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Cronologia dettagliata
del Sacco di Genova
La cronologia è stata costruita sulla base dei libri che
trattano del Sacco di Genova. Per ogni episodio è citata la fonte: tra
parentesi quadra viene indicata la lettera identificativa del testo
seguita dalla pagina da cui è tratto l'episodio: ad esempio, [M31]
significa che l'episodio è tratto da p. 31 del libro I moti genovesi
del '49.
A: Federico Alizeri, Commentario delle cose accadute in
Genova in marzo e in aprile 1849, nel volume Genova nel 1848-49
a cura del Comune di Genova, Torino, 1950
C: Emanuele Celesia, Diario degli avvenimenti di Genova
nell'anno 1848, nel volume Genova nel 1848-49 a cura del
Comune di Genova, Torino, 1950
D: Giacomo De Asarta, Relazione degli ultimi fatti di Genova,
nel volume I moti genovesi del '49 - "testi e documenti
dell'epoca", introduzione di Leonida Balestreri, Erga, Genova,
1967
M: Anonimo di Marsiglia, Della rivoluzione di Genova nell'aprile
del 1849, esposta nelle sue vere sorgenti - Memorie e documenti di un
testimonio oculare, nel volume I moti genovesi del '49 -
"testi e documenti dell'epoca", introduzione di Leonida Balestreri,
Erga, Genova, 1967
R: Relazione della commissione per l'accertamento dei danni,
nel volume I moti genovesi del '49 - "testi e documenti
dell'epoca", introduzione di Leonida Balestreri, Erga, Genova, 1967
Ecco, giorno per giorno, come si è svolto il
vergognoso episodio del Sacco di Genova
- Mercoledì 14 marzo 1849
- Il ministro Domenico
Buffa, Commissario del Governo a
Genova, in procinto di ritornare a Torino, rende noto, con un
proclama, la cessazione dell'armistizio firmato il 9 agosto 1848
dal Conte Salasco e la conseguente ripresa delle ostilità nei
confronti degli Austriaci. [A71]
- La città di Genova risulta retta nel modo seguente: Cavalier
D. Carlo Farcito De Vinea: intendente generale
preposto agli uffizi civili; Generale Giacomo
De Asarta: comandante della Divisione
militare; Generale Giuseppe
Avezzana, comandante della Guardia
Nazionale. [A72]
- (...)
- Venerdì 16 marzo 1849
- In applicazione delle nuove leggi, è eletto sindaco il cav.
Antonio
Profumo, gratissimo al popolo per
antichi e liberali servigi prestati alla patria. [A72]
- (...)
- Venerdì 23 marzo 1849 -
Disfatta di Novara e abdicazione di Carlo
Alberto
- Dalle 11 del mattino alle 20 della sera in una giornata
piovosa nel territorio circostante Novara si svolge la sanguinosa
battaglia che ha come centro d’azione il sobborgo della
Bicocca.
- A sera, quando il re
Carlo
Alberto capisce di essere stato sconfitto, parodiando
Francesco
I di Francia, dice: « Tutto dunque é perduto, anche
l'onore ».
- Dopo le ore 20, Carlo Alberto decide di chiedere una tregua.
Conosciute le condizioni umilianti imposte da
Radetzky
decide di abdicare a favore del figlio
Vittorio
Emanuele cui affida anche il comando dell’esercito.
- Sabato 24 marzo 1849
- Gli austriaci occupano Novara e ne prendono possesso. In una
cascina presso Vignale, Radetzky e Vittorio Emanuele si incontrano
per intendersi sull’armistizio.
- Domenica 25 marzo 1849
- Gli austriaci al comando del generale
Franz
von Wimpffen, assediata Casale dal giorno prima, tentano di conquistarla,
ma le ostilità cessano essendo giunta notizia dell'armistizio. Gli
Austriaci si ritirano oltre la Sesia.
- Presenti i membri del Consiglio e presente
l'intendente Carlo Farcito, Antonio Profumo giura lo Statuto e la fede al Re
ed entra in carica quale sindaco di Genova. Il Consiglio si
riunisce quindi in seduta ordinaria. [A72]
- Lunedì 26 marzo 1849 -
Stipula dell'armistizio
- Il principe
Eugenio
di Savoia-Carignano, luogotenente generale del Re, emana un
proclama annunziante che Carlo Alberto ha abdicato a favore di
Vittorio Emanuele, suo primogenito. Le truppe di presidio in
piazza Castello prestano solenne giuramento al nuovo re.
- Dal suo quartier generale di Novara, Radetzky annunzia concluso
l’armistizio con il re di Sardegna (per il testo dell'armistizio
clicca qui).
- La divisione lombarda, capitanata dal generale sabaudo
Manfredo Fanti parte da Alessandria, si
concentra a Tortona e Voghera, per poter poi muovere su Genova e
portarsi in Toscana o in Romagna. [M97]
- Martedì 27 marzo 1849
- Giunge a Genova il proclama del Principe Eugenio cha annuncia
l'abdicazione di Carlo Alberto. Gran tumulto in Città. [M29] [D126]
[C62]
- I Genovesi non si rassegnano: «Si salvi l'onore, dacché non
possono i popoli abdicare al proprio decoro». [M30]
- Il Municipio invia due Consiglieri a Torino per far
conoscere le agitazioni di Genova e per sapere quali sarebbero
state le conseguenze dell'armistizio. [A76]
- Per evitare possibili fraintendimenti, il Municipio invia
anche una Deputazione all'Intendente Farcito, per informarlo di
non volere né usurpare i compiti altrui, né di fare cose
contrarie al governo, né di voler agire all'insaputa dei
magistrati civili. A riprova di questi sentimenti, Farcito è
invitato ad intervenire in Consiglio. [A76]
- Avezzana chiede di parlare al Consiglio ed esprime
la sua preoccupazione per l'agitarsi del popolo. Viene informato
che una deputazione stava raggiungendo Torino per conoscere il
da farsi. Gli viene concesso di riferire questa cosa al popolo,
ma l'annuncio non serve a calmare gli animi. [A76]
- Scoppiati i primi tumulti, sul far della sera vengono
suonate le campane a stormo per chiamare il popolo a raccolta.
[M30]
- Didaco
Pellegrini e Ottavio
Lazotti, infatti, fanno battere la generale dai tamburini della
Guardia Nazionale e suonare le campane a stormo. [D127]
- Il generale De Asarta, preoccupato per
i tumulti, spedisce corrieri al generale
Alfonso
La Marmora
chiedendo soccorsi
per ristabilire l'ordine in Genova. [M30] [D133]
- Il popolo ferma il corriere e, letto il messaggio di De Asarta,
ha chiaro che le truppe sarebbero servite a sedare l'insurrezione
e non a sostenerla. Per questo afferma: «Vadano a combattere il
nemico, la città resti affidata a noi stessi». [M30] [C62] [A77]
- Il popolo vuole un Governo Provvisorio e i forti. [C62]
[A77]
- Parlano Lazotti e Pellegrini e si fa un Comitato di Difesa
composto dal generale della Guardia Civica Giuseppe Avezzana,
presidente; Ottavio Lazotti, Federico
Campanella, G.B.
Cambiaso, David
Morchio membri e Didaco Pellegrini segretario. [D127] [C63]
- Ma Pellegrini rifiuta ritenendo di avere troppi nemici. [A78]
- Verso le ore 11 di sera la gente comincia a diradarsi e a
mezzanotte è tutto tranquillo. [D127] [A79]
- Mercoledì 28 marzo 1849
- Al mattino De Asarta esce con un manifesto per spiegare che
la richiesta di aiuto a La Marmora ha il solo scopo di meglio
tutelare l'ordine interno e rendere inespugnabile Genova. [A80]
- Sempre di mattino ricominciano le agitazioni; il tamburo chiama la
Guardia Nazionale che verso le dieci si raduna disarmata per
deliberare sullo stato delle cose. [D130]
- Il sindaco e una deputazione informano De Asarta che il
popolo ha il solo pensiero di prepararsi alla difesa
dall'invasione degli Austriaci. Per questo si fa richiesta di
ridare il comando dei forti alla Guardia Nazionale. [D130] [A82]
- Visto che De Asarta non voleva cedere i forti, l'intendente
Farcito si reca a Tursi per ammorbidire il popolo, ma viene
trattenuto come prigioniero fino a quando non sia dato il
richiesto. [M31] [A82]
- Durante queste trattative il Municipio, per provvedere alla
sicurezza della città, arma 600 camalli o facchini di dogana,
ceto plebeo, ma fedele e amante dell'ordine. [D133] [M31]
- Per guadagnare tempo negando e concedendo, De Asarta cede solo due forti
alla Guardia Nazionale: Lo Sperone e il Begato.
[D133] [M31] [A83]
- Il sindaco Profumo informa la città della cessione e, avendo
egli mantenuto la promessa, confida che i genovesi manterranno
la loro garantendo la pubblica tranquillità, la pace e la
concordia. [A236]
- Giovedì 29 marzo 1849
- Nella notte la Divisione Lombarda del generale Fanti decide,
nonostante la pioggia e l'opinione contraria di Fanti, di
lasciare Tortona e partire per portare aiuto a Genova. [M98]
- Sempre nella notte entrano dalla porta orientale una ventina
di lancieri a cavallo. Il Municipio manda tre consiglieri a De
Asarta per chiederne conto. De Asarta afferma che si tratta di
un piccolo distaccamento che doveva raggiungere la sesta
divisione, ma che fu fatto retrocedere a causa delle cattive
notizie relative alla guerra. [A84]
- Il Consiglio Municipale si dichiara in seduta permanente e
poco dopo assume il nome e i compiti di Comitato di sicurezza
pubblica. [M32] [A85]
- All'unanimità il Consiglio Municipale decide di inviare una
deputazione a Torino
per invitare il Parlamento a trasferire la sua sede a Genova. [M32]
[A86]
- De Asarta trasferisce il suo quartier generale all'Arsenale
dello Spirito Santo, proprio nel luogo dove, nel 1746 quando
avvennero i fatti del Balilla,
stanziavano le truppe del rinnegato Botta Adorno. [M34]
- Appena messo piede nell'Arsenale De Asarta scrive al Sindaco
lamentandosi, tra l'altro, che si tende a spogliarlo del Comando
Militare e del fatto che il Municipio, assecondando gli insorti,
si sia eretto in Autorità suprema, indipendente dal Governo.
[D135] [A90]
- Preoccupati per i comportamento dei militari, una
moltitudine furiosa si reca al Municipio, che tenta di calmarla
raccontando alla folla cosa era stato fatto. Ma queste paiono
solo parole. [A87]
- Poiché i tumulti continuano, il Sindaco convoca, alle ore
17, la Guardia Nazionale e assieme pubblicano un breve avviso
che incomincia: Il Municipio è in pieno accordo colla Guardia
Nazionale per difendere l'ordine, la libertà e l'onor nazionale.
[A88]
- T. Yeats Brown, console di S. M. Britannica, emette un
avviso in cui, visti i tumulti, dichiara che le forze inglesi
stanziate in porto prenderanno, occorrendo, le misure necessarie
per proteggere gli interessi dei sudditi britannici. [M34]
[A112]
- La sera Pellegrini incita il popolo a chiedere armi e ad
andare a prenderle all'Arsenale, ma questi incitamenti non hanno
effetto. [D136]
- A notte inoltrata, mentre stava per sciogliersi il Consiglio
Municipale, parecchi delegati della Milizia Comunale chiedono di
aumentare la forza cittadina. Il Municipio acconsente purché la
cosa sia definita col generale Avezzana al fine di aumentare il
numero dei militi non con avventurieri ma con uomini di provata
fede. [A88]
- A mezzanotte tutto rientra nell'ordine. [M35]
- Venerdì 30 marzo 1849
- Appena sorto il mattino vengono distribuite le armi: si
armano anche preti e frati. [M35]
- Di mattina De Asarta va all'Arsenale e lascia il generale
Ferretti, comandante di piazza, a custodire Palazzo Ducale.
[D136] [A89]
- A Palazzo Ducale resta anche l'Intendente civile. [A89]
- Da fuori giungono gravi notizie a recidere l'ultimo filo
della pubblica fiducia: sommosse a Torino e difficoltà a parlare
col nuovo re Vittorio Emanuele II. I consiglieri del Municipio
riferiscono di sbandamenti dell'esercito e che era tardi
chiedere il trasferimento del Parlamento perché stava per essere
sciolto. Tutto ingoiava l'universale scompiglio, ad accrescere
il quale giungono da Torino a Genova parecchi deputati, tra cui
Costantino
Reta. [A89]
- Il Consiglio Municipale risponde alla lettera che De Asarta
aveva inviato il giorno prima affermando che il comportamento
del Municipio è assolutamente corretto. Prega quindi De Asarta
di rendere nota la risposta anche all'Intendente Farcito che,
rifugiatosi nell'Arsenale, aveva scritto al Sindaco in data
odierna. [A91]
- I Reali Carabinieri scrivono varie lettere al Sindaco
annunciando che le caserme sono chiuse per ordine superiore.
[A92]
- Il Maggiore dei Carabinieri Angelo
Ceppi
di Bairolo scrive preoccupato della sicurezza di alcuni
carabinieri. [A91]
- Scrive anche il Comandante interinale della Divisione
Carabinieri, Della Chiesa Della Torre, affermando di temere per
il decoro del Corpo, che i Carabinieri possano essere
pubblicamente insultati per strada. [A91]
- Il Municipio manda una deputazione di tre consiglieri da De
Asarta ad esprimere la meraviglia per il ritiro suo e delle
truppe. [A93]
- Il Municipio distribuisce 800 fucili ai facchini, ceto
subordinato e fedele, che sono mandati tra le file della Guardia
Nazionale. [A93]
- Il popolo, saputo che al Portofranco erano custodite 53
casse di armi, vendute dall'Inghilterra al Governo della
Sicilia, vuole irrompere nei magazzini per prenderle. Per
evitare mali peggiori, l'Avezzana scrive all'Incaricato
Consolare di Sicilia, Enrico Nicolò Noli, per ottenere le armi.
[A93]
- Il deputato Costantino Reta tenta di incitare il Municipio a
opere energiche, ma il Municipio ondeggia in mille incertezze.
[M35]
- Da parte dei contrari all'insurrezione si tenta di arrestare
Avezzana che viene liberato da alcuni civici artiglieri. [M36]
- De Asarta riceve la deputazione del Municipio alla quale
comunica le proteste dei Consoli di Francia e di Inghilterra e
quelle del Comandante di Vascello che stava in rada. [D136]
- I tre consiglieri mandati da De Asarta riferiscono al
Municipio le sue lamentele. [A95]
- È sospetto il comportamento di De Asarta, che continua a
barricarsi nell'Arsenale di Terra. [M36]
- Uno dei tre consiglieri riferisce più tardi che De Asarta sta attendendo
una milizia di 280 uomini e la sesta divisione dell'esercito.
[A95]
- Il Municipio delibera di mandare tre inviati da De Asarta
per chiedergli di ritardare
il più possibile l'arrivo dei soldati e di informare il popolo
sul perché del loro arrivo. [A96]
- Alle ore 22 una folla preoccupata si raduna in
piazza Nuova per conoscere cosa stesse succedendo. I tre
inviati del Municipio cercano di rassicurare la folla spiegando,
tra l'altro, che i 280 sono dei malati attesi dalla Spezia.
[A96]
- Ma la folla è impaziente e corre a radunarsi sotto
Palazzo Tursi; Didaco Pellegrini propone la costituzione
di un "Comitato di Pubblica Sicurezza" nelle persone del
generale Avezzana, dell'avvocato David Morchio e del deputato
Costantino Reta. [M38] [A97]
- Sabato 31 marzo 1849
- Di buon mattino un torrente di popolo minaccioso e pronto a
irrompere va all'Arsenale. [A99]
- Corre voce che Avezzana sia trattenuto a forza presso il
Municipio: la folla corre per liberarlo e minaccia di irrompere
nel Consiglio se Avezzana non viene subito liberato. [A99]
- Palazzo Ducale è ancora presidiato da un battaglione di
linea sotto gli ordini del Generale Ferretti e piazza Nuova è
piena di gente. [A99]
- D'improvviso gli insorti arrestano il generale di piazza
Ferretti,
accusato di essere stipendiato
dall'Austria. [M36] [A100]
- Avezzana, che è ancora in Municipio, appena saputa la
notizia dell'arresto di Ferretti, chiede che venga liberato.
[A100]
- De Asarta viene a conoscenza dell'arresto del
generale Ferretti. [D137]
- De Asarta dapprima si irrita poi scrive al Municipio
annunciando il ritiro del battaglione da Palazzo Ducale perché
privo di comandante, il Ferretti, appunto. [A101]
- De Stefanis prende in ostaggio
la famiglia di De Asarta (moglie,
una figlia di dieci anni
e due figli più piccoli) che viene rinchiusa in una splendida abitazione di
Palazzo Tursi. Quindi comunica al De Asarta che al primo colpo di
cannone gli si manderebbe la testa del figlio. [M36] [A111]
- L'Incaricato Consolare di Sicilia Noli scrive al Sindaco
affermando di non poter cedere i 1272 fucili contenuti in 53 casse depositate
nel Portofranco perché appartengono al Governo dell'eroica Sicilia.
Ma Avezzana, con parole minacciose, si fa consegnare le armi. [A93]
- Alle 17 Avezzana ordina di chiudere la porta Orientale, che
viene chiusa. Il Municipio ne ordina l'apertura e viene
obbedito. [A102]
- Il ponticello che unisce Palazzo Ducale con la chiesa di
Sant'Ambrogio viene demolito per timore che possa essere usato
dalla truppa per invadere il Palazzo. Del robusto arco non è più
che un mucchio di rottami che ingombra la via. [A102]
- Il popolo, incitato da Pellegrini, si raduna sotto palazzo
Tursi. [A103]
- Salgono alla sala del Consiglio tre giovani, lo studente
Angelo Raitano di Fontanabuona ed i genovesi Davide Rosani e
Antonio Richelmo, per chiedere che i Municipio riconosca ed
approvi i triumviri Avezzana, Morchio e Reta, eletti dal popolo
per vegliare alla difesa e alla sicurezza di Genova. [A103]
- Il
Municipio dichiara di non avere i poteri politici per sanzionare
quel Comitato. [M38] [A104]
- Avezzana, affacciato a una finestra, accetta allora di porsi
a capo del triumvirato. [A104]
- Assecondando il volere popolare e ritenendo ormai di aver
esaurito il suo compito, il Municipio dichiara cessata la seduta
permanente e rientra nei propri uffici ordinari. [A104]
- Avezzana, Morchio e Reta sono nominati triumviri. [M38]
- Il Triumvrato si trova quindi alla testa del movimento;
viene affiancato dall'avvocato Ottavio Lazotti,e da Pellegrini,
da Nicolò
Accame e da Albertini
e Weber.
[A105]
- Domenica 1 aprile 1849 -
Domenica delle Palme
- L'Incaricato Consolare di Sicilia Noli scrive al Sindaco
per riferirgli di avere ricevuto una sua lettera dalla quale
emerge che sarà impossibile per il Municipio impedire che le 53 casse di fucili
siano tolte dal Portofranco (come in effetti era già avvenuto). [A94]
- Dopo mezzogiorno una deputazione va da De Asarta per trovare
il modo di calmare l'effervescenza popolare. Si giunge a
un'intesa di massima. [D139]
- Alle ore 16 il popolo va alla darsena a cercare armi. Le
porte vengono aperte e l'accoglienza è fraterna. Per impedire lo
sperpero delle armi si affigge un cartello a grandi caratteri
con su scritto "Stabilimento Nazionale". [M39]
- In strada Balbi i tamburini della Guardia Nazionale battono
la carica e il generale Avezzana si accosta galoppando
all'Arsenale. [D139]
- Il popolo va verso l'Arsenale del Santo Spirito
aspettando accoglienza identica a quella ricevuta in Darsena.
Ma i carabinieri fanno fuoco
e il popolo risponde al fuoco. Si spara per tre ore quindi, calata la
notte, si cessa di combattere. [M40]
- Tra il popolo furono uccise 23
persone e diciannove ferite. [M41]
- Il colonnello delle Guardie Morosso, odiatissimo dai
Genovesi per i suoi modi tracotanti, è ucciso trafitto da palla
genovese nel cuore. [M41]
- Scrive De Asarta: «Dei nostri sei furono i feriti, cinque
gli uccisi, fra i quali fuvvi il bravo colonnello Marozzo, che
vittima del suo troppo coraggio fu colpito da una palla presso
le barricate». [D140]
- Il popolo si infuria per il fatto che i primi a sparare
furono i soldati. Così vengono approntare barricate, disselciate
le vie. Tutti, compresi preti e frati, si armano. [M41]
- Verso la mezzanotte De Asarta vuole tentare una sortita, ma
deve rinunciare perché la maggior parte dei soldati si è unita
agli insorti. [M42] [D141]
- Alle ore 11 e tre quarti di notte De Asarta scrive al
sindaco per fargli conoscere quanto ingiusta sia stata
l'aggressione dei rivoltosi all'Arsenale. [D141]
- Lunedì 2 aprile 1849
- Capitolazione di De Asarta: le truppe sarde e i carabinieri
disarmati lasceranno la città. La famiglia di De Asarta e il
generale Ferretti saranno quindi liberati. [M44]
- Il Triumvirato assume il nome di Governo Provvisorio. [M49]
- Vengono emessi vari avvisi da parte di Avezzana e del
Governo Provvisorio; il più importante comincia con la frase:
"Genova è del popolo". [M47]
- Si fa appello ai "Fratelli Lombardi"
affinché vengano a difendere Genova. [M49]
- In un tumulto viene ucciso un poliziotto e il Conte Ceppi Maggiore dei Carabinieri
che è riconosciuto dal popolo nonostante indossi abiti borghesi. [M52]
All'angolo di vico Monachette con via Pre nell'esordio dell'aprile 1849 fu
ucciso, a furia di popolo, il maggiore dei carabinieri ceppi (F. Donaver,
Le vie di Genova, Genova, 1912, p.258.
- Martedì 3 aprile 1849
- Vengono emessi vari avvisi per disciplinare l'insurrezione.
[M54]
- Lorenzo Pareto viene eletto Ispettore Generale delle
fortificazioni di Genova. [M57]
- A Genova si viene a sapere che trentamila soldati, guidati
dal generale Alfonso La Marmora, stanno marciando verso la
Città. [M58]
- Costantino Reta manda un messaggio a La Marmora
scongiurandolo di non portare le armi contro i propri fratelli.
Per tutta risposta La Marmora arresta il messaggero (di nome
Chiappara) e lo imprigiona, minacciando di fucilarlo. [M58]
- Si dice che La Marmora, per rialzare lo spirito delle sue
soldatesche, abbia loro solennemente promesso il sacco della
Città. [M59]
- Un tale R., traditore giunto da Torino, ottiene il comando
del Forte delle Tenaglie. [M61]
- Mercoledì 4 aprile 1849
- Di mattina vi è trambusto alle porte della Lanterna. Alle 10
arriva l'ordine di alzare i ponti e chiudere le porte. Dopo
nemmeno mezz'ora arriva un ordine contrario risultato poi falso.
[M69]
- Alle ore 14 si batte la generale per chiamare il popolo alle
armi: corre infatti voce che i bersaglieri si siano
impossessati di sorpresa del forte di San Benigno. [M60]
- Su falso ordine di Avezzana, in meno d'un ora oltre
diecimila fucili sono a Porta Pila lasciando sguarnito San
Benigno perché quella, si diceva falsamente, non era altro che finta
aggressione. [M60]
- Avezzana invece continua a combattere a San Benigno per far
sloggiare i piemontesi. Saputo di Porta Pila, capisce che il più
temuto nemico non è l'aggressore, ma il traditore. [M60]
- Alle ore 16, visto il nemico che dalle occupate
mura di San Benigno avanza verso le porte della Lanterna, i
genovesi gli
lanciano contro alcuni proiettili, quindi fuggono via mare. [M69]
- Vengono emessi vari avvisi per organizzare l'insurrezione.
[M62]
- Con l'inganno il Conte N.N. riesce a far conoscere a La
Marmora la situazione dentro la porta della Lanterna. Gli otto
genovesi sono costretti ad abbandonare le porte della Lanterna
ai Regi. [M70]
- Luigi Rattazzi, sarto di professione e padre di sette figli
resta a difendere le porte, ma viene ucciso. [M71]
- Viene scoperto il tradimento di R., che ha ceduto il forte delle
Tenaglie ai bersaglieri. R. è imprigionato ma riesce a fuggire.
[M65]
- Un ufficiale dei bersaglieri mandato da La Marmora intima la
resa a discrezione di Genova. Avezzana rifiuta una così indegna proposta.
[M66]
- Si ergono delle barricate ma, essendo il forte delle
Tenaglie in mano ai bersaglieri, i genovesi ritengono meglio
ritirarsi davanti alla batteria di San Teodoro. [M68]
- Da lì il popolo apre un vivissimo fuoco contro le truppe che
tentano di scendere il colle. [M68]
- I genovesi sparano contro le alture di San Benigno dalle
batterie della Darsena, del Molo, della Cava e di Monte
Galletto. [M68]
- Aureliano Borzino, a capo della barca cannoniera La
Valorosa, spara contro i Regi da San Pier d'Arena. [M68]
- Si unisce ai genovesi la Legione Universitaria, tenuta a
freno da Lorenzo Pareto, per evitare di metterla in pericolo.
[M68]
- Appena scalate le mura delle Lanterna e occupata da quel
lato la parte della città, i soldati d'ogni arma, carabinieri e
bassi ufficiali compresi, a drappelli si disseminano in tutto il
quartiere di San Teodoro e nelle suddette colline: comincia il
Sacco. [R151]
- Il sacco durerà dal giorno 4 aprile fino al giorno 7 aprile
(per una efficace descrizione delle terribili modalità con
cui fu condotto il Sacco si legga la Relazione
della commissione per l'accertamento dei danni). [R158]
- Il Console di Francia e quelli delle altre potenze
protestano contro La Marmora che, in violazione del diritto
internazionale europeo, ha attaccato senza preavvisare il capo
consolare di provvedere allo scampo dei suoi
connazionali. [M86]
- Calata la notte, Lorenzo Pareto fa abbandonare la batteria
di San Teodoro e, spostati gli uomini al forte Begato, per tutta
la notte fa bombardare le Tenaglie e San Begnino. [M69]
- Nella notte i bersaglieri occupano casa Bonino, da cui si
era fatta nel pomeriggio una resistenza accanita. [M71]
- I genovesi che si trovano in casa Bonino sono arrestati,
maltrattati e anche uccisi (clicca
qui per un approfondimento). [M72]
- Giovedì 5 aprile 1849 -
Giovedì Santo
- All'alba i genovesi, tra cui si distinse Nicola Ghio detto
il Guerra, attaccano dal Begato i bersaglieri, ma con poca
riuscita. [M74]
- La mattina Lorenzo Pareto vuol tentare dal Begato una
ricognizione. Si presenta per questa impresa Alessandro de
Stefanis. Uscito dal forte viene ferito ad una gamba; su di lui
infieriscono i soldati regi. De Stefanis morirà il 4 maggio dopo
un mese di atroci dolori. [M79]
- Alle ore 8 i genovesi e i
polacchi sono costretti ad abbandonare il Palazzo Doria e la
piazza del Principe per l'ingrossarsi dei battaglioni nemici.
[M76]
- Con l'ardito intervento di Avezzana i genovesi costruiscono
una barricata e riconquistano il Palazzo Doria. [M76]
- Verso le 10 Avezzana e i Consoli delle potenze presenti in
città hanno un colloquio con La Marmora. [M86]
- In questa occasione La Marmora si accorda con il Commodoro
Britannico per garantirsene l'appoggio. [M87]
- Dopo tre ore d'eroica difesa, i genovesi abbandonano Palazzo
Doria e vanno ad occupare il bastione di San Tomaso. Di lì
cannoneggiano il Palazzo Doria. [M77]
- Verso il pomeriggio i genovesi attaccano, con successo, il
baraccone sopra la porta di Granarolo. [M75]
- Verso il pomeriggio un fiero bombardamento introna
l'intera Città. Per ben trentasei ore con breve intervallo di
tregua l'inumanità di quel gioco segna UNA PAGINA INFAME
negli annali... [M89]
- E durante il bombardamento il Sacco continua (clicca
qui per un approfondimento). [M90]
- Fra tante soldatesche turpezze splende immacolato il nome di
Alessio Pasini, bersagliere mantovano, che intere famiglie
sottrae alla brutalità dei suoi commilitoni. Genova lo
rimunererà donandogli una daga d'onore. [M91]
- I genovesi sparano dal Molo contro san Benigno. Il vascello
inglese Vengeance, comandato da Lord Hardwicke si sposta nel
mezzo del porto per impedire che i genovesi sparino. [M85]
L'Inghilterra ci consegnava un'altra volta al Piemonte.
[M86]
- Sul far della sera i Regi occupano un rialto sotto il Begato.
[M76]
- Venerdì 6 aprile 1849
- Il Municipio annuncia che si sta trattando una capitolazione
e che si è convenuta una sospensione delle ostilità per
permettere a tre Consiglieri Comunali di andare a Torino per
ottenere una piena ed assoluta amnistia. [M82]
- I Consiglieri Orso Serra, Avv. Caveri e Avv. Cataldi partono
per Torino. [M102]
- Il Municipio viene a conoscenza di un tumulto dei forzati al
Bagno Penale della Darsena, tumulto che viene sedato poco dopo.
In modo calunnioso si fa crede che il prode Avezzana abbia dato
ordine di sforzare le ciurme del Bagno. [M103]
- Avezzana invita i cittadini genovesi ad accorrere numerosi e
avverte che, a partire da questo pomeriggio è conchiuso un
armistizio di 48 ore. [M83]
- Il Municipio chiama Avezzana, lo elogia per il suo valore
ma, fuggito il Governo provvisorio, attesi invano i Lombardi, lo
sprona ad abbandonare l'idea di una nuova difesa. Avezzana
risponde che se Genova verrà consegnata ai piemontesi la colpa
non è sua ma del Municipio [M96]
- Si combatte con alterne fortune al forte Ratti. [M92]
- Sabato 7 aprile 1849
- Tra il 7 e il 10 d'aprile, laceri, scalzi e molli dalle
piogge continue, giungono a Chiavari i soldati della Divisione Lombarda, che
nulla potranno fare per la difesa di Genova. [M100]
- Il forte Ratti e il Santa Tecla sono presi dai Regi perché
deserti. [M92]
- Domenica 8 aprile 1849 -
Pasqua
- Con viltà, il M. N.N., comandante il forte San Giuliano,
dopo aver parlamentato con La Marmora, ritorna alla testa di 200
piemontesi ai quali consegna la fortezza con disonore. [M93]
- Il Municipio informa che la deputazione genovese fu bene
accolta a Torino e che l'armistizio è prorogato per altri due
giorni. [M95]
- Anche Avezzana emette un avviso per informare della proroga
dell'armistizio. [M96]
- Lunedì 9 aprile 1849
- Le truppe regie entrano in città: primi i bersaglieri a
passo di carica, seguiti dagli squadroni di cavalleria e, in
ultimo, i fanti. [M105]
- Entrate le truppe, Genova fu la Città del martirio.
(clicca
qui per un approfondimento). [M106]
- Martedì 10 aprile 1849
- Mercoledì 11 aprile 1849
- In esecuzione della capitolazione che il Municipio trattò e
concluse col generale La Marmora, le regie truppe occupano
militarmente tutta la città di Genova. [R149]
- (...)
- Giovedì 14 giugno 1849
- Questa è la data che chiude la
Relazione
della commissione per l'accertamento dei danni subiti dalla
popolazione di Genova in seguito alla occupazione della città da
parte delle truppe piemontesi al comando del generale La Marmora.
In essa vi si leggono cose gravissime; qui si citano i seguenti
due passi:
- Ma, signori, la cifra dei danni materiali è un nulla se noi
badiamo al modo col quale furono inferti, e pensiamo al danno
morale gravissimo che ne emerse... [R150]
- A termini di legge chiunque, e perciò anche il Governo, è
tenuto non solo per il danno che cagiona col proprio fatto, ma
ancora per quello che viene arrecato col fatto alle persone,
delle quali deve essere garante. [R160]
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