Monete antiche Molti dei nomi usati per denotare la monæa (moneta) corrente, e talvolta anche i valori, erano mutuati dalle analoghe monete del Piemonte pre-unitario: ad esempio, palànca (soldo), mótta (mutta) e scûo (scudo). Questi si mischiavano anche coi nomi delle monete genovesi, come la parpagêua (parpagliola) e il cavalòtto (cavallotto), che prende il nome dalla raffigurazione di San Giorgio a cavallo. Interessanti sono anche i nomi delle monete straniere. Da Napoli importiamo il carlìn (carlino), da Firenze il fiorìn (fiorino), da Venezia lo sechìn (zecchino) e dalla Toscana il giùlio (giulio), mentre il testón (testone) era moneta toscana, romana e piemontese. Per restare in Europa, dalla Spagna prendiamo il pesétto d’öo (pezzetto d’oro) e il reâ (reale), L’Austria ci fornisce il croxàsso (crocione) e la Germania il talòu (tallero, pl. tàlai), mentre è inglese lo scilìn (scellino). Dall’America viene invece il patacón (pataccone). Poi vi sono nomi generici, usati da più stati, come la dópia (doppia). Parimenti generico è il nome di roscìnn-a (doppia, doblone) per il colore giallo o rosso che avevano le monete di questo tipo. Le banconota di carta è detta bigétto de bànca (biglietto di banca) e il cambiavalute si traduce bancòuto. Esistono poi nomi furbeschi per l’insieme dei denari. Oltre a dinæ (denari) e alla ricordata roscìnn-a, si segnala la voce ciò: o l’é ’na persónn-a ch’o l’à do ciò (è persona che ha soldi). Ma chi soldi non ha allora o l’è pròpio bèllo mìscio! Inti caróggi no ghe n’êa bagoìn, gh’êa de sterlìnn-e d’öo... Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |