L'orlo La parola orlo, anche in genovese, denota generalmente qualsivoglia estremità: il lembo, il margine, la sponda. Ma esistono parole più specifiche. La zinn-a indica l’estremità, la sponda: a zinn-a de ’n teito, de ’n letto (la sponda di un tetto, di un letto). L’orlo della tavola è detto spigo da töa perché spigo (spigolo) è il canto vivo dei corpi solidi. Quando l’orlo è anche ornamento, come per i mandilli (fazzoletti) o per gli scialli, viene detto frixo (fregio), parola che al femminile, frixa, denota quel segno sulla pelle lasciato da una staffilata ovvero uno sfregio. Ma quando l’orlo dei mandilli o dei meizai (mèzzari) è fatto ripiegando su se stesso il bordo fino a farne un rotolino allora è detto bigoêlo. E bigoêlo è anche il bigorello, quell’orlo della vela fatto ripiegandone l’estremità per formare un canaletto dentro al quale va una corda denominata mòula (midolla). Insomma una specie di redoggia (o redoggio, rimboccatura) come la famosa redoggia da torta pasqualinn-a (l’orlo rimboccato della torta pasqualina). Il pisso (cocca) invece è uno degli angoli di panni, fazzoletti e simili. Infine cara a tutti i genovesi è la parola oexin, l’orlo ottenuto rimboccando il tessuto e quindi cucito per impedire che si sfilacci, che a tutti evoca la richiesta ad uso antico: öriæ ’n etto de fugassa inte l’oexin (vorrei un etto di focaccia nell’orlo). Miæ mai quante paròlle pe ’na parolla italiann-a: viva o zeneize! Franco Bampi Le regole di lettura sono reperibili nel Gazzettino di aprile 2006 e all’indirizzo Internet http://www.francobampi.it/zena/mi_chi/060429gs.htm. |