Consonanti finali Oggi di fatto non è più rilevabile, ma ancora la generazione dei miei nonni, che aveva appreso il genovese come lingua madre, trovava serie difficoltà a pronunciare parole che terminassero con consonante, con due eccezioni. La più importante è la “enne nasale” tipica di tantissime parole genovesi: pàn (pane), bibìn (tacchino), ronsón (spintone), zazùn (digiuno), ecc. Altra eccezione è la “erre” di alcuni francesismi: sciafeur (autista), blagheur (spaccone), decreteur (lustrascarpe), ecc., che però potevano anche essere pronunciate senza la “erre” finale. Due erano e sono le soluzioni adottate dai dialettofoni: o aggiungere una sillaba in modo da far terminare la parola per vocale, la soluzione di gran lunga più diffusa, o togliere la consonante finale. L’aggiunta della sillaba finale compare nell’importazione in genovese di parole da altre lingue: il turco kamal diventa camàllo (facchino), l’arabo habib si trasforma in gabìbbo (persona del Meridione), il greco tardo mantélion fornisce il nostro mandìllo (fazzoletto), e l’italiano gas diventa gàzzo. Anche il cuscus diventa scocozó (pasta da minestrone) e zabib diviene zebìbbo (uva passa). Dall’inglese ship abbiamo scìppe (brigantino a palo), da black traiamo blècche o brècche (nero e anche il catrame), mentre rosbìffe (arrosto di manzo) deriva da roast beef. Più recentemente, tra i licôri (liquori), troviamo il rómme (rum) e il fernétte (Fernet). Cade invece la consonate finale nella celeberrima parola lapi (matita) e in òutobo (autobus). Miæ che a Madònna do Gàzzo a no l’é “la Madonna del gas”! Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |