Pentole e secchi Non c’è dubbio: qui a Genova il bidone della spazzatura è detto bolacco da rumenta. Da altre parti si dice boggeu (bugliolo), parola che qui usiamo per denotare il secchio usato dai massachen (muratori) per preparare gli impasti. Sebbene sembri un neologismo, la parola cascionetto, usata oggi per indicare il cassonetto della spazzatura, è registrata dal Casaccia nel 1876. Ormai solo raramente si sente dire o ruxentâ che indica il secchio per raccogliere l’acqua o il latte munto. E pochi si ricordano che l’amoa (boccale, amola), oltre ad essere un’antica misura di capacità genovese, indica anche il vaso a pancia larga e con becco: damme ’n’amoa de vin (dammi un boccale di vino). Un grosso recipiente per far bollire i liquidi è detto câdion (calderone), mentre l’usuale pentola è detta pugnatta, a Genova pignatta. Per prendere il cibo dalla pignatta si usa la cassa (mestolo) se è cibo liquido, la cassaræa (mestolo forato) se occorre far scolare l’acqua. Un recipiente più piccolo, ma ancora capiente è la cassòula o cassaròlla (casseruola) usata per il tocco a-a zeneize (sugo alle genovese). La frîtâ (frittata) si frigge nella poêla (padella), le torte si infornano nel tian (tegame) e la fainâ (farinata) si cuoce nel testo (teglia) pronunciato con la e stretta. Pe imparâ o zeneize lezi de poexie zeneixi a voxe erta. Franco Bampi |