Frutta autunno-inverno Con la fine dell’estate cambia la frutta. Regina incontrastata dell’autunno è l’ûga (uva), parola che deriva dal latino “uva”, che perde la -v- e diventa “ûa” in cui si inserisce la -g- per motivi fonetici del genovese. Dell’ûga ricordo i fiâgni (filari), il ràppo (grappolo), le axinélle (acini) e le granétte (vinaccioli), ma non posso non menzionare il scciànco o sccianchétto d’ûga, in italiano racimolo, forse da scciancâ: strappare, schiantare. Pure doveroso è ricordare che in genovese vendemmia si dice vendégna. L’ûga ci ricorda il pergolato che in genovese si rappresenta con tre parole: bersò (il pergolato dei fiori), angiòu (il pergolato dell’uva, dal latino ambulatorius) e la téupia (la pergola ossia la struttura che sostiene il pergolato). Con l’inverno la frutta cambia. Per un certo periodo si trova il càcco o giòspero, parola quest’ultima che trova corrispondenza nell’italiano diospiro o diospero. Si trova anche la pera che in genovese al singolare è maschile, péi (ma anche péia) e al plurale sempre femminile péie. E qui va ricordato ciò che i bezagnìn (fruttivendoli e verdurai) gridavano al mercòu (mercato): ma che péie, ma che péie, chi se màngia chi se béie. D’inverno, ma oggi sempre, c’è anche la mela, che segue lo stesso destino grammaticale della pera: méi o méia, ma sempre méie. Per méie e péie il torsolo si dice rozìggio e i semi armélle. Concludo con il çetrón (arancio) e con gli altri frutti a gæli (spicchi) come il mandarìn, ma ditemi voi come tradurre mandarancio. Chi vànta e seu méie l'é ségno che són màrse Franco Bampi Tutte le regole di lettura sono esposte nel libretto Grafîa ofiçiâ, il primo della serie Bolezùmme, edito dalla Ses nel febbraio 2009. |