Pesci Vâ ciù ’n’eugiâ che çento pâgai (vale più un’occhiata che cento pagelli) è un proverbio che usa il doppio significato della parola eugiâ (occhiata): un pesce e uno sguardo rapido e intenso ovvero l’occhiatina amorosa che originò il proverbio. Altro pesce pregiato è il sâgou (sarago), ma il migliore è certamente il loaso (spigola o branzino) la cui voracità, oltre al nome lupaccio di mare, lo ha immortalato nel detto o bocon do loaso (il boccone del branzino) che si dice quando uno abbocca a tutto. Meno pregiato è il laxerto (sgombro) e poco usato è il muzou (muggine o cefalo) e ancor meno la bòuza (bavosa). Divenuto famoso col Gabibbo è un altro pesce: il besugo (occhione o occhialone). Nella frittura troviamo il tötano (totano), il câmâ (calamaro) e i pigneu o pignolin (pescato piccolo), ma anche le boghe (boghe) piene di resche (spine o lische), le buonissime ancioe (acciughe) e le squisite tregge (triglie). Il vero segreto comunque è che il pesce sappia d’arzillo, parola intraducibile per indicare il buon profumo del mare, quel sapore marino, squisito, dei pesci che vivono in scoglio. Non mi dimentico del gustoso pescio sòu (pesce salato), al plurale pesci sæ, e concludo con la gritta (granchio più piccolo), il fòulo (granchio più grosso) e lo zin (riccio di mare) per ricordare che se uno o pâ in zin (sembra un riccio di mare) vuol dire che come lo tocchi ti pungi. Amiæ mai belle. Pan pigiæ òua. Amiæ mai belle e anciôe. Amiæ mai belle, miæ
che röba. Franco Bampi Le regole di lettura sono reperibili nel Gazzettino di aprile 2006 e all’indirizzo Internet http://www.francobampi.it/zena/mi_chi/060429gs.htm. |