Locuzioni avverbiali Come gli avverbi, le locuzioni avverbiali precisano o specificano il significato di un verbo; sono composte da più parole (gli avverbi, invece, sono una singola parola) e sovente sono curiose. In genovese per indicare un’azione fatta malamente, alla peggio si può dire a-a bagàrda, a-a buzarónn-a, oppure si può usare la bella locuzione a-a biscöchìnn-a. Ma quando gli affari vanno male si dice va tùtto a-a bagàrda. Quando si ha abbondanza di una cosa, ovvero quando se ne ha a iosa, a bizzeffe, oltre al bell’avverbio abrétio, si può dire a batagión, a bezèffe, a rebócco. Oppure, con lo stesso significato, dalla parola capéllo (cappello, ma attenzione il capello italiano si dice cavéllo!) si ha la locuzione a capelæ. Se una cosa può essere comprata a buon prezzo possiamo usare la traduzione letterale a bón prêxo, ma i genovesi preferiscono dire a bón pàtto. Se qualcosa arriva in molti per volta, a raffiche possiamo dire a ràfeghe, ma è più genovese dire a bolæ, come se fosse a folate. Però se ci riferiamo alla pioggia dobbiamo dire cêuve a ramæ (piove a intermittenza) o anche ’na ramâ d’ægoa (un rovescio d’acqua). Curiosa poi la locuzione a càngio che significa a interesse, a frutto. Si dice quindi dâ oppure pigiâ i dinæ a càngio per dire dare o ricevere denari con l’interesse. Analogamente métte i dinæ a càngio significa mettere i denari a interesse. Bella infine è la locuzione a cadéllo per dire a dovere, a segno, usata tipicamente nell’espressione métte a tésta a cadéllo: metter giudizio. Ògni paròlla adêuviâ a l’é ’na paròlla sarvâ! Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |