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I dieci Valori della Civiltà Ligure
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LA REPUBBLICA - IL LAVORO La Liguria? Una regione virtuale Gabriella Airaldi È la Liguria una regione virtuale? Il dubbio ci assale sempre più spesso, man mano che si avvicina la scadenza elettorale e si comincia a sentir parlare di programmi, compaiono manifesti, si leggono o si ascoltano proposte e discussioni. Se ne trae, per lo più, una sola conclusione:che per molti la regione è un oggetto misterioso, una sorta di contenitore, nel quale si possono infilare a piacere questioni generali e problemi particolari, sulla base di ideologie diverse e in relazione a possibili serbatoi di voti sicuri oppure da recuperare. Come tutti sanno, la Regione, istituzione che guarda a tutta la comunità, è un organo a carattere legislativo. Il suo compito primario è quello di dare linee generali di indirizzo, legiferando opportunamente e sostenendo in modo congruo sul piano finanziario le decisioni prese. Il compito non è semplice: di per sé significa, infatti, conoscere perfettamente la realtà regionale. Cosa non facile per gente come i politici, abituata a muoversi nell'hic et nunc. Nell'ambito ligure, però, quest'atteggiamento può dare risultati peggiori che in altri casi, approfondendo la caratteristica regionale di base, che da tempi immemorabili opera nel senso della divergenza e della contrapposizione. Un ulteriore peggioramento della situazione potrebbe rivelarsi l'imporre soluzioni calate dall'alto; o, per altro verso, troppo connesse ad interessi genovesi, all'ombra delle solite giaculatorie sul ruolo della Liguria, porta d'Europa e il Mediterraneo, e via discorrendo. Per natura i Liguri sono sospettosi e malfidati e, per loro fortuna, tengono in pochissimo conto l'incauta legge che ha promosso l'estrema personalizzazione della politica e che obbliga di fatto ogni elettore a identificare l'istituzione regionale con una sola persona: il Presidente. Legge nefasta che richiederebbe ben altra robustezza democratica che quella italiana e che, infatti, produce capi e capetti vogliosi di più o meno grandi eserciti personali da schierare in campo, fossero pure i volontari dell'assistenza e non solo i funzionari di partito. Però chi conosce un po' la storia di Genova e della Liguria e i geni dei suoi abitanti, sa bene che i Liguri hanno un chiodo fisso. Nessuno qui vuole il "principe". Sarà perché, diversamente dalla grande parte della storia italiana ed europea, qui non c'è mai stata una monocrazia. Anzi, per rinviare ad una citazione che quest'anno sembra molto appropriata, non è un caso che la Liguria sia stata la regione che, con Mazzini, ha passato la forma repubblicana all'Italia. I Liguri considerano la pomposa, vuota e inesatta, parola "governatore" un puro "flatus vocis" in una regione dove, da tempo immemorabile, fiorisce la logica dei contro poteri. Che non va confusa con il gioco di partiti o dei cosiddetti "poteri forti", ma germina da una più sottile e pervicace volontà di impedire l'ascesa e il predominio di una sola persona (e ovviamente del suo entourage). La nostra storia è piena di esempi di uomini ambiziosi, ma altrettanto piena di repentine defenestrazioni, a cominciare dai celebrati dogi, compreso il primo di loro, il famoso Simone Boccanegra. D'altra parte in Liguria la sovraesposizione, caratteristica di altri ambiti regionale, non paga; invece di aiutare il candidato Presidente lo danneggia; impaurisce la Gente; giustifica alleanze inusitate. Ma allora che cos'è la Liguria? Conviene dire subito che non è una regione unitaria né può esserlo, almeno nell'accezione più comune di questo termine, che sempre sottende un desiderio di possibili egemonie. In effetti, dietro questa resistenza ligure ad ogni unitarismo o, se si vuole, ad ogni unanimismo - il che ci salva dal farci diventare una sorta di "Padania" - ci sono almeno mille anni di storia, ma anche qualcosa di più. Una rapida scorsa al passato ci informa che, nel tempo lungo, molte e diverse sono state le Ligurie. Fermo restando che i Liguri tra l'Arno e l'Ebro ci hanno consegnato un'ampia area di cultura euroccidentale, alla quale ci sentiamo di appartenere, una prima, pallida idea della Liguria di conformazione politica simile all'attuale, l'abbiamo in età bizantina. Ma, in verità, il momento più significativo della sua storia è stato quello in cui sono nate le tre "marche" - l'obertenga, l'aleramica e l'arduinica - promotrici di collegamenti tra la costa e l'interno, ragione profonda della crescente vitalità di alcuni centri costieri (Genova e Luni, Savona, Albenga e Ventimiglia) e di relazioni con l'entroterra europeo, destinate a rafforzarsi con il passaggio della corona imperiale all'area tedesca. Poco più tardi il Comune genovese, governato da un'oligarchia di famiglie più interessate alla globalizzazione che a un controllo totale del territorio finitimo, ha interpretato a modo suo il processo unificante, limitandolo a un controllo strategico del sistema di comunicazioni, in cui molti sono rimasti i vuoti di potere fino all'avanzata età moderna. D'altra parte, in ragione della forza aspirante del porto e dell'economia di marcato genovese, nessuno in Liguria ha mai pensato in termini locali e nemmeno peninsulari. La nascente globalizzazione, in cui la Liguria era immersa, imponeva anche a chi restava a casa, ma aveva un parente o un amico in giro per il mondo, la necessità di guardare fuori del proprio ubi consistam. Dunque non tutti i liguri erano genovesi; ma è vero che quando allora i liguri andavano per il mondo si definivano ed erano definiti "genovesi"; d'altra parte molte località che un tempo erano genovesi - sul territorio prossimo o in zone molto lontane - oggi non sono nemmeno più liguri. Bisogna sapere che una regione ligure unificata si ha solo dal 1797 al 1805, con la Repubblica democratica e per imposizione esterna. La Liguria vuole pluralismo e policentrismo. Se voliamo legittimamente parlare di una regione-nazione, questa Liguria è l'unica che possediamo e ala quale possiamo richiamarci.
Il futuro della Liguria
- Comunicato stampa del 16 novembre 2003 |
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