[ Indietro ] “Vuoi venire o non?”Quanta gente, anche colta, scrive in questo modo, e non sa di sbagliare! “Che tu voglia o non, la cosa non mi riguarda”, “Che questo gli piacesse o non ci sembrava indifferente”: frasi raccolte sui giornali, fin sui libri. E sono frasi sbagliatissime, proprio da matita blu. Bisogna dire: “Vuoi venire o no?”, “Che tu lo voglia o no”, “Che gli piacesse o no”. Ed è presto spiegato il perché. La negativa no, così fortemente tonica, riassume in sé tutto un discorso (i grammatici la definiscono parola olofrastica, come il sì affermativo): “Vuoi venire o no?”; quel monosillabo no racchiude infatti l’intera frase sottintesa “non vuoi venire?”; tanto è vero che noi possiamo anche dire distesamente “Vuoi venire o non vuoi venire?”. La negativa non, invece, non ha questo valore riassuntivo, ma è soltanto la premessa negativa di una frase che segue. Nessuno infatti alla domanda “Vuoi venire?” risponderebbe con un semplice “Non” che lascerebbe la frase in sospeso; ma risponderebbe per esteso “Non voglio venire” o userebbe la negazione “No” che riassume questa frase. Vittorini intitolò un suo libro Uomini e no, come dire “Uomini e non uomini”; “Uomini e non” sarebbe stato un titolo strafalcionato. Tratto da Aldo Gabrielli, Il Museo degli Errori, Oscar Mondadori n. 728, Milano 1977. Sì al "no" (ma se olofrastico) NotaLa mia attenzione in difesa del no olofrastico mi ha fatto scoprire uno strano fenomeno. È abbastanza infrequente trovare frasi come quelle riportate da Gabrielli: non ho mai letto “Vuoi venire o non?”, mentre sembra norma usare il non davanti alla congiunzione e: “Riunioni di docenti e non”, “Materiale infiammabile e non” e via dicendo. In sintesi, il linguaggio odierno sembra richiedere il no se la congiunzione che precede è o, mentre si usa il non se preceduto da e. Ribadisco che, per quanto dimostrato sopra da Gabrielli, l’unico uso consentito nella corretta lingua italiana è sempre e solo quello della negativa no. [ Indietro ] |
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