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Un processo di globalizzazione per nulla politicamente governato e che prevede, se non ci saranno interventi correttivi forti, la scomparsa del 90% del patrimonio linguistico del pianeta entro questo secolo; a questo s'aggiunge una Europa a 21 lingue a partire dal 2004. Contro un inglese «linguicida» occorre una lingua semplice e pubblica, che non sia lingua materna di alcuna etnia: occorre mettere in campo l'Esperanto.

 

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E-MAIL - From: Radicali Italiani - To: MIL
Lunedì 3 marzo 2003

La lingua di ciascuno si difende con la lingua di tutti


 


Leggi sotto il testo
della lettera a Ciampi
    

Giovedì 13 marzo Ciampi sarà a Firenze ad inaugurare la prima grande mostra sulla storia della lingua italiana "Dove il sì suona" nel mentre, al Senato, continua il suo iter il provvedimento 993 sulla istituzione del "Consiglio Superiore della Lingua Italiana". Iniziative importanti nel tentativo di promuovere e salvaguardare il prestigio e la vita della nostra lingua, l'identità del Paese.
Chi come noi radicali è da sempre attento e pronto nella difesa della vita e delle culture minori e minoritarie ancora più apprezza e sostiene iniziative volte alla salvaguardia della vita linguistica e culturale di intere nazioni sempre più a rischio "dialettizzazione" (anticamera della scomparsa) in un processo di globalizzazione per nulla politicamente governato e che prevede, se non ci saranno interventi correttivi forti, la scomparsa del 90% del patrimonio linguistico del pianeta entro questo secolo a questo s'aggiunge una Europa a 21 lingue a partire dal 2004.


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Al Presidente della Repubblica
Carlo Azeglio Ciampi

Roma, 06/03/2002

Illustre Presidente!
Giovedì prossimo Lei sarà a Firenze ad inaugurare la prima grande mostra sulla storia della lingua italiana “Dove il sì suona”. Al Senato continua il suo iter il provvedimento 993 sulla istituzione del “Consiglio Superiore della Lingua Italiana”. Sono, queste, iniziative importanti nel tentativo di promuovere e salvaguardare il prestigio e la vita della nostra lingua. Chi come noi, da sempre, attenti e pronti nella difesa della vita e delle culture minoritarie ancora più apprezza e sostiene iniziative volte alla salvaguardia della vita linguistica e culturale di intere nazioni sempre più a rischio “dialettizzazione” (anticamera della scomparsa) in un processo di globalizzazione per nulla politicamente governato e che prevede, se non ci saranno interventi correttivi forti, la scomparsa del 90% del patrimonio linguistico del pianeta entro questo secolo. Ogni settimana circa un paio di lingue scompaiono dalla faccia del pianeta e la gravità del fenomeno è arrivata ad allarmare persino il pachidermico UNESCO che, nell’ultima Conferenza Generale, ha messo in guardia, nella sua Risoluzione sul plurilinguismo nell’educazione, rispetto al «pericolo che oggi minaccia la diversità linguistica a causa della mondializzazione della comunicazione e delle tendenze ad usare una lingua unica, con i rischi di emarginazione delle altre grandi lingue del mondo e addirittura di estinzione delle altre lingue di minore diffusione, a cominciare dalle lingue regionali». Se l’UNESCO parla alludendo, proprio i giornali anglosassoni, invece, ci avvertono da chi dobbiamo maggiormente guardarci circa i pericoli di estinzione che stanno correndo le nostre lingue. La più prestigiosa testata economica del mondo, l’Economist arriva a titolare un lungo articolo di qualche mese fa “Il trionfo dell’inglese. Un impero mondiale con altri mezzi” e, ancora più schietta e brutale, è stata la denuncia de The Independent del 20 marzo scorso giunto a parlare di inglese «linguicida», non solo, partendo dagli antichi trascorsi colonizzatori del Regno Unito, il quotidiano inglese è stato ancora più pesante nella denuncia arrivando a chiedersi retoricamente: «non è un genere ancor più sinistro del colonialismo che noi praticavamo cento anni fa? Non troppo tempo fa noi prendevamo le loro materie prime. Ora noi invadiamo le loro menti, cambiando lo strumento primario col quale essi pensano: la "loro" lingua». Di fronte a simile scenario, agli interessi colossali che si muovono dietro la lingua/potenza egemone per eccellenza, al loro movimento inesorabile, ci si deve render conto di come, iniziative promozionali come quella di Firenze o quella di una futuro “Consiglio Superiore della Lingua Italiana”, siano certamente importanti ed utili ma assolutamente inefficaci. Per bene comprenderlo basta rammentare quello che è successo in Francia anche dopo la legge Toubon e l’ulteriore stretta contro gli anglicismi persino nelle insegne degli esercizi commerciali… il francese ovunque e comunque continua a battere in ritirata. Dell’assoluta parzialità di tali interventi si rende conto persino il Presidente della Crusca che, intervistato proprio da La Nazione il 6 febbraio, arriva ad ipotizzare per l’italiano “due o tre generazioni” prima del cambio alla “casa anglofona”. Noi riteniamo invece possibile arrestare il depauperamento delle risorse linguistiche e culturali del pianeta non continuando a giocare “in difesa” bensì “all’attacco”. Adottando, come metodo di lotta alla morte precoce delle lingue, il metodo della “lotta biologica”. Un metodo che con successo viene sempre più adottato nel mondo dell’agricoltura per la sua particolare ecocompatibilità. Per comprendere quale soluzione “biologica” controbattere, necessita separare i concetti che sovrintendono alla comunicazione transnazionale dalle esigenze culturali dell’apprendimento di una lingua straniera secondo non la necessità, bensì il piacere e la voglia di apprenderla.

  1. Dietro il concetto di lingua internazionale deve esserci l’idea di una lingua che serve a tutelare tutti nella comunicazione transnazionale senza discriminazione alcuna. Per tutti intendiamo davvero tutti: una lingua semplice che possa essere appresa pienamente nell’arco della scuola dell’obbligo ma, anche, da chi la scuola dell’obbligo l’ha finita da tempo, da chi si trova anche in piena terza o quarta età, una sorta di lingua pubblica (così come c’è una scuola o una sanità pubblica... nel senso di tutti), di lingua di comunicazione sociale che, appunto, in quanto pubblica e sociale non appartiene ad alcun sistema linguistico “privato” (nel senso di etnico, nel senso quindi di francese, inglese, giapponese…) né privilegia un ceto più ricco piuttosto che un popolo più potente.
  2. Il concetto di lingua straniera deve tornare ad essere quello sano ed umanistico di studio per la conoscenza di culture e popoli: non - com’è oggi - devo studiare l’inglese per trovare lavoro ma, ad esempio, voglio studiare l’arabo perché mi incuriosisce questa cultura così diversa dalla mia. Dobbiamo puntare a liberare il mercato delle lingue dal monopolio anglofono (a quando un antitrust per le lingue?).

Queste linee concettuali e operative ci portano, inequivocabilmente, alla necessità improrogabile di mettere in campo la Lingua Internazionale o, come è stata soprannominata del suo creatore (Dott. Esperanto), l’esperanto. Molti rispetto a tale fenomeno linguistico hanno un’opinione negativa. Non sappiamo come se la siano formata. Per esperienza però sappiamo che non appena si cercano di approfondire le conoscenze sulle quali essi l’hanno basata si scopre di solito che in realtà non ne sanno nulla o che le loro informazioni sono di una tale genericità da essere in sostanza inconsistenti se non ridicole. Ad ogni modo non c’interessa in questa lettera affrontare quest’argomento quanto, piuttosto, spiegare, seppure sinteticamente, perché la Lingua Internazionale può dispiegare tutto il suo potere salvifico in questa che chiamiamo “lotta biologica alla distruzione precoce delle lingue”:

  • Il primo, la sua semplicità e quindi facilità d’apprendimento. Il rapporto con l’inglese è di 1 a 20, ossia, se gli esperti indicano in 10.000 ore il tempo medio d’apprendimento dell’inglese per l’Internazionale ce ne vuole 500 per conoscerlo da super esperti. Questo ne consente un pieno apprendimento nella scuola dell’obbligo (ma anche in età adulta e postscolare) liberando così un’enormità di tempo per lo studio libero e liberato delle lingue straniere.
  • Il secondo, il fatto di non essere lingua materna di alcuna etnia (in tal senso frutto di artificio o di fatto ad arte!). Questa peculiarità consente la messa al sicuro di tutte le lingue – nazionali e minori – da qualsiasi colonialismo linguistico-culturale e/o glottofagia. Come dire non si è nel mondo in un incontro/scontro tra popoli più potenti o più poveri bensì ci si ritrova tutti in una sorta di “organizzazione mondiale della democrazia linguistica”.

Questa riteniamo sia politicamente la via da seguire se vogliamo salvare l’ecosistema linguistico-culturale terrestre. Noi speriamo, dal profondo delle nostre ragioni, che Lei nell’occasione prossima di Firenze ne tenga conto e ne faccia cenno nel suo discorso d’inaugurazione, certamente ascoltatissimo. Ci sono poi ulteriori ragioni per le quali proprio l’Italia, quale erede storica di duemila anni di civiltà occidentale, ha l’obbligo morale di promuove e sostenere tutte le iniziative volte al perseguimento dell’obiettivo “democrazia linguistica internazionale”. La prima d’esse è certamente legata alla Pace e alla questione della guerra in Irak. Su questo solo una domanda di riflessione: il tentativo di porre il tutto in termini di civiltà religiose (scontro cristianità/mondo musulmano) non è dovuto al fatto che da troppi decenni il mondo laico non è più stato in grado di pensare, porre in essere, incarnare nuove conquiste democratiche che portassero l’umanità verso nuovi traguardi universalistici e civili? La seconda ci riguarda anche come Paese fondatore dell’Unione europea: quanto ci costa la (non) comunicazione in Europa? Noi con il Premio Nobel per l’Economia, il tedesco Reinhard Selten, abbiamo prodotto un interessantissimo studio che saremo onorati di donarLe in occasione dell’incontro che, per quanto breve, speriamo vorrà concedere ad una nostra piccola delegazione prima dell’occasione di Firenze. Quanto ci costerà dopo che saremo a 21 lingue? Quant’è giusto che i ragazzi di tutta l’Unione siano obbligati a studiare due lingue straniere mentre i ragazzi del Regno Unito nemmeno una come oggi fanno? Quando mai potrà partire una “locomotiva Europa” che, pur avendo un’euromoneta, non ha una “eurolingua” che consenta al mezzo miliardo di giovani e anziani eurocittadini di muoversi come pesci nell’ “acquis” comunitario? Speriamo, grazie anche a questi ultimi spunti interrogativi, Signor Presidente, d’averLe partecipato sufficientemente le ragioni dell’urgenza dell’incontro che chiediamo e di quanto battersi per la scelta democratica contro quella egemonica sia oggi importante per dare al mondo una via d’uscita alla guerra, delle lingue.
Con l’occasione voglia gradire i nostri più Distinti saluti,

Giorgio Pagano
Responsabile Campagna "Diritto alla lingua & alla Lingua Internazionale"
Senatore del Partito radicale
Segretario associazione radicale “Esperanto”

 

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La posizione del M.I.L.

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Genova, capitale dell'esperanto - Volantino del 23 agosto 2002

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