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Giovanni Casaccia
Dizionario genovese italiano
Schenone, Genova, 1876 (II edizione)

[alfabeto] [accenti] [dittonghi] [tratto d'unione]


OSSERVAZIONI

INTORNO

ALL'ORTOGRAFIA GENOVESE

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CAPO 1

DELL’ALFABETO E SUA PRONUNZIA.

Le lettere dell'alfabeto genovese sono ventiquattro:

a  b  c  ç  d  e  f  g  h  i  j  l  m  n  o  p  q  r  s  t  u  v  x  z

ed hanno quasi tutte lo stesso suono che nella lingua italiana, tranne le osservazioni seguenti:

  1. Il ç, che si prepone soltanto alle vocali e i nelle sillabe derivanti dalle italiane ce ci, si pronunzia come un’s; così çeddro, cedro, conçerto, concerto, çinque, cinque, çighêugna, cicogna, ecc. si pronunceranno seddro, coserto, sinque, sighêugna, ecc.

  2. La e si pronuncia regolarmente stretta, fuorché innanzi all'r seguita da altra consonante, come erba, erba, persa, maggiorana, inverso, rovescio, ecc. - Posta innanzi alle consonanti f l s t, ed anche a st, ha un suono irregolare, pronunziandosi in molte parole stretta e in molte aperta. Non potendosi dare intorno a ciò una regola determinata, si segnerà l'e aperta coll'accento grave su quelle parole, le quali, pronunziate con e stretta, hanno un significato tutto diverso, come: letto, s. m. il letto; lètto, letto, part. pass. del v. leggere; pesta, colui pesta dal v. pestare; pèsta, la peste; testo, la tegghia, tèsto, il testo, ecc.

  3. La n, tanto in principio quanto nel mezzo delle parole, ha lo stesso suono che nella lingua italiana; in fine poi delle medesime si pronunzia nasalmente, e nel pronunziarla si perde in bocca per metà, come: man, mano, sen, seno, bibbin, dindio, lattõn, ottone, ecc.

  4. Allorché si trovano due n scritte in questo modo nn-, il che avviene soltanto nella penultima sillaba della parola, la pronunzia di queste è nasale, ed ambedue si appoggiano alla vocale precedente con cui sembrano formar sillaba, pronunziandosi poi la vocale che segue totalmente staccata dalle medesime, come: campann-a, campana , tann-a, tana, Rosinn-a , Rosina, ecc.

  5. L’o, alla stessa maniera dell'e, ha pur due suoni come nella lingua italiana, l'uno aperto ossia largo, e l'altro chiuso. Si pronuncerà sempre largo, tanto al principio quanto nel mezzo della parola, quand'esso non avrà sovrapposto alcun segno od accento; in fine della parola pronunciasi chiuso, così: ommo, uomo, ficotto, cazzotto, morto, morto, rosipilla, risipola, ecc. si pronunceranno come se fossero scritte: òmmu, ficcòttu, mórtu, ròsipilla; si pronuncerà sempre chiuso, quasi fosse un u, quando lo stesso avrà sovrapposta orizzontalmente una lineetta, come: bõtte, la botte, bõllitigo, solletico, põrsemmo, prezzemolo, rõsso, cansõn, ecc.

  6. La s ha pur essa due suoni: un dolce e un aspro. Chiamasi s dolce quella che pronunziandosi rende il suono quasi d'una z; e ciò avviene quando, nel mezzo o nell'ultima sillaba della parola essa vien preceduta da una vocale non accentuata o da un dittongo, come: casa, tesöu , difeisa, besêugno, ecc. (1) Aspra all'opposto dicesi quell's che si fa sentire con molto sibilo, e si pronuncia alquanto più presto dell's dolce, come: Sanson, sensâ. Si pronunciano pure con s aspra le sillabe sa, se, si, so, quando nel mezzo e nell'ultima sillaba della parola sono precedute da una vocale accentuata, come: fäso, ëse, cäsetta, sovvegnîse, imböso, ecc.

  7. La s seguita da due c, cioè scc, tanto al principio della parola che in mezzo di essa, si pronunzia col fischio di sc, soggiungendovi poi il suono chiaro d'un'altra c, così: sccetto, scciavo, masccio, si pronunzieranno come se fossero scritte sc-cetto, sc-ciavo, masc-cio.

  8. L’u ha due suoni differenti, ora toscano come in punto, annunzio, muscolo, futta (stizza), ed ora francese, come in dûo, condûto, dûbbio, ecc. A quest'ultimo si sovroppone per distinzione l’accento circonflesso.

  9. La x si pronuncia alla stessa maniera della j dei Francesi nelle parole jambon, jeton, joli, ecc., così: xanno, dexe, caxo, ecc.

  10. La z ha pur essa due suoni, un dolce ed un aspro. Dolce, come in zeo, zin, zutta, ecc. Aspro, quando precede un dittongo, come in ambizion, annunzio, ozio, e simili.

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CAPO 2

DEGLI ACCENTI.

Gli accenti del dialetto genovese sono quattro: acuto ( ' ), grave ( ` ), circonflesso ( ^ ) e dieresi ossia trema ( ¨ ).

L'accento acuto si mette soltanto sull’e in fine di parola, e serve a rendere la parola tronca e a stringere la pronunzia dell'e, come: perché, poiché, zacché, a l'é coscì.

Il grave fa lo stesso uffizio che in italiano, cioè allarga la vocale cui vien sovrapposto; e ciò avviene nella lettera e, quando trovasi in mezzo della parola, come abbiam visto (V. Cap. 1, n. 2). Messo in fine d'una parola che finisca per vocale, tronca seccamente la parola medesima, come: pappà, mammà, caffè, coscì, però, virtù. Notisi che la pronunzia dell'ù sarà sempre alla francese, eccettuate le parole Accaxù, Bixù e poche altre derivate dal francese Acojou, Bijou, ecc., che si pronunciano coll'u accentuato toscano.

Il circonflesso ha nel nostro dialetto lo stesso valore che nella lingua francese, cioè strascica la vocale a cui vien sovrapposto; così le parole andâ, pappê, staffî, ecc., si pronunziano come se fossero scritte andaa, pappee, staffii, ecc. – L’ô si pronunzia strascicato, ma sempre chiuso, e non si usa mettere che in fine della parola, come: sô, dottô, amô, parasô, ecc. – L’û, come dissi di sopra (Cap. 1, n. 8), si pronuncerà come l’u francese, talora strascicato e talora no al principio e nel mezzo delle parole, come pûa, condûto, sciûto, cûbba, mûtto, dûbbio, ecc.; strascicato sempre in fine della medesima, come in mû, cû, pittamû, ecc.

La dieresi ossia trema fa i seguenti quattro uffizi:

  1. Ora serve a sciogliere il dittongo in poesia, come nella lingua italiana: E la lûnn-a rionda tûtt’attorno Fava ra nêutte ciaera comme ûn giorno; E la luna splendendo a pieno corno Facea chiara la notte al par del giorno. (CAV. Ballin ammartellòu).

  2. Ora serve, trovandosi in mezzo della parola, a strascicare la vocale, cui vien sovrapposta, come in bägio, pëtene, pämïa, püta, ecc. - Si eccettua l’ö, il quale tanto al principio che nel mezzo delle parole e in fine di esse, si pronunzia sempre largo e strascicato, come fö, töa, scöso, öxello, ecc. - Nelle due preposizioni articolate , col, collo, con lo, sciö, sul, sullo, e nel pronome , eglino o loro, si pronunzia stretto.

  3. Ora serve a distinguere il significato della parola o il tempo del verbo.
    Distingue il significato della parola nelle seguenti voci, le quali scritte con accento circonflesso hanno un senso diverso:

prep. art. col, collo, con lo colore
dalla o darà verbo dare
per le piede
sciä sulla sciâ ella o signora
sciö sul, sullo sciô fiore o signore
scï sui, sugli Scî Siro
pron. eglino o loro lupo
verbo pare o sembra paio
diä dirà diâ ditale
darò dolore
farò fragore
sarò sole
sarà sale.

Distingue il tempo dal verbo: (1) in alcune terze persone del futuro singolare, le quali segnate coll'accento circonflesso diventano tempo presente dell’infinito, così: dä, fä, mangïä, cangïä, ecc. valgono darà, farà, mangerà, cangerà, ecc., mentre dâ, fâ, mangiâ, cangiâ, ecc., valgono dare, fare, mangiare, cangiare, ecc.; (2) nelle seconde persone del plurale del presente dei modi indicativo, imperativo e congiuntivo della quarta coniugazione, come: sentï, dormï , maledï, ecc., sentite, dormite, maledite, ecc., le quali segnate coll'accento circonflesso diventano esse pure tempo presente dell'infinito: sentî, dormî, maledî, ecc., sentire, dormire, maledire.

  1. Finalmente serve a contrarre le seguenti preposizioni articolate:
ä invece di a-a alla
co-o col, con il, con lo, collo
da-a dalla
ne-e nelle
pe-e per le
sciä sce-a su la, sulla
sciö sce-o sul, sullo
scï sce-i su i, sui, sugli.

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CAPO 3

DEI DITTONGI, TRITTONGI E QUADRITTONGI.

I dittongi del nostro dialetto si dividono in propri ed impropri. I propri sono molti, e, come nella lingua italiana, si suddividono in distesi e raccolti. I distesi sono quelli che fanno sentire ambedue le vocali in maniera che non appariscano quasi dittonghi, come àncoa, àncora, ziàrdoa, tròttola, peùxo, bilico, naixe, narici, moesca, moresca, influî, influire, ecc. I raccolti sono quelli che si pronunciano talmente uniti che la prima vocale perde molto di suono, e la seconda è principale, perché sovr'essa la voce si posa, come in ciave, chiave, cûggiâ, cucchiajo, pecciâse, tencionare, ecc.

Gl’impropri sono tre: ae, êu, ôu,e si pronunciano nel modo seguente:

ae, cioè a e unite insieme, vale un'e larghissima e strascinata, come: mae, mio o mia, baega, briga, imbriaego, ubbriaco, parlae, parlate, ecc.

êu, che, per distinguere dal dittongo proprio , accentuato sull'u, come in peûxo, beûlo, ecc., si scrive coll’accento circonflesso sull’e, si pronuncia allo stesso modo che i Francesi nelle parole feu, peu, heureux, così fêugo, fuoco, lêugo, luogo, dêutta, dote, ecc. - Gli antichi anteriori al secolo 16 scrivevano oe: loego, foego, doetta; e quelli contemporanei al Cavalli, e i posteriori sino alla fine del secolo 18, adoperavano invece il trittongo oeu, attaccando insieme l’oe, così: loeugo, foeugo, doeutta, ecc.

ôu vale o-u, ma pronunziato con somma prestezza e con tuono enfatico facendo posare la voce sopra l’u di pronunzia toscana, ma tronco, come scíôu, fiato, ballôu, ripiano, allôu, stordito, ecc. - Gli antichi invece si servivano del dittongo ao, scrivendo sciao, ballao, l'Abbao, l'Abate.

Ha il nostro dialetto pure dei trittongi, come paeiva, sembrava, andieivo, ecc., nei quali il principale suono poggia sull'ultima vocale; e dei quadrittongi, formanti due sillabe, come in rattajêu, trappola, tortajêu, imbuto, scorsajêu, scorciatoja, ecc.

 

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CAPO 4

DEL TRATTO D'UNIONE.

Il tratto d'unione (-) nel dialetto genovese si adopera a due usi. Ora serve a rilevare la pronunzia delle due n segnate a questo modo nn-, come ho notato nel Cap. 1, n. 4; ora serve a congiungere insieme le seguenti preposizioni coll’articolo:

a-o al, allo ne-o nel, nello
a-i a', ai, agli ne-a nella
a-e alle ne-e
(per sinc. )
nelle
da-o dal, dallo ne-i ne’, nei, negli
da-i da', dai, dagli pe-o pel, per lo
da-e dalle pe-i, pe', pei, per gli
co-a colla, con la pe-a per la
co-i co', coi, cogli
con gli
pe-e
(per sinc. )
per le
co-e colle, con le

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(1) Questa è la regola generale, come facilmente si può conoscere dalla pronunzia. Io però, per non capovolgere totalmente l’ortografia adoperata dal De Franchi, dal Piaggio, e suoi successori, ho registrato or coll’s or colla z le parole secondo esse vennero sanzionate dall’uso.

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