Botteghe Bottega, in genovese si dice butêga, ma più frequentemente bitêga. Analogamente il bottegaio è detto butegâ oppure bitegâ. In alternativa abbiamo negòçio e negoçiànte. Attenzione però: il butegón è quel negozio nei paesi piccoli che vende un po’ di tutto. Ci sono le butêghe dove si vendono delle cose. Curioso è il vê (stovigliaio), famosissimo il bezagnìn (verduraio); ma c’è anche il maxelâ (macellaio), il polaieu (pollaiolo), il pesciâ (pescivendolo, detto anche pesciaieu) e il leitâ (lattaio, al femminile leitæa). Il droghê vende sostanze aromatiche, il mersâ commercia in mercerie e il feraménta chiodi ed altro. Ci sono poi le butêghe che fanno e vendono cose da mangiare. Lo speçiâ da dôsci è il confettiere, ma lo speçiâ da mêghi è il farmacista. Fa dolci anche il pastiçê (pasticcere, all’antica busciolâio) che lavora in pastiçerîa, e il cicolatê che fa o vende cioccolato. Il fainòtto (farinaiolo) vende farina, pane e pasta, mentre chi fa il pane è il fornâ (fornaio). Il frisciolâ vende frisceu e il tortâ torte. Ed oggi sempre più persone vanno dal rostiçê che confeziona e vende cibi. Infine ci sono le butêghe da artixàn (artigiano). Il strapontê (materassaio) che rifaceva le strapónte (materassi) è scomparso, così come è scomparso l’amolìtta (arrotino); pure il capelâ, che fa o vende cappelli, è di fatto rimasto senza lavoro. Resistono il fràvego (orafo e orefice), il relêuiâ (orologiaio), il peruchê (parrucchiere); continua a fare affari il latonê (ottoniere), mentre i masachén (muratori) sono sempre di più persone straniere. Chi no à âtro pàn, o fornâ o ghe-o brûxa Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |