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C. P. P.
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C. P. P.
Carlo Piero Pessino
Moderno Dizionario Rapido
Genovese - Italiano
Italiano Genovese
completo di rimario genovese
Erga edizioni, Genova 1995 |
[Pronuncia di talune consonanti] [Pronuncia
delle vocali] [Nomi] [Articoli]
[Aggettivi possessivi] [Pronomi]
[Verbi]
ALCUNE AVVERTENZE
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PRONUNCIA PARTICOLARE DI TALUNE CONSONANTI
- ç (cedigliata): non si usa mai davanti ad a, o, u.
Suono di s aspra. Esempi: çenie (cenere), çimma (cima),
braççe (braccia).
- n (lusitanica): (nn-). Esempi: cadenn-a (catena),
maenn-a (marina), zinn-a (sponda).
- x (lusitanica): in ogni caso suona come j francese di jardin,
bijou. Esempi: cheuxe (cuocere), baxo (bacio), dexe
(dieci).
- s: aspra o dolce, a seconda degli etimi e delle circostanze fonetiche.
È comune l'uso di apporre la dieresi sulla vocale che precede la s, onde
allungarne il suono per evidenziare il suono aspro. Esempi: cösa (cosa),
cöse (che cosa), fäso (falso), cäsetta (calzino, calza),
pösâ (posare). Sovente si incorre in confusione tra la s dolce
e la aspra: spesso si può sostituire con una z. Esempi: reuza
(rosa) anziché reusa, creuza (viuzza) anziché creusa.
- v: spesso, dinanzi a vocale, sparisce, specie nel contado o per fonia
idiomatistica. Esempi: veuggio (voglio) che diventa euggio - come
euggio (occhio) - vorpe (volpe) che diventa orpe.
- zz (doppia zeta): suona sempre dolce. Esempi: dozze (dodici),
mazzo (maggio), ormezzo (ormeggio).
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PRONUNCIA DELLE VOCALI
- a: come in italiano a o, secondo i casi, â ed ä:
suono allungato.
- e: quasi sempre stretta: nei casi di e larga si pone l'accento
grave (è) e talora si dà la e stretta ponendo l'accento acuto
(é). Si allunga in ë od ê a seconda degli usi.
- i: la si accenta spesso (ì, î, ï) onde dare suono vivo al
vocabolo. Esempi: negli infiniti: finî (finire), corrî (correre);
negli aggettivi: sottî (sottile); nelle parole tronche: coscì
(così), martedì, scì (sì), tì (tu), ecc.
- o: ha quasi sempre il suono della u dell'italiano, salvo i
frequenti casi di etimo di base, come in porto (porto), morte
(morte), carrossa (carrozza), ecc.
- u: come per la o vi sono due pronunzie: la prima è quella della
u francese; l'altra, meno frequente, segue il suono dell'italiano.
I dittonghi suonano come nell'italiano salvo che nei frequenti casi di «improprietà»,
ossia quando le due vocali creano un unico suono. Quindi:
- ae: suono lungo di e larghissima: aegua (acqua), laete
(latte), sciacchaelo (citrullo), ghaelo (gheriglio).
- eu: come la eu francese e la ö (oe) tedesca:
zeugo (gioco), feugo (fuoco), cheuio (cuoio), cheu
(cuore).
- òu: finale di parola, prende l'accento sulla o, accorciando
al massimo il suono della u. Esempi: pròu (prato), ballòu
(ballatoio), zugòu (giocatore).
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NOMI
Tutti i nomi comuni che al singolare terminano in e, al plurale non mutano
tale desinenza. Esempi: noxe (noce), voxe (voce), croxe (croce),
luxe (luce), pelle (pelle), gente (gente) restano uguali al plurale.
I nomi propri di persona in genere sono preceduti dall'articolo, sia al maschile sia
al femminile.
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ARTICOLI
- Determinativo: sing. m. o; sing. f. a; plurali: i, e;
l davanti ai singolari inizianti per vocale. Esempi: o mandillo,
a caréga (il fazzoletto, la sedia); i mandilli, e caréghe
(i fazzoletti, le sedie). Invece: l'ommo (l'uomo) e i ommi
(gli uomini); l'anciùa (l'acciuga) e e anciùe (le acciughe);
- Indeterminativo: sing. un, unn-a, pl. di, de. Esempi:
un figgieu (un bambino), unn-a figgetta (una bambina); al
plurale faranno: di figgieu, de figgette.
Osservazione importante. In pratica il femminile unn-a viene quasi
sempre ridotto a 'na. Esempio: Ho visto 'na figgia (ho veduto una ragazza).
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AGGETTIVI POSSESSIVI
- mae: mio, mia, miei, mie;
- teu, anche tò: tuo, tua, tuoi, tue;
- nostro, nostra, nostri, nostre: invariati;
- vostro, vostra, vostri, vostre: invariati;
- sò, anche seu: suo, sua, suoi, sue.
Non usare, né a voce né per iscritto, loro (che in genovese
è soltanto un pronome!). Il possessivo corrispondente al loro dell'italiano è
soltanto seu o sò.
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PRONOMI
- Personali: mì, tì, lë (m. e f.); noiâtri, voiâtri, loiâtri (anche
lô).
- Possessivi: o mae, a mae, i mae, e mae; o teu (o tò), a teu
(a tò), i teu (i tò), e teu (e tò); o seu
(o sò), a seu (a sò), i seu (i sò), e seu
(e sò). Indi: o nostro, ecc.
Loro, di cui si fa cenno alla voce Aggettivi possessivi,
viene usato soltanto - ma assai di rado - in funzione di «Voi Signori, Lor Signori», sempre
solo al vocativo, e in tono ironico o cattedratico! Per dire il loro figlio, in
genovese si dice, e si scrive, seu figgio (o sò figgio).
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VERBI
Non esiste - da tempo - il passato remoto: viene usato in sua vece il passato prossimo.
Esempi: mì son andaeto, io andai; lë o l'ha riùo, egli rise.
In teoria le coniugazioni sono quattro (con l'infinito in â, con l'infinito in
éi, con l'infinito in e atona, con l'infinito in î). Qualche infinito:
cantâ (cantare), poéi (potere), vedde (vedere),
corrî (correre).
Il rapporto fra l'infinito e il participio di moltissimi verbi irregolari è
variabilissimo, anzi pittoresco.
Per un corretto uso delle voci verbali occorre tener presenti alcuni canoni, sia
oralmente sia per iscritto: tra i più salienti ed importanti, la desinenza di alcune
voci verbali. Citiamo, a mo' di esempio, le scorrettezze tuttora sostenute da taluni
nel coniugare i noti verbi dire e fare: mì dixéivo, tì ti
dixéivi, lë o dixéiva, anziché mi dîvo, tì ti dîvi, lë
o dîva; mì faxéivo, tì ti faxéivi, lë o faxéiva, anziché
mì fâvo, tì ti fâvi, lë o fâva.
Regola importantissima, purtroppo sovente trascurata: «Quando una voce verbale
indicante azione collettiva precede nella frase il soggetto, rimane al singolare».
Alcuni esempi: i figgieu cianzan (i bimbi piangono), ma cianze i figgieu;
e campann-e seunnan (le campane suonano), ma seunna e campann-e;
i sordatti pàrtan (i soldati partono), ma parte i sordatti;
i funzi nàscian (i funghi nascono), ma nasce i funzi;
i grilli càntan (grilli cantano), ma canta i grilli.
Comunque sono numerosi i tranelli che, in sede di traduzione, incontra chi deve
trattare i dialetti genovesi (città, contado. plaghe litoranee); soltanto una specifica
esperienza ne consente - via via che si penetra nel vivo della parlata - un disinvolto
superamento. Si arriverà anche a constatare che parecchi vocaboli da certuni ritenuti
«del contado», o viceversa, restano validi in lirica generale in quanto ad efficacia
e scorrevolezza espressiva. Rispettare un dialetto non vuol dire farne una tavola
pitagorica.
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