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L'inventore si faceva chiamare Doktore Esperanto, «colui che spera». Ma l'idioma che doveva abbattere i confini non attecchì mai. Anche perché, da Hitler a Saddam, i tiranni l'hanno combattuto. Eppure, oggi, è rinato. Complice il web. E la riscossa di mezzo mondo che non ci sta a parlare solo l'«amerikano».

 

LA  BANDIERA

La bandiera della lingua che non c'è. Sotto il Padre Nostro scritto in Esperanto

Patro nia, kiu estas en la cielo, sanktigata estu via nome. Venu via Regno, farigu via volo, kiel en la cielo, tiel ankau sur la tero. Nian panon ciutagan donu al ni hodiau, kaj pardonu al ni niajn suldojn, kiel ankau ni pardonas al niaj suldantoj. Kaj ne konduku nin en tenton, sed liberigu nin de la malbono. Amen.

 

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Il Venerdì di Repubblica
Venerdì 15 agosto 2003

La lingua che non c'era è diventata no global

di Ginanne Brownelle


  L'IDEATORE
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  Ludovic
Zamenhof

Ce ne hanno messo di tempo ma, alla fine, i tifosi dell'esperanto alle critiche del resto del mondo sono diventati praticamente impermeabili. Era il 1887 quando un ebreo polacco inventò la «lingua che non c'è». La speranza, anzi l'obiettivo, in quell'epoca di positivismo scientifico spinto, era di stimolare lo sviluppo di una comunità interculturale. E già allora piovvero, più che i complimenti, le prime critiche: dottrina idealistica, iniziativa di linguisti stravaganti... Eppure, proprio grazie a quell'idea ambiziosa e improbabile (un idioma composto per tre quarti delle parole che derivano dalle lingue romanze e per il resto da lingue slave, greche e germaniche) l'esperanto si è guadagnato una certa notorietà. Due storie per tutte? Saddam Hussein lo considerava una minaccia, tanto da ordinare durante il suo regime tirannico l'espulsione dell'unico insegnante iracheno di esperanto. Il miliardario benefattore George Soros, invece, deve la propria prosperità alla fuga dall'Ungheria comunista proprio in occasione del congresso mondiale di Esperanto del 1946 in Svizzera. Ma, adesso, le cose stanno cambiando. Benché i dati scarseggino (la Società Universale per l'Esperanto, Uea, stima che la lingua sia parlata da otto milioni di persone) l'Esperanto potrebbe diffondersi nei paesi in via di sviluppo in Africa, Asia e Sud America. «Grazie a Internet abbiamo verificato un ampio miglioramento nel livello di diffusione della lingua in paesi come la Cina e il Brasile», spiega Humphrey Tonkin, docente di Inglese presso l'Università di Hartford ed ex presidente della Uea. Nel frattempo, una piccola comunità di irriducibili sta premendo affinché l'Esperanto diventi lingua ufficiale dell'Unione europea. In effetti, la lingua che non c'è sembra l'idioma perfetto per l'epoca moderna, in cui libero scambio, immigrazione e web abbattono le barriere globali, e attivisti, intellettuali e appassionati comunicano quanto mai hanno fatto nei secoli dei secoli. Al rinnovato entusiasmo per la lingua ha dato ora risalto 1'88esimo congresso mondiale di esperanto tenutosi a Goteborg. Circa 1800 membri della Uea provenienti dai paesi più disparati tra cui Giappone, Israele, Nepal e Brasile hanno conversato in quello che, a sentirlo, sembra un misto di italiano indurito e di polacco addolcito. Secondo le stime degli organizzatori la partecipazione è stata di circa il 20 per cento superiore rispetto allo scorso anno. E il numero dei siti in Esperanto è balzato dai 330 presenti in rete nel 1998 ai 788 del 2003. Ma qual è il fascino di questo idioma inventato più di cent'anni fa e che conquista ancora oggi? A differenza delle altre lingue globali l'Esperanto pone tutti sullo stesso piano. Le persone di madre lingua inglese rappresentano solo il dieci per cento della popolazione mondiale ma, si sa, pretendono che tutti si esprimano correttamente nella loro lingua. «In Asia ad esempio, il problema linguistico è molto sentito perché tutti parlano una lingua diversa», spiega John Wells, professore di fonetica presso l'University College di Londra. «E c'è chi comincia a chiedersi se si debba usare necessariamente l'inglese come lingua di comunicazione col resto del mondo. Una soluzione alternativa esiste? Ed ecco scendere in campo l'esperanto». Certo per il momento l'Esperanto continua ad essere parlato soprattutto in Europa, dove fu inventato da Ludovic Zamenhof sotto lo pseudonimo Doktoro Esperanto («colui che spera»). All'epoca l'idioma esercitava molta attrattiva perché era cinque volte più semplice da apprendere rispetto all'inglese e dieci volte rispetto al russo. Si dice che Leo Tolstoj lo abbia imparato in quattro ore. Insieme alla fama della lingua crescevano però i timori, soprattutto tra i tiranni al potere. Hitler sosteneva che l'Esperanto poteva essere usato dagli ebrei per «facilitare il loro dominio». Stalin, spaventato dall'idea della comunicazione globale, spedì migliaia di cultori dell'esperanto nei gulag siberiani. E gradualmente il numero di persone che parlavano la lingua diminuì. Oggi l'Esperanto viene parlato in Europa tendenzialmente da persone anziane che riportano ai tempi della guerra fredda, benché in Polonia e in Ungheria sia ancora possibile ottenere una laurea in questa lingua. Molti sostengono che il successo nel paesi in via di sviluppo sia alimentato dall'astio crescente nei confronti dell'inglese, visto come lingua del commercio globale e della retorica politica. «Bush e Blair sono diventati i migliori amici dell'Esperanto», ironizza Probal Dasgupta, docente di linguistica presso l'Università indiana di Hyderabad. «La globalizzazione ha messo il vento in poppa all'Esperanto rendendolo interessante, oltre che come idioma, come idea sociale». Speranze simili sono state espresse fin dal momento in cui Zamenhof inventò questa lingua egualitaria. Ma in un mondo come quello di oggi, in cui le distanze si accorciano sempre più, non potrebbero trovare occasione più opportuna.

GINANNE BROWNELL
@ Repubblica / Newsweek
(traduzione di Emilia Benghi)

 

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