Intrâ >
A léngoa >
Proposte di atri in sciâ grafia >
Fiorenzo Toso
[ Steva De Franchi ] [ Gian-Giacomo Cavalli ] [ Olivieri ] [ Casaccia 1851 ] [ Paganini ] [ Bacigalupo ] [ Casaccia 1876 ] [ Gazzo ] [ Gazzo - Chiave ortografica ] [ Gazzo - Voci omofone ] [ Gazzo - Spiegazioni di parole ] [ V. D. M. ] [ Gismondi 1955 ] [ Gismondi 1949-1974 ] [ Schmuckher ] [ De André ] [ Petrucci ] [ Costa ] [ De Carlo ] [ C. P. P. ] [ a parma ] [ Toso ] [ (Toso ?) ] [ VPL 2-II ]
[ VPL ]
[ Conrad ]
Fiorenzo Toso
Grammatica del genovese
Le Mani - Microart's, Recco, 1997 |
[alfabeto] [vocali]
[lunghezza delle vocali] [accenti]
[semivocali] [consonanti]
[approfondimento]:
[lunghezza delle vocali] [uso dei due punti]
[brevità delle vocali]
Riassunto semplificato delle regole della
grafia
[inizio pagina]
- Alfabeto. Per la scrittura del genovese vengono impiegate
le stesse lettere dell'alfabeto italiano più la ç e la x; i gruppi
di vocali e consonanti usati in italiano hanno lo stesso valore anche in genovese
(ch, ci, gh, gi, gn, sce, sci); il gruppo -gl- si legge soltanto
come in glicine, altrove è sostituito da -li-.
[inizio pagina]
- Vocali.
In genovese, le vocali
a, i, e sono usate come in italiano: la e può essere chiusa (nella
maggior parte dei casi) o aperta (in particolare davanti a -r, davanti a
gruppi consonantici e in altre posizioni), senza che esista una regola precisa.
In posizione atona la vocale o rende quasi sempre il suono u, tranne
qualche eccezione (ommetto 'ometto'); in posizione tonica rende sempre il
suono u tranne quando è sovrastata dall'accento grave: in questo
caso si legge come [ò] (o pòrto 'il porto'); si scrivono con o
anche quelle parole il cui corrispondente italiano presenta una u
(ponto 'punto', caroggio 'carrugio'). La vocale u rende
sempre il suono [ü], tranne quando si trovi in posizione di dittongo, nel qual caso
rende la semivocale [w]. Il gruppo vocalico ae si legge sempre come
una e aperta e molto allungata [è]. Il gruppo vocalico eu
si legge sempre [ö], tranne quando la e ha un accento.
[inizio pagina]
- Lunghezza delle vocali. La lunghezza delle vocali viene
segnata soltanto in finale di parola (con il circonflesso) o all'interno di
parola (con i due punti) quando sia conseguenza di un fenomeno fonetico riconoscibile
(caduta di suono o contrazione); non viene mai segnata su eu e su u.
I due punti sulla o rendono sia il suono lungo di [u] che di [ò],
senza possibilità di distinzione. La o pronunciata [ò] non è mai
lunga in posizione finale (ha quindi sempre l'accento grave: o fò
'il faggio', mi mangiò 'io mangerò'). Per maggiori dettagli vedi
l'approfondimento.
[inizio pagina]
- Accento tonico e fonico. L'accento tonico può corrispondere
a un segno di lunghezza vocalica, nel qual caso non viene ulteriormente segnato.
L'accento tonico si omette sui gruppi ae ed eu, sulle parole
piane che non finiscono per -n e sulle parole tronche che finiscono
per -n, su qualsiasi dittongo. L'accento tonico è obbligatorio
sulle parole accentate sulla terzultima, quartultima, quintultima sillaba,
sulle parole tronche che non presentino già un segno di lunghezza, sulle
parole piane che finiscono per -n (cóntan 'raccontano'), -ìa,
(böxìa 'bugia'), -ùa, -ùe, -ùo, -ùi (vettùa 'vettura').
Quando l'accento tonico è obbligatorio, esso è sempre grave su a, i, u [ü],
mentre su e ed o può essere grave o acuto: su e l'acuto
indica che la vocale è chiusa [é], il grave che è aperta [è]; su o
l'accento acuto indica che la vocale va letta [u] (compónn-an 'compongono'),
il grave che va letta come [o] (pòrtimelo 'portamelo'). I monosillabi
che presentano una vocale lunga sono accentati mediante il circonflesso
(quelli con -u mediante l'accento grave), gli altri non sono
accentati tranne in caso di omofonia.
[inizio pagina]
- Semivocali. La u semivocale è resa con u
dopo la q e nei dittonghi, raramente con o (moae ‘madre’);
la i è resa sempre con i in tutti i casi.
[inizio pagina]
- Consonanti. Le consonanti sono scritte doppie quando
seguono una vocale breve, mai quando seguono una vocale lunga. Sono doppie,
con riferimento all'etimologia, nelle parole derivate (òmmo >
ommetto). Per lo più le consonanti si scrivono e leggono come in italiano,
con le seguenti particolarità:
- la ç si legge come una [s] sorda (it. sera), ed è collocata,
in base a criteri etimologici, davanti ad -e ed -i, sia in
principio sia nel corso di parola; rende anche le desinenze delle
parole d'origine colta che finiscono in -açia, -içia, -içio, ecc.;
- la n in finale di parola ha pronuncia velare (o can); lo stesso
suono, in corpo di parola viene reso con una doppia n seguita
da un trattino che stacca la consonante dalla vocale successiva:
lann-a, campann-a. La doppia n senza trattino si
legge come in italiano;
- la s ha sempre valore di [s] sorda (it. sera) in principio di
parola, dopo vocale lunga (fäso), quando è doppia in corpo di
parola (seguessa). Tra vocali rende altrimenti la [z] sonora
(it. rosa): reusa ‘rosa’, zeneise 'genovese';
tra vocali, la z interviene con lo stesso suono soltanto dopo
vocale lunga (bäzinn-a 'fame') o per ragioni etimologiche.
Davanti ad altra consonante, la s si comporta come in italiano;
- il gruppo scci, scce si legge come la sci di sciogliere
seguita dalla ci di ciao;
- la x si pronuncia [ž], ossia come la j del francese jour,
e non richiede mai la i dietro di sé prima di un'altra vocale
(raxon 'ragione');
- la z si pronuncia sempre come [z] (it. rosa),
in principio di parola (Zena 'Genova'), dopo vocale lunga
(bäzinn-a 'fame'), tra vocali quando l'etimologia richieda z
e non s (bazar 'bazar', cazze 'cadere').
[inizio pagina]
Approfondimento
[inizio pagina]
Lunghezza delle vocali
In genovese, la lunghezza delle vocali, toniche o atone, viene resa in quattro
modi diversi:
- Senza l'intervento di alcun segno grafico, quanto la vocale sia seguita da
consonante semplice e l'allungamento non risulti dovuto a fenomeni quali la caduta
di un suono o la contrazione di due vocali, ma alla semplice posizione: di norma,
ad esempio, davanti a -g-, -r-, -v- e -x-. Si scrive quindi lago, baxo
'bacio', caxo 'caso', ecc., senza necessità di segnalare la lunghezza della
vocale tonica (grafie eccentriche bäxo, cäxo, ecc.) La lunghezza di u
e di eu non viene mai segnata nondimeno, u ed eu sono sempre
lunghe davanti a consonante scritta semplice e per lo più in fine di
parola, dove la ù prende sempre, anche nei monosillabi, l'accento
grave: lazzù 'laggiù', o mù 'il mulo'.
- Mediante l'uso dei due punti, quando l'allungamento di una vocale iniziale o
all'interno della parola corrisponda:
- alla caduta di un suono vocalico o consonantico: partïo
'partito', fäso 'falso';
- all'influsso riconoscibile della caduta di suono avvenuta
all'interno della parola: Ciävai 'Chiavari', pëgoa 'pecora';
- alla contrazione di due suoni vocalici: mäveggia
'meraviglia', sciäto ‘chiasso', Väze ‘Varazze'.
- I due punti vengono comunque usati per indicare la lunghezza di una vocale
atona: bäzinn-a 'fame', cäsetta 'calza'.
Sulla o, i due punti indicano sia il suono allungato, come in
cösa 'cosa', pöso 'stantio', ödaçia 'coraggio', sia
il suono allungato della u italiana, come in pöso [pusu] 'polso',
öa [ua] 'ora', döçe [duse] 'dolce'. In questo caso, soltanto
la conoscenza dell'idioma può aiutare nell'esatta pronuncia.
- Sempre mediante l'uso dell'accento circonflesso
quando si deve indicare che è lunga la vocale accentata in finale di
parola: portâ 'portare', l’ò mangiâ ‘l’ho mangiata',
a montâ ‘la salita'; nel caso dell'infinito verbale l'accento
circonflesso viene mantenuto anche quando, come nel caso del riflessivo,
la desinenza si ritrovi all'interno di una parola composta: pentîse
'pentirsi', addormîse 'addormentarsi', maiâse 'sposarsi'.
- Mediante l'uso del digramma ae per rendere il suono lungo della e
aperta: aegua 'acqua', aenn-a 'sabbia', paegua 'ombrello', guaera 'guerra',
taera 'terra', libertae 'libertà', dignitae 'dignità'. S'intende quindi che
ê e ë rappresentano sempre il suono lungo della e chiusa:
ëse 'essere', mestê 'mestiere'.
- Raddoppiando la vocale nei rari casi in cui la lunga sia atona finale:
aerboo 'albero', sémmoo 'che prude', spìppoo 'esile'.
[inizio pagina]
Norme pratiche per l'uso dei due punti
L'uso dei due punti, che costituisce certamente l'aspetto meno determinabile del
sistema accentuativo genovese, non è precisamente codificabile, in quanto legato
all'etimologia delle parole e alla loro evoluzione fonetica, e, quindi a una serie
di conoscenze di cui il parlante medio, anche colto, non dispone. Qualche norma
empirica può però facilitare l'uso dei due punti: in questo caso sarà utile anche
qualche riferimento all'italiano.
- I due punti non vanno segnati su quelle parole
il cui corrispondente italiano presenta una consonante semplice successiva
alla vocale corrispondente alla lunga genovese: baxo/bacio,
caxo/caso.
- Vanno invece segnati dove a una vocale lunga
genovese corrisponda in italiano una vocale seguita da consonante doppia:
dïto/detto, scrïto/scritto; s'intende che quando ci si trovi
di fronte a una e aperta e lunga, la si trascriverà col digramma
ae: taera/terra.
- Vanno segnati in tutti quei suffissi e terminazioni di
parola che in italiano presentano una consonante o una vocale che in
genovese è caduta: finïo/finito, portëa/portiera,
fäso/falso. S'intende che in caso di e aperta, si dovrà
scrivere ae, come in raeo/rado.
- Vanno segnati dove sia riconoscibile, attraverso
il confronto con l'italiano, una contrazione di suoni: mäveggia/meraviglia
(genovese antico maraveggia), bänsa/bilancia (genovese
antico baransa).
- Vanno segnati sempre, come si è detto, quando la vocale
lunga sia protonica: bäzinn-a 'fame', cäçinn-a 'calce'.
[inizio pagina]
Brevità delle vocali
La brevità delle vocali viene resa in due modi.
- Mediante l'uso della vocale semplice, quando la vocale sia atona:
cavagno 'cestello', mànego 'manico'.
- Mediante il raddoppiamento della consonante successiva,
in particolare quando la vocale è tonica: lamma, tutto
'tutto', ecc.
[inizio pagina]