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La perdita dell'indipendenza di Genova
raccontata da Vito Vitale

L'attivo e instancabile Marchese di San Marzano, rappresentante sardo al Congresso, seppe abilmente sfruttare i timori del Metternich. Comprendendo che la partita era perduta, il Brignole tentò ancora di sfruttare le diffidenze e gli attriti tra le Potenze; tentò di offrire Genova a un principe austriaco, ai Borboni di Parma; chiunque fosse, purché non il Piemonte, e Genova rimanesse autonoma. Invano. Nella seduta del 12 novembre il Comitato delle Potenze deliberò l'annessione, affidando a una commissione di tre membri, rappresentanti la Francia, l'Inghilterra e l'Austria, di stabilire le modalità.

Non più rappresentante ufficiale, ma privato cittadino, il Brignole tentò l'ultima prova, la richiesta di una speciale costituzione per Genova; ma fu facile al San Marzano dimostrare l'assurdità che due parti del medesimo Stato dovessero essere governate con ordinamenti diversi; e d'altra parte Vittorio Emanuele avrebbe preferito rinunciare a Genova piuttosto che concedere una costituzione a tutto lo Stato, come il Brignole suggeriva. Sicura ormai del fatto suo, Torino svolgeva a Genova per mezzo di una fitta rete d'informatori un ampio lavoro di indagine sulle condizioni della città, i partiti predominanti, i personaggi maggiori e minori, i loro atteggiamenti verso la nuova presunta signoria per avere al momento opportuno tutti gli elementi di giudizio sul modo di comportarsi.

Nonostante gli ordini di Torino, il San Marzano deve però piegarsi a concessioni formali e ammettere che le Potenze, preoccupate della recisa opposizione e delle notizie sull'opinione pubblica genovese, decidessero le modalità dell'annessione sotto alcune condizioni. Le proposte dei tre plenipotenziari, accettate dagli altri rappresentanti e dal Re di Sardegna, fissate nel protocollo del 12 dicembre diventarono integralmente, tolte lievi varianti formali, le Regie Patenti 30 dicembre 1814, che stabilivano le condizioni dell'unione e le concessioni fatte a Genova. Sono «i privilegi che il nostro paterno cuore ci aveva suggeriti », come dice il preambolo, riferendosi certo a un progetto già presentato al governo inglese - il più interessato e insistente nel voler conservato il commercio di Genova - o piuttosto le condizioni precisate e imposte dal Congresso, e divenute parte integrante del trattato di Vienna.

Eccettuato il governo provvisorio, tutto rimaneva immutato a Genova sino all'ordinamento definitivo, da provvedere con maturo consiglio e nel quale si sarebbe garantito il debito pubblico, l'eguaglianza negli uffici con gli altri sudditi, il Portofranco, un Senato o corpo giudiziario, un tribunale di commercio, l'Università coi diritti di quella di Torino, un'amministrazione municipale, l'istituzione di un consiglio provinciale, cui sarebbe spettato di approvare le nuove spese. A sua volta il Governo provvisorio, informato della definitiva decisione e dell'imminente cessione della città al rappresentante del Re di Sardegna, dopo un'ultima inutile protesta diplomatica a Vienna, con l'accorato proclama del 26 dicembre rassegnava le dimissioni con la coscienza d'aver fatto il possibile per
salvare l'indipendenza. raccomandando alle autorità municipali, amministrative, giudiziarie di conservare le loro funzioni e ai popoli di conservare la massima tranquillità. Analoghe raccomandazioni, ricevute le dimissioni del governo, faceva il comandante militare inglese in attesa degli ordini del Re.

Col proclama del Commissario plenipotenziario Ignazio Thaon di Revel il 3 gennaio 1815, e con la trasmissione a lui dei poteri da parte del comandante britannico il 7, la Liguria entrava a far parte del Regno sardo col nome di Ducato di Genova.

tratto da Vito Vitale, Breviario della Storia di Genova, Genova, 1955, p. 544-545.

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