I rumori Se due persone, in disparte, parlottano subito pensiamo che siano lì a ciætezâ (far pettegolezzi). Se la voce è più alta probabilmente fan de ciàciare (fanno delle chiacchiere, che in italiano si scrive con tutte le “i” che ho usato io). Quando tanti chiacchierano e si sente un rumore indistinto allora si ode un borboggio (mormorio, brontolio). Ma se questo rumô (rumore) diventa disordinato e scomposto come quello di una strada a intenso traffico il termine più appropriato è fô, da leggersi, in grafia italiana, fuu e da non confondersi con fò che denota il faggio. Se poi si giunge allo schiamazzo e al frastuono, come quello dei bambini che giocano, il rumore diventa sciato. Ma se il suono disordinato è dovuto a gente che scherza, anche sconciamente, siamo in presenza di un bordello, che se è veramente intenso è detto bordello do diao (chiasso del diavolo). Sono sempre più in disuso le parole tremeleuio (frastuono assordante) forse presa dal francese e calabà (schiamazzo) di origine araba. Resistono il bellissimo detto fâ da caladda (gridare, far chiasso) e il curioso ramadan (frastuono, baccano) che trae origine dal grido di contentezza che i musulmani elevavano al cielo quando, tramontato il sole, potevano finalmente mangiare e fumare. Ora fatti pure prendere dalla ciarlaxia (parlantina) ma... ...ti t’aregòrdi de parlâ zeneize? Franco Bampi |