[ Indietro ] 1628 - La congiura del Vachero
La sera del 31 marzo del 1628 fu scoperta la più pericolosa congiura che abbia messo in pericolo la Repubblica di Genova e minacciato di scardinarne l'ordinamento e di comprometterne l'indipendenza. Le rivelazioni del capitano Rodino, e di altri implicati nella congiura, provocarono l'arresto dei maggiori indiziati. Capo riconosciuto del complotto era Giulio Cesare Vachero, che dopo esser stato a Torino nel febbraio, aveva poi mantenuto contatti con quella Corte e accolto nascostamente in casa Giovanni Ansaldi, nativo di Voltri, ma vivente a Torino ed emissario del Duca Carlo Emanuele I, dal quale aveva avuto il titolo comitale. Avvenuta la rivolta in città, si sarebbe avvertito il principe Vittorio Amedeo, pronto ad accorrere da Acqui e da Alba. La congiura si proponeva il rovesciamento dell'ordine costituito, l'uccisione dei capi del governo e lo sterminio dei nobili e, se fosse riuscita, avrebbe forse abbattuto il prevalere dell'oligarchia e certamente distrutto l'esistenza autonoma della Repubblica. La scoperta della trama e l'arresto dei maggiori indiziati irritarono profondamente Carlo Emanuele il quale intervenne pesantemente, risoluto a salvarli ad ogni costo. Ma il Minor Consiglio fu inflessibile anche dinanzi alle preghiere dei congiunti dei prigionieri. Emessa la sentenza capitale, il Vachero e Nicolò Zignago, congiurato e notissimo chirurgo, fecero le ultime dichiarazioni che tendevano a sminuire la responsabilità del Duca sabaudo dopo la firma della tregua, ciò che, in certo modo, aumentava ancora la loro responsabilità; la notte fra il 30 e il 31 maggio furono giustiziati, e con loro i complici Fornari e Silvano. Com'è ben noto, le case del Vachero furono poi abbattute e sul posto fu innalzata la colonna infame che ancora si vede. tratto da Vito Vitale, Breviario della Storia
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