Zugâ a Lêua La seconda strofa della famosissima A cansón da Chéulia comincia così: Fæto pöi ’n pö ciù grànde me n’andâva a l’Acasêua / co-i figeu zugâvo a l’êua co-e figétte da mæ etæ... Ma come si giocava a l’êua? Questo si sa bene. Per prima cosa bisogna zugâ o dâse a-o bagón (fare la conta) per decidere chi sta sótta, cioè a chi tocca rincorrere per primo gli altri. A questo punto chi sta sótta conta: un, doî tréi, a l’êua. E incomincia a scorî (rincorrere) gli altri. Individuato, a suo giudizio, il bambino più facile da raggiungere lo insegue per cercare di afferrarlo. Ovviamente può afferrare chi vuole e può cambiare idea a suo completo arbitrio. Afferrato un bambino, il gioco ricomincia da capo: ora chi sta sótta è quello che si è fatto prendere. Il problema più complesso è come si scrive a l’êua. Questa grafia è tratta dallo spartito de A cansón da Chéulia, e così è registrata dal Gismondi (1955): ma êua non vuol proprio dire nulla! Il Casaccia nel 1851 la registra come parola unica: allêua e la traduce “allora, coll’o largo”, per poi pentirsi e registrarla nel 1876 come allëa, “forse dal francese allez” (dai!, forza!). E allëa è la voce registrata dal Frisoni (1910). Io propongo un’altra versione. Dato che si dice zugâ a (giocare a, si ricordi che, in questa accezione, giocare è un verbo intransitivo) si dovrebbe scrivere zugâ a Lêua dove Lêua è la parola genovese per la città di Loano. Quindi zugâ a Lêua vorrebbe dire giocare al modo di Loano, esattamente come zugâ a Ciâvai (registrato dal Casaccia sia nel 1851 sia nel 1876) significa giocare al modo di Chiavari. Per completezza segnalo che quest’ultimo è un gioco nostro che consiste nel gettare su un piano una manciata di nòccioli, noci, o simili; quindi con delle bicelæ, o micelæ (buffetti) far sì che uno di questi vada a colpirne un altro. Se scôran i figeu zugàndo a Lêua Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |