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A me mi

Altra espressione, come il famoso «ma però», che è da sempre argomento di accese discussioni ed e costantemente condannata nelle scuole. Come devo ripeterlo? Non e errore, non è da segnare con matita blu, e nemmeno con matita rossa. Qui pure si tratta semplicemente d'un di quei casi in cui la grammatica concede l'inserzione in un normale costrutto sintattico di sovrabbondanti al fine di dare alla frase un'efficacia particolare, un particolare tono. È insomma uno dei tanti accorgimenti stilistici di cui tutte le lingue fanno uso. Nel nostro caso, il valore rafforzativo di quel mi pleonastico non può sfuggire a nessuno: «a me non la dai a intendere», «a me non me la dai a intendere»; «a me questo non piace», «a me questo non mi piace»: identico concetto, ma tono diverso.

Si badi poi che questo a me mi non è un costrutto inventato oggi; ci sarebbe da allineare esempi classici a bizzeffe, a cominciar dal Boccaccio; del quale, nella novella ottava della giornata nona, leggo questa frase: «Che arrubinatemi e che zanzeri mi mandi tu dicendo a me?». Ed ecco un altro esempio, del Firenzuola: «Che mi fa a me? Ti conterà le cento lire, e tu me le darai poi a me»; e uno del Redi: «Mi tratta meglio degli altri autori, perché infine infine a me mi dà del signore, che non lo dà agli altri»; e un altro dei Salvini: «Non mi dite a me che ad ogni modo ella non sappia». E, si badi, tanto il Redi quanto il Salvini erano accademici della Crusca, e despoti nella compilazione del famoso Vocabolario. Useremo matita blu perfino coi cruscanti? Ma veniamo ai giorni nostri: un esempio del Giusti: «Ma in verità a me mi pareva di aver fatto la cosa più naturale del mondo»; questo del Carducci « Non mi dare a me la colpa, Che no 'l seppi ritornar»; quest'altro del Verga: «A me non me ne importa nulla di quello che mi hai detto»; e questo infine del Panzini: «Per di più a me mi ha rovinato Ovidio».

Costrutto corretto, dunque, cosi come sono analogamente corretti i costrutti «lo so che a te non ti va questa faccenda», «a voialtri non vi dirò più niente». Potremo forse aggiungere questo: che trattandosi di una libertà stilistica, conviene frenarla, almeno nella scuola.

Tratto da Aldo Gabrielli, Il Museo degli Errori, Oscar Mondadori n. 728, Milano 1977.

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