Sposi Prima di spozâse (sposarsi) la donna è fantìnn-a (nubile) e l’uomo è fantìn (celibe); ma quando uno è celibe per vocazione talvolta è detto verginón. Il celibato, ossia lo stato di chi è celibe, è detto fantinægo. Non è registrata la traduzione di nubilato, che in italiano è d’uso recente, ma non esiterei ad usare fantinægo anche in questa accezione. Così in genovese l’adîo a-o fantinægo rappresenta indifferentemente l’addio al celibato e al nubilato, nella più perfetta parità dei sessi! Ma prima di arrivare al matrimonio, si è per un certo periodo galànti (fidanzati); nei tempi passati si faceva l’inpromìsso ossia la promessa di future nozze: così da galànti si diventava inpromìssi. La traduzione corretta de “I Promessi sposi” è dunque I Spozoéi Inpromìssi. Si arriva ora alle nòsse (nozze) ovvero al matrimònio o spozaliçio (sposalizio) detto anche spozægo nel contado. Talvolta, con quella sintesi tipica del genovese, unirsi in matrimonio è detto pigiâse, come nel proverbio chi s’asomìggia se pìggia (chi si somiglia si piglia). Il sensâ da matrimònni è il mezzano di matrimonio, colui che combina i matrimoni, che se agisce fuor dal lecito è detto rufiàn (ruffiano). Lo spozòu (sposo) e la spozâ (sposa) sono gli spozoéi (sposi); la sposa novella o sposina è detta spozænn-a. I çìnque sono le cinque confitûe (confetti) che gli spozoéi offrono agli invitati, talvolta detti spozàgge (si confronti con batezàgge, i confetti battesimali). Dopo il matrimonio i due diventano marîo (termine antico) ovvero màio (marito) e mogê (moglie). Ciutòsto che nìnte màio vêgio Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |