Preti In genovese prete si dice præve e, come in italiano, præve denota anche lo scaldino che si metteva sotto le coperte per riscaldare il letto e togliere l’umidità. Sebbene in alcuni posti della Liguria prete si abbrevi præ, qui a Genova præ si usa esclusivamente per don: don Sandro si dice præ Lusciàndro. Per inciso per le suore si usa seu: seu Ciæa (suor Chiara). Diventar prete si traduce fâse præve. Interessanti sono i nomi delle parti dell’abito del præve. Oramai i prævi non portano più i copricapi, ma un tempo ne avevano due differenti: la berétta da præve, quella berretta a spicchi col ponpon e il capéllo da præve a tre punte detto per scherzo luminæa, parola che denota il nicchio ossia la lucerna a olio con tre beccucci. L’abito talare è detto sotànn-a e il collarino si traduce colæn da prævi, che suona un po’ irriverente dato che il colæn è anche il collare dei cani... Il Casaccia ci informa che il colæn (oggi sono tutti bianchi di plastica) era una striscia di cuoio che veniva coperta dalla revèrtega, una striscia di tela azzurra o bianca, il cui nome discende da revertegâ che significa rimboccare (le maniche). La còtta è una veste bianca indossata nelle celebrazioni ed è rigorosamente indossata sopra la sotànn-a. Il rochétto è simile alla cotta ma più ricco di ricami, mentre la cianæa è la pianeta è usata per presiedere la celebrazione eucaristica. Ricordo ancora che la grixélla do confescionâio è la grata e che in genovese verace artâ (altare) è femminile: ’na bèlla artâ. Concludo con il bocón do præve (o da prævi) che denota il portacoda dei polli, giudicato un boccone prelibato. Mostrâ a dî méssa a præ Zâne Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |