In ufficio Lo scagno denota lo studio, l’ufficio di un professionista, anche se gli scagni più famosi erano (sic!) quelli degli operatori marittimi che trafficavano con le merci e con le navi, molti dei quali erano nella Stradda do Ponte Riâ (vico Ponte Reale). Nello scagno, spesso, c’era una libràia (libreria) o una sganzîa (scaffale o scansia). Lì poteva trovare posto un libbro a-a bodoniana (libro intonso), un libro cui non era stata tolta la bava (riccio), ossia la grinzosità dell’orlo della carta fatta a mano e non refiâ (rifilata). Quando si scriveva con l’inciòstro (inchiostro) serviva il câmâ (calamaio) e il canonetto (cannello) dove si infilava il penin de færo (pennino di ferro). Poi occorreva asciugare lo scritto, anticamente con la puêta (polvere) e più recentemente con la cartasciûga (carta assorbente). Se si schissava a penna (premeva la penna) era facile far delle bolle o macce d’inciòstro (macchie d’inchiostro); queste e gli eventuali errori si raschiavano via con il rasccin (raschino). Minori erano gli inconvenienti se si usava il lapi (lapis o matita). Chi scriveva in bella grafia usava fare i rebighi (svolazzi) mentre gli inciastrapapê sono gli scrittori da due soldi, capaci solo a scribassâ (scribacchiare). Antica a Genova è l’arte di fabbricare la carta: tutte e strasse van a Vôtri (tutti gli stracci vanno a Voltri) ci ricorda che Voltri era la patria della cartêa (cartiera) detta, con parola nostra, defissio. Lezi. Scrivi. Parla. Datte da fâ co-o zeneize! Franco Bampi Le regole di lettura sono reperibili nel Gazzettino di aprile 2006 e all’indirizzo Internet http://www.francobampi.it/zena/mi_chi/060429gs.htm. |