Spazzatura Non ci sono dubbi: in genovese la spazzatura è la ruménta, parola che spessissimo usiamo anche in italiano; curiosamente sia Martin Piaggio sia il Casaccia usano imondìçio (immondizia) e il Casaccia anche spasatûa (spazzatura). Il luogo per depositarla temporaneamente è il cànto da ruménta, titolo dato a una sua lunga poesia da Nicòlla Baçigalô (Nicolò Bacigalupo) giocando sul doppio significato di cànto: angolo e canzone. Il secchio della spazzatura è detto o bolàcco da ruménta, per il trasporto si usava o câro da ruménta. Lo spazzino è detto spasìn, che puliva con o brûgo (scopa d’erica), mentre in casa si usava la spasoîa (scopa). Il Casaccia registra anche cascionétto, parola usata per gli attuali cassonetti, e rumentæa, quella paletta per raccogliere la spazzatura munita perpendicolarmente di un lungo bastone. Occhio alla distinzione tra pûa, la polvere che si deposita sui mobili, ecc., e pôvie, la polvere in granelli come quella dei detersivi. Associata alla ruménta c’è la spùssa (puzza) con il verbo spusâ (puzzare) e l’aggettivo spusolénto (puzzolente). Tra le spùsse abbiamo il relénto, cattivo odore dovuto al chiuso; il refrescùmme, caratteristico odore delle stoviglie lavate male, e la spùssa de bestìn, quell’odore forte degli animali selvatici. Un sudicione è detto çiöto; se lasciati senza conservazione i cibi possono prendere o fòrte, l’axòu, o rànçio (rancido); ma un formaggio che puzza sa de scapìn (calzini da uomo). Inte 'n gòtto mâ lavòu o vìn o pìggia présto l'axòu Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |