Cose da ladri Ladro, in genovese, si dice làddro e le sue ruberie possono essere designate con le parole ladronìsso, ladronàia, mangiàia, robarìçio. Il mestiere del làddro è quello di aröbâ (rubare), sgranfignâ (sgraffignare), xatâ (sottrarre), o, più pittorescamente, louâ de man (lavorare di mano), sunâ l’àrpa (suonare l’arpa), avéi e ónge lónghe (avere le unghie lunghe), eccetera. La màmma da làddri (balia dei ladri) è il ricettatore; il baro è detto làddro da càrte e il pirata e il corsaro sono detti làddri de mâ. Curiosamente l’axòu di quàttro làddri era un aceto aromatico che si riteneva efficace contro la peste. Tra i làddri il borsaieu o mandilâ è il borsaiolo, mentre trufadô o bruxabòschi denotano il truffatore, il gabbamondo. Un tipo cattivo, un bravaccio è detto malémmo o anche magnæra; se è proprio terribile e un po’ spaccone è chiamato amàssa sètte e stréupia quatòrze. Quella che oggi si chiama tangente è tradotta con ganasciâta (profitto illecito) e con ganascéuia (donativo, dazione); ganasciâ significa prender regali a scapito del proprio dovere e pigiâ a ganascéuia vuol dire lasciarsi corrompere da donazioni. Il làddro prima o poi finisce in prexón (prigione). Concludo con una curiosità: anâ inte l’öca significa andare in galera: ma da dove viene? Viene da anâ into lòcche, e lòcche deriva dall’inglese to lock che significa proprio imprigionare. Chi aröba a 'n ladrón, à çent’ànni de perdón Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |