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I dieci Valori della Civiltà Ligure
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LA REPUBBLICA - IL LAVORO All'ombra dei sondaggi il regionalismo è fallito Marco Ferrari Qual è l'asse strategico della Giunta regionale? Quale è la grande riforma o la legge principale elaborata in questa legislatura? Quali nuovi servizi sono stati erogati ai cittadini, ticket a parte? Forse neanche i più attenti osservatori potrebbero rispondere a queste domande, tanto meno i cittadini che continuerebbero a dare fiducia, secondo recenti sondaggi al Presidente Sandro Biasotti. Certamente il Presidente attuale è riuscito in questi quattro anni a dare smalto e vivacità ad una istituzione appassita, a darle ampia visibilità e connotati più definiti, ma la maggioranza che lo sostiene, disgregata e litigiosa, non ha dimostrato capacità di governo e di alta elaborazione politica. Cosa contiene all'interno questa scatola magica - così ben rappresentata dalle magnificenze del palazzo ex Italia Navigazione di Piazza De Ferrari - è difficile da sintetizzare. La Regione in quanto entità comunitaria non esce rafforzata da questa tornata amministrativa e neppure l'identità ligure ha fatto un solo passo avanti. Casomai lo hanno compiuto le singole città mettendosi in rete tra loro, ma soprattutto al di fuori dei confini liguri: Imperia guardando alla vicina Costa Azzurra e a Cuneo; Savona puntando sul Piemonte e sulle vie marittime; Genova diventando una capitale europea e La Spezia, trovando stimoli sull'asse Tirreno-Brennero. Così si è assistito ad un ulteriore sfilacciamento delle singole comunità, ognuna protesa a difendere il difendibile, in un'epoca di forte recessione economica, di crisi della finanza locale di mancanza di investimenti nazionali e regionali. La scatola vuota di Biasotti non ha prodotto la riforma di un'ente lumaca, come ci si sarebbe aspettati; non ha parificato la Liguria alle altre Regioni in termini di servizi ai cittadini, agli enti locali alle imprese: non ha messo in comunicazione realtà geograficamente e culturalmente ancora distanti tra loro, nonostante la medesima appartenenza regionale; non ha dato credito regionale alle singole potenzialità locali. Si può affermare che la Liguria non ha guadagnato çrediti neppure sull'insieme delle regioni italiane rimanendo la più debole nel nord Italia. Eppure l'ente, in quanto livello istituzionale, sta assumendo e assumerà sempre più competenze nel quadro di un nuovo federalismo. Potrebbe dunque essere questo il lato debole da cui gli avversari politici comincino ad aggredire il fortino di De Ferrari proponendo, al contrario del centro-destra un regionalismo forte basato sulle quattro comunità liguri che, esaltando le singole competenze e specificità, crei una rete di solidarietà e una coesione sociale capace di proiettarsi su un sistema più ampio che guardi a tutte le direttrici limitrofe, dal mare agli Appennini, dal Nord-Ovest all'asse alto-tirrenico. Un esempio lo ha fatto recentemente Romano Prodi a Palazzo Ducale alla conferenza dell'associazione "Il Maestrale": i porti liguri diventino un sistema unico. Sarebbe questo un modo, forse, anche per allentare i crescenti contrasti tra città e attività portuali che aumentano ogni giorno nei centri liguri. Lo stesso discorso di mancanza di omogeneità si può avanzare per il turismo, oggi alle prese con il declassamento delle Apt e la crisi dell'agenzia "In Liguria"; per i distretti economici in perenne competizione tra di loro; per le aree interne che non fanno sistema; per la culura e lo spettacolo, vere Cenerentole in preda ad asfissia, oltre i clamori di Genova 2004 Capitale Europea della Cultura, un altro esempio di mancato decentramento regionale, al contrario di Lille. Gli esempi potrebbero continuare. Le soluzioni non sono poi tanto lontane, basta fare un salto a Torino, a Firenze, a Bologna o a Trento e persino a Bari per capire cosa significa fare sistema, mettere insieme Regione e città, creare enti strumentali e fondazioni che avvicinano la Regione al territorio, coinvolgere privati e fondazioni bancarie su grandi progetti di carattere regionale. La questione di un regionalismo forte sembra più patrimonio del centro-sinistra che del centro-destra che il suo patto federativo in Liguria lo ha già stabilito sulla base del clientelismo esteso (politico, economico, finanziario, bancario ecc.) che è pur sempre una ragione per tenere unito un cartello elettorale composito. Non si capisce quindi cosa attenda l'Ulivo per definire un progetto regionale per la Liguria. Spesso nel centro-sinistra ci si comporta come se si considerasse la Regione solo una poltrona da riconquistare, non una struttura essenziale al rilancio dell'intero territorio e a ricucire le diverse anime liguri. L'occasione è ormai alle porte: l'imminente campagna elettorale per le elezioni europee - accompagnata dalla quasi scontata affermazione del centro-sinistra e in particolare della lista unitaria voluta da Prodi- potrebbe diventare una palestra nella quale cimentare una nuova dimensione dinamica della Liguria nei suoi assetti strategici italiani ed europei. Il probabile invio di uno o due rappresentanti dell'Ulivo a Bruxelles, oltre che a togliere le castagne dal fuoco, rinvigorire la compagine e far dimenticare le passate incomprensioni, agevolerebbe una presa di coscienza che molti invocano, anche per non attendere passivi il prossimo sondaggio e dare una svolta ad una competitività localistica che impedisce una visione d'insieme. E ciò che ci insegnano quelle regioni nelle quali il senso di appartenenza è più antico e quindi più vincolante. Stabilire un patto adesso darebbe un senso nuovo ed inedito all'essere gente di Liguria oggi e domani, al di là di chi vincerà la prossima sfida elettorale.
Il futuro della Liguria
- Comunicato stampa del 16 novembre 2003 |
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