Parole in disuso Una delle cause che determinano il disuso delle parole è il venir meno delle funzioni o degli oggetti cui quelle parole si riferiscono. Uno dei casi più clamorosi è l’ofiçieu, parola intraducibile, che denotava un piccolo cero raggomitolato, fatto a forma di ufficiolo, un libriccino da devozione, che i ragazzi genovesi accendevano nel giorno dei morti. Sarà stato l’aumento dei costi o la diminuzione delle pratiche religiose, fatto sta che nel giro di qualche anno dalla fine della guerra l’ofiçieu ha cessato di esistere. La diffusione dell’illuminazione elettrica ha fatto sparire non solo le candéie (candele), ma anche il simpatico sexendê, un lumicino composto da un pezzetto di nàtta (sughero) tagliato a forma di animétta (animella, la parte interna dei pomélli, bottoni) con carta sovrapposta da una parte, e un buchetto nel mezzo, entro cui s'infila un pezzetto di mocolétto (stoppino), per farlo galleggiare nell'olio delle lampade. Sexendê deriva dal latino cicindela, lucciola. Altro termine andato in disuso è la batandèlla (battola o crepitacolo), strumento di legno con maniglie di ferro, palle di legno attaccate con una corda, che si suonava in passato durante la Settimana Santa per richiamo del popolo alle funzioni religiose al posto delle campane che venivano legate per impedir loro di suonare. Per il rumore particolare che faceva, a chi parla troppo e a sproposito si dice che ha una léngoa ch’a pâ ’na batandèlla. Mîa che bèllo sexendê ch’a gh’à quélla fìggia! Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |