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Il Secolo XIX Martedì 4 aprile 2000

IL 4 APRILE DI DUECENTO ANNI FA

[ La città era una fortezza ] [ Quel che resta del Blocco navale ] [ Massena ai genovesi: non vi dimenticherò ]

Sul mare la flotta inglese schierata, a terra 60 mila austriaci pronti a sferrare l'offensiva da Recco a Cadibona

L'assedio di Genova

Durò due mesi, provocò 10 mila morti

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L'attacco francese sul monte Fasce in un'incisione ottocentesca (Museo del Risorgimento di Genova)

 
È una pagina drammatica della
storia ligure. Il generale Massena,
dopo aver perso un terzo dei suoi
soldati, attese invano di essere
liberato dall'Armata di Riserva,
mentre malattie e carestia
decimarono la popolazione
 

ANTONINO RONCO

"La squadra inglese schierata davanti al porto, 60 mila tedeschi sull'Appennino, diecimila contadini che ci assalgono, la popolazione insorta: noi sfideremo tutto questo. La verità è che un uomo libero vale dieci schiavi". Con queste parole, il 4 aprile 1800, il generale Andrea Massena accolse il suo luogotenente, Soult, che gli recava la notizia del delinearsi dell'offensiva austriaca, da Recco a Cadibona. Proprio quella mattina, la flotta inglese si era schierata nel golfo di Genova per intraprendere, in concomitanza con le operazioni terrestri, il blocco navale. Era l'inizio dell'assedio, durato due mesi, che resta una delle pagine più drammatiche della storia ligure.

Ricordiamo pochi precedenti: nel 1799, assente Bonaparte impegnato in Egitto, i francesi avevano subìto nella pianura padana, dall'Adige a Novi, una serie di sconfitte che li aveva ridotti a difendere una sottile striscia di Liguria, ultima via di ritirata verso la Francia. Questa situazione aveva portato Bonaparte, Primo Console, all'idea della seconda campagna d'Italia: fare dell'armata comandata da Massena l'esca per trattenere intorno a Genova le forze austriache del generale Melas, mentre lui con l'altra armata, detta di Riserva, sarebbe sceso attraverso le Alpi nella pianura padana, per affrontare gli austriaci nella battaglia decisiva.

All'atto pratico le previsioni non furono rispettate in quanto Massena fu costretto ad arrendersi per cui le divisioni austriache che circondavano Genova furono in grado di arrivare in tempo nella piana dello Scrivia per partecipare, il 14 giugno 1800, alla fortunosa battaglia di Marengo.

L'offensiva austriaca contro l'armata di Massena ebbe inizio il 6 aprile. Da Recco, il generale Ott mosse con diecimila uomini contro le posizioni nemiche a levante del Bisagno costringendo i francesi a ripiegare verso Genova; a Savona, Melas scese con più colonne verso il mare dividendo le forze repubblicane e incalzando poi la divisione Suchet nella sua ritirata verso la Francia. I ripetuti sforzi di Massena per ricongiungersi con questa unità ebbero come unica conseguenza la perdita di oltre 5.000 uomini, un terzo dei suoi effettivi. Caduta ogni velleità offensiva, non restò al generale nizzardo che chiudersi nella piazzaforte di Genova per resistere sino a che, come promesso da Bonaparte, l'Armata di Riserva, non fosse giunta a liberarlo. Cessata ogni resistenza nemica in campo aperto, gli austriaci si portarono a tiro delle mura, creando un'impenetrabile cintura attorno alla città, sbarramento attraverso cui, per quasi due mesi, non passarono né rinforzi né viveri e neppure notizie sui progressi dell'armata di Bonaparte; aspetto questo che ebbe un peso notevole nelle ultime decisioni di Massena.

Povera Genova e povera Lanterna...  

Genova sotto il bombardamento inglese il 28 maggio 1800

 

Destò sempre un certo stupore il fatto che una grande e ricca città passasse, nel giro di poche settimane, dalla normalità alla carestia più nera. Genova contava in tempo di pace circa 85 mila abitanti. Con l'inizio dell'assedio una folla di profughi, provenienti dai paesi circostanti, si riversò entro le mura portando il totale delle presenze a 120 mila persone. A queste, naturalmente, vanno aggiunti i diecimila soldati di Massena che ricevevano le loro razioni dal Comitato degli edili, con precedenza sulla popolazione. Il 1799 era stato un anno di per sé assai duro, quanto ai rifornimenti, sia per la guerra che aveva devastato la pianura padane sia per inclemenze stagionali. Fortunatamente prima che gli Inglesi bloccassero i traffici marittimi, qualche veliero aveva potuto entrare in porto con carichi che si rivelarono provvidenziali.

Da un punto di vista militare, l'assedio di Genova non offre spunti di particolare interesse. Massena si limitò ad usare i pochi uomini che gli restavano per tenere il nemico lontano dalle mura e dalle colline, soprattutto quelle di Albaro e della Madonna del Monte, a tiro di cannone dall'abitato. Servì a poco perché, nella seconda metà di maggio, per fiaccare il morale dei genovesi, a pesanti bombardamenti terroristici provvidero le navi inglesi. I mali peggiori furono le malattie e la mancanza di cibo: favorita dalle privazioni si diffuse in città un'epidemia di febbre intestinale.

Per combattere la carestia Massena organizzò cucine all'aperto che fornivano zuppe di vegetali a chi non aveva neanche un fornello (molte persone, prive di tutto, dormivano nei porticati, sui sagrati delle chiese e lungo le "muragliette" che circondavano il porto); ricorse infine a dei "buoni" con cui i poveri venivano assegnati, nominalmente, a famiglie benestanti dalle quali ricevevano, ogni giorno, un po' di aiuto per sopravvivere. Anche molti cosiddetti "ricchi" dovettero adattarsi a disperate ricerche di cibo, raccogliendo nei campi, a ridosso delle mura, erbe commestibili, nonché comprando dai contadini, a peso d'oro, persino i baccelli vuoti delle fave. Si scatenarono cacce a gatti e cani, si cucinarono topi e pipistrelli, divennero prelibatezze il miglio e la scagliola degli uccellini. Si denunciarono forme di speculazione e adulterazioni criminali. Nei palazzi si riducevano in farina, con macinini d'argento usati di solito per le spezie e per il caffè, scorte di grano conservate gelosamente in segreto.

Parve una ventata di follia il fatto che nella città, stremata, si diffondesse la vendita di confetti e zuccherini. La "Gazzetta nazionale", l'unico giornale sulla piazza, si abbandonò all'ironia pensando che un po' di buon umore sarebbe servito a far dimenticare, per un istante, le sofferenze: "ed ecco in piazza - scriveva l'articolista - le mandorle zuccherate, i canditi, i confetti; e tutto a un tratto la città inondata di ragazzi e donzelle venditrici di dolci, che lo portano in giro in varie eleganti fogge, disposti su piccoli ed eleganti cestelline circondate di fiori; (...). In tal modo mentre il povero si ciba di ciambelline, di bonbons e di pistacci, il ricco, per una variazione singolare di cose, si crede fortunato se può avere un tozzo di pane o di dura galletta da rodere..."

Nei mesi del blocco la mortalità crebbe in modo spaventoso. Nel solo ospedale di Pammatone i decessi passarono dai 197 dell'ultima settimana di marzo ai 590 della seconda settimana di luglio, cioè ad assedio concluso. All'arrivo dei primi viveri, 1700 persone morirono di indigestione. Mancano le cifre globali sulle vittime dell'assedio, l'unico dato ufficiale è che, da aprile a settembre, furono seppelliti lungo il Bisagno 9.850 cadaveri.

Scaduto il termine indicato da Bonaparte, senza notizie dell'Armata di Riserva, Massena il 2 giugno accettò di trattare la resa. In una cappelletta allora esistente a metà del ponte di Cornigliano, attorno ad un piccolo tavolo, presero posto il generale Ott, l'ammiraglio inglese Keith, Massena e il ministro Luigi Crovetto per al Repubblica Ligure. I vincitori si mostrarono eccezionalmente arrendevoli: concessero tutto quanto Massena chiedeva. Sembravano dominati da una gran voglia di concludere. I francesi non sapevano che Melas aveva ordinato di chiudere al più presto la partita con Genova perché Bonaparte si stava avvicinando. Il Primo Console seppe della resa di Massena da una lettera presa ad un corriere nemico che galoppava verso Vienna.

Gli imperiali entrarono in Genova il 5 giugno, passando sotto archi di trionfo eretti dai filoaustriaci. Ma venti giorni dopo, in seguito alla vittoria di Bonaparte a Marengo, la città fu riconsegnata ai francesi e sotto gli stessi archi di trionfo, trasformati in fretta da imperiali in repubblicani passò, con le sue truppe, il generale Suchet.

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