Parole difficili Le parole difficili sono quelle già in disuso o quelle si usano poco e sono pronte ad essere dimenticate. Ad esempio rischio è di difficile traduzione perché (lasciando perdere invenzioni come rìsccio) si dice réizego, il risico italiano, anche se il Casaccia già registra l’espressione andâ a rìschio de. La parola ghignón denota avversione, ripugnanza, antipatia, mentre morción indica un musone, un permaloso. Le scrósoe sono le stampelle e il brumézzo è l’esca che si sparge sull’acqua per attirare i pesci. Curiosi, poi sono gli aggettivi abesîo oppure abrensoîo per indicare uno intirizzito dal freddo, così come il termine arsoîo che si traduce arido, secco e la parola speronsîo che vuol dire magro, macilento. Bellissimo poi l’aggettivo latìn che vale scorrevole e che è pure presente in italiano (latino di mano, cioè manesco). Deriva dall’aggettivo etnico latinus (latino) perché le cose dette in latino erano di così semplice comprensione che scivolavano via senza difficoltà. Mettere la minestra nei piatti si dice menestrâ (scodellare); parlare a vanvera si traduce stralabiâ (latino puro: extra labias); soverchiare, voler essere superiore ad un altro si dice sobacâ, mentre irretire, circuìre, ossia fare cadere uno nella propria rete, si traduce inverdugâ. La peléuia è quel fischietto che si usa come richiamo per gli uccelli. Attenzione invece alla seréuia! Non è la serratura, che si traduce ciavéuia, ma la segatura! Stan’a védde che mæ mogê a s’é ascordâ a peléuia co-o cotéllo... Bàsta che
frigógnan inte stàcche! Òua cöse fàsso chi sénsa peléuia! Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |