napoleone liquidò soltanto le azioni di un terzo dell'antico dividendo e confiscò, considerandole come manimorte, le rendite stabilite sopra il detto Banco in favore delle opere di beneficenza, da pii lasciti dei patrizi genovesi. Suona pertanto come una burla l'articolo 7: Il debito pubblico, tal quale esisteva legittimamente sotto l'antico Governo francese, è garantito. Si osservi infatti che l'articolo fa riferimento all'antico Governo francese e non al precedente legittimo Governo genovese: le ruberie che Napoleone fece ai Genovesi vennero quindi accettate senza sanzione alcuna dal Congresso di Vienna. Su questi aspetti è doverosa la lettura del saggio di G. Felloni, Il debito consolidato della repubblica di Genova nel secolo XVIII e la sua liquidazione, Atti della Società Ligure di Storia Patria, Nuova serie, Vol XXXVIII (CXII) Fasc. I, che così conclude: Infine si deve constatare una singolare continuità nella politica francese e piemontese nei riguardi dei creditori liguri e riconoscere un sostanziale fondamento alla sorda ostilità di molti genovesi verso il nuovo governo. La stagnazione economica e finanziaria di Genova nel primo ventennio dopo l'annessione non può essere spiegata senza tenere conto di queste premesse.
(8) Sclopis F., Storia della Legislazione del Piemonte – memorie dell'Accademia di Torino, serie 2, Tomo 19

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