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O Oscar ostruiva l’oblò con gli omeri ossuti, ostentando orgogliosamente un orologio Omega, mentre Ottavio, un obiettore di Ostuni ottuso come un orango, si ostinava ad offrire agli ospiti in otri ovoidali omelettes odorose di olio d’oliva di Oneglia. Oscar e Ottaviano, ondeggiando come oche, omettevano di occuparsi delle organizzazioni operaie che ovunque, in officina, ostacolavano l’operato dell’organico, obbedendo all’ordine: OMERTÀ’! “Occhio per occhio, orecchio per orecchio!” osservò alle otto l’opulenta ostessa Ottilia, mentre, all’orizzonte, un’odalisca dell’Oba Oba si offriva oscenamente a un’orda di omaccioni ottenebrati dall’oppio, osannanti come ossessi agli ondeggiamenti dell’opima orientale. Orribili orchi e orripilanti orchesse obbligavano otarie ostili ad orientare su Oslo gli obiettivi, orando omelie in onore di Ognissanti. Oscar, obbligò l’orefice Oberon ad offrire un obolo per l’Opera, ove oboi, ottavini, ocarine e organetti erano di ottone, poiché l’onnipotente Oren odiava l’oro, ormai obsoleto nelle orchestre all’ora dell’Ouverture. “Oplà!” e, con un omaggio ossequioso alle ospiti ossigenate, Otello, un ometto dall’ovale oscuro, obliò l’oracolo e si orientò sull’Opera Omnia di Orazio e di Ovidio. Ad Orvieto un omosessuale, oggetto dell’ostracismo degli Orvietani, occhieggiava in un’oasi offrendo orzate ad un’ostetrica, Ofelia degli Odescalchi, onde onorarne l’onestà e offuscarne l’orgoglio. La ospitò, ovviamente, in un ovile, offrendole di oziare tra un oroscopo e un’ovulazione e opponendo a odi in Oc odi in Oil come un Ossian a Oxford. Per originalissimo ornamento le offrì un orifiamma: un orsacchiotto ornato di opali. “Oremus!” ordinò ordunque Ofelia e, fra oneri e onori, si offrì come ostaggio in un opificio olandese, origliando in ogni oratorio.
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