Muratori Il genovese possiede quattro parole che cominciano per “màssa”. La meno conosciuta è masamôro che denota il tritume o il rottame dei biscotti o delle gallette, usatissime dai marinai; è detto anche morêua o moréuia. L’altra parola è masapræve che, essendo il nome della libellula, nulla ha a che fare coi preti. Il masabécco, invece, è il mazzapicchio o mazzeranga, attrezzo (oggi meccanizzato) formato da un cilindro pieno con due manici per sistemare, battendoli, ciottoli e lastre della pavimentazione delle strade. Infine abbiamo masacàn, che vuol dire muratore, parola che, a parte qualche racconto fantasioso, è di ignota origine. Il ragazzo che aiuta il masacàn è detto bòccia. Tra gli attrezzi del masacàn ricordo la casêua (cazzuola), il pìcco (piccone) e il fretàsso (frattazzo) che in genovese denota anche il frettazzo: lo spazzolone per pulire i ponti delle navi. Tra gli elementi per la costruzione troviamo il ciuménto (cemento) e i moìn (mattoni, sing. món) parola che denota anche il mulino (o moìn, i moìn). La chiave di volta per tenere gli archi è detta sequàddro, mentre i calcinacci si indicano con il sostantivo collettivo zétto. Prima degli attuali pali in ferro, per le impalcature si usava la penòlla, un palo di legno lungo e diritto. Infine quando si metteva o córmo do teito (l’ultima trave del tetto) era giórno de cormàdda: il lavoro era finito e si pranzava per festeggiare. “Lòura gh’é ’na cormàdda. Ti vêgni a cantâ?” Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |